Dubbi (più di uno) sul sistema elettorale che verrà

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-MARIO TRIFUOGGI-

Non si può negare che Renzi abbia impresso una notevole accelerazione alla riforma del sistema elettorale. Anche se l’accordo sul tavolo deve ancora passare al vaglio del parlamento, l’abilità del nuovo segretario del PD di influenzare l’agenda politica del paese è cosa non da poco. Nel bene e nel male, è Renzi che dà le carte presentando tre ipotesi di riforma; nel bene e nel male, è sempre lui ad assumersi la responsabilità di trattare con Berlusconi; nel bene e nel male, è Berlusconi che deve recarsi nella sede del PD per scendere a patti. La vivacità e la sveltezza di Renzi sono virtù politiche che lo distinguono dai suoi predecessori, troppo spesso subalterni alle strategie di comunicazione e alle iniziative degli avversari. Tuttavia non sono virtù sufficienti alla buona politica e non esonerano Renzi da un severo giudizio di merito sui contenuti della sua proposta.

La peculiarità del sistema proporzionale spagnolo, che era stato preso a modello all’inizio delle trattative, sta nelle ridotte dimensioni dei collegi elettorali, che contano in media sette seggi ciascuno. Va da sé che, al di là di una soglia di sbarramento formale del 3% (efficace solo nei grandi collegi metropolitani come Barcellona e Madrid), nella maggior parte dei collegi bisogna superare il 12%-13% dei voti per ottenere almeno uno di quei sette seggi in palio. L’effetto finale è marcatamente maggioritario, ma al contempo salvaguarda il principio di rappresentatività (soprattutto per i partiti a forte vocazione regionale) più di quanto farebbe un sistema con collegi uninominali, dove il seggio in palio è uno solo e anche il 49% dei voti rischia di essere ignorato. Non è dunque previsto alcun premio di maggioranza, in considerazione del fatto che la correzione maggioritaria agisce ex ante, incentivando la sintesi dell’offerta politica ben prima delle elezioni.

Il compromesso ottenuto da Renzi va in un’altra direzione. Oltre a un consistente premio di maggioranza (18%), prevede che i seggi siano ripartiti a livello nazionale: le dimensioni dei collegi elettorali cessano di avere alcun effetto, se non quello teorico di riavvicinare i candidati delle liste elettorali – ancora bloccate – agli elettori del loro distretto territoriale. Restano effettivi, invece, le soglie di sbarramento formali (5% per i partiti dentro le coalizioni, 8% per i partiti in solitaria, 12% per le coalizioni) e uno stravagante ballottaggio tra le due liste più votate, nel caso nessuna delle due superi il 35% dei consensi al primo turno. Questo significa che: 1) i partiti più piccoli non sono incoraggiati a trovare una sintesi politica, bensì a sfruttare opportunisticamente un cartello elettorale per superare lo sbarramento; 2) la rappresentatività promossa dal meccanismo proporzionale rischia di essere vanificata dal premio di maggioranza; 3) le liste bloccate, anche se corte, non consentono di prevedere con chiarezza chi sarà effettivamente eletto in parlamento, in ragione della ripartizione nazionale dei seggi.

Questi rilievi sono, in tono minore, gli stessi moniti profferiti dalla Corte Costituzionale nella sentenza sulla legge Calderoli. La bozza presentata in parlamento, in effetti, poco si distacca da quello che era il sistema elettorale approvato nel 2005 dal centrodestra. L’impressione è che Renzi sia disposto ad accontentarsi di smussare gli angoli del Porcellum quel tanto che basta per evitare un nuovo intervento della Consulta; punta invece sulla riforma del Senato, di modo da evitare l’impasse – qualora vincesse le elezioni – che toccò in sorte a Prodi nel 2006 e a Bersani nel 2013. È una mossa arguta con cui ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, ma la furbizia gli si potrebbe ritorcere contro.

Innanzitutto, va detto che l’Italicum conserva tutti i difetti e le storture del suo predecessore (compreso un nome orribile). A parte le liste bloccate, il premio di maggioranza rimane un meccanismo assai discutibile per assicurare stabilità e governabilità. Agendo ex post sul voto già espresso, distorce la volontà elettorale più di quanto non facciano i sistemi maggioritari, incidendo poco e niente sulla frammentazione e sulla rissosità tipica dei sistemi proporzionali. In seconda battuta, Renzi non dovrebbe sottovalutare la possibilità molto concreta che il centrodestra si ricompatti in occasione del voto, riducendo drasticamente le sue chances d vittoria.

Infine, una considerazione di massima: l’ingegneria elettorale non può rimediare da sola all’immaturità del sistema partitico italiano, ma si è già visto in che misura possa peggiorare le cose. All’Italia, per tradizione politica e ordinamento giuridico, si adatterebbe meglio un proporzionale serio come quello tedesco; il sottoscritto pensa invece che un sistema maggioritario rappresenterebbe una scelta di rottura importante per la politica italiana. Certo è che bisognerebbe evitare di restare in mezzo al guado, optando per soluzioni miopi e opportunistiche. Così com’è scritta, la nuova legge elettorale sembra soltanto un (mediocre) accordo di convenienza tra Renzi e Berlusconi per marginalizzare il movimento di Grillo. Resta da vedere quali modifiche apporterà il parlamento, ma l’esperienza insegna che un testo del genere difficilmente potrà migliorare. Se la strada per una riforma seria in questo momento è troppo stretta, forse sarebbe stato più onesto nei confronti degli elettori, nonché più intelligente politicamente, limitarsi ad abrogare la legge vigente per tornare al Mattarellum e ricominciare da lì.

Mario Trifuoggi

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