– di LUCIANO PELLICANI –
Una decina di anni fa Rodney Stark – in un’opera di dossologia mascherata da sociologia storica — ha sentenziato, con la sua tipica arroganza, che era giunta l’ora di seppellire il paradigma della secolarizzazione. Una sentenza, la sua, a dir poco sbalorditiva. Senza il concetto di secolarizzazione, la parabola storica della civiltà occidentale diventa un geroglifico indecifrabile. E diventa parimenti indecifrabile la storia mondiale degli ultimi due secoli.
A partire dalla rivoluzione comunale – vero e proprio turning point della storia della civiltà occidentale –, il “tarlo” della secolarizzazione incominciò a “lavorare” la società europea. Emerse, infatti, la fondamentale distinzione fra il “tempo della Chiesa” e il “tempo del mercante”: sacro il primo, profano il secondo. Contemporaneamente, riapparve sulla scena una figura sociale di cui si erano perse le tracce : l’intellettuale laico. E, con l’intellettuale laico, ri-emerse la guerra culturale fra Atene e Gerusalemme, vale a dire fra la “cultura della ragione” e la “cultura della fede “. Ed è, appunto, questa la secolarizzazione: l’espansione progressiva del profano a tutto scapito del sacro. Di qui la ri-emersione della Città secolare. Dico ri-emersione a motivo del affatto che il primo “disincanto del mondo” si è avuto nelle poleis della diaspora greca, luogo genetico della filosofia. Accadde così che per la prima volta nella storia dell’umanità si manifestò il conflitto fra Mythos e il Logos , che portò alla formazione di una cultura rigorosamente laica. Ma la vittoria spirituale del cristianesimo sulla cultura pagana produsse il re-incanto del mondo, centrato, tipicamente, sul primato della fede e sul monopolio clericale della produzione simbolica. Di qui il fatto – sottolineato con particolare vigore da René Guénon – che, durante l’Alto Medioevo, tutto era sacro e nulla era profano. Pertanto, è legittimo parlare di secondo “disincanto del mondo “: quello che ha assunto prima le forme del Rinascimento e, successivamente, quelle dell’Illuminismo, giustamente interpretato da Peter Gay come un neopaganesimo.
Ebbene: è proprio contro il neopaganesimo, ormai imperante nel mondo occidentale, che i movimenti fondamentalisti del Dar al-Islam si sono mobilitati in nome della Rivelazione e della Fede. Obbiettivo dichiarato: restaurare il governo di Dio e della Sharia espellendo dal campo sociale ogni traccia della civiltà moderna, tutta centrata sull’adorazione della Ragione e della Materia.
Di fronte a quella che Gilles Kepel ha chiamato “la rivincita di Dio”, anche Peter Berger, come Rodney Stark, è giunto alla conclusione che la secolarizzazione è stata addirittura un “abbaglio”. Una conclusione, la sua, davvero sorprendente. Infatti, già negli anni Trenta Howard Becker – un sociologo di alto rango, oggi, insieme a Gino Germani , per ragioni affatto misteriose, del tutto dimenticato – aveva sottolineato che la secolarizzazione non era una legge della storia, bensì solo una tendenza che poteva anche suscitare violente reazioni di rigetto. Basti pensare alla Riforma, che – contrariamente all’interpretazione di Max Weber — fu un energico tentativo di arrestare la marcia del capitalismo e di espellere dalla Cristianità la cultura neopagana che, con i suoi acidi corrosivi, stava allontanando i fedeli dalla Rivelazione e dalla Fede. Aggiungeva Becker, a conferma della sua tesi, che il nazismo era un tipico movimento fondamentalista il cui obbiettivo era quello di trasformare la Germania in una Città sacra, centrata sul culto idolatrico del Volk e del suo capo carismatico. Pertanto, non è affatto vero che il paradigma della secolarizzazione è stato smentito dalla storia. Tale paradigma prevedeva – e prevede — la moltiplicazione di reazioni fondamentaliste contro il processo di secolarizzazione, Il che è esattamente quello che è accaduto.
Un altro studioso regolarmente trascurato è Arnold Toynbee. Eppure, la sua teoria dell’aggressione culturale ci mette a disposizione le categorie essenziali per intendere il significato dell’irruzione , sulla scena mondiale, dei movimenti fondamentalisti.
La teoria toynbiana dell’aggressione culturale – elaborata nell’VIII volume dell’opus magmum del grande storico inglese : A Study of History — può essere così riassunta. L’incontro fra due civiltà può produrre fruttuosi scambi culturali. Ma può accadere che una delle due civiltà palesi una straripante potenza radioattiva, con l’invitabile risultato che la civiltà “inferiore” viene a trovarsi come assediata. Allora il contatto fra le civiltà si trasforma in un dramma, che può sfociare anche in una vera e propria tragedia. Infatti, l’aggressione culturale procede attraverso tre leggi sinistre. La prima delle quali è che gli elementi culturali che penetrano più facilmente e rapidamente sono quelli di basso rango. La seconda dice che un elemento culturale che fu benefico dove nacque, può risultare, in un contesto diverso, disfunzionale o, addirittura, esiziale. La terza dice che una cosa tira l’altra, poiché la cultura non è un aggregato, bensì un sistema i cui elementi sono interdipendenti.
Due, secondo Toynbee, sono le risposte “classiche” delle élites della società aggredita : quella “erodiana” e quella “zelota” . Per gli “erodiani”, la salvezza va cercata nell’assimilazione dei valori e delle istituzioni della civiltà invadente. Per gli “zeloti “, al contrario, il processo imitativo non può che condurre allo snaturamento dell’identità spirituale della propria civiltà: un’identità il cui nucleo essenziale è costituito dalla tradizione religiosa. E’ per questo che gli “zeloti” lanciano una dichiarazione di guerra contro la civiltà esogena e proclamano, alto e forte, che la salvezza va cercata nella restaurazione della piena vigenza del sacro.
Un esempio paradigmatico di risposta “erodiana” alla sfida della Modernità è stata quella di Kemal Atatürk, il fondatore della Turchia moderna. E’ particolarmente significativo che la sua prima mossa fu quella di istituzionalizzare una netta separazione fra lo Stato e la religione, del tutto estranea alla tradizione islamica, per la quale non può esserci distinzione alcuna fra il potere spirituale e il potere temporale. Il che costituisce una ulteriore conferma della tesi secondo la quale la chiave per decifrare la storia degli ultimi secoli è la secolarizzazione, di cui lo Stato laico è l’istituzione cardinale.
Di segno opposto la risposta, tipicamente “zelota “, di Komeini: una vera e propria dichiarazione di guerra contro l’Occidente, bollato come il Grande Satana, che corrompe i popoli del Dar al-Islam e li allontana dalla via tracciata dal Profeta : la Sharia. Di qui quella che – in un saggio apparso nel 1990 su “Mondoperaio” — ho chiamato la “guerra culturale fra l’Occidente e l’Oriente”. La quale , a rigore, altro non è che la guerra culturale fra il Sacro e il Profano, che nella storia dell’Occidente ha assunto le forme del duello fra Atene e Gerusalemme. Tant’è che a San Giovanni di Nasanzio , che aveva sentenziato che “quanto alla salute dell’anima, Atene era pestifera”, Thomas Paine rispose con la formula “ Ciò che Atene fu in piccolo, l’America sarà in grande”. Di qui la creazione di quello che Thomas Jefferson chiamò “il muro di separazione fra lo Stato e la Chiesa”: una separazione grazie alla quale è stata garantita la più ampia libertà di culto e di proselitismo per tutti i cittadini.
E’ da notare che, sulla scena, non c’è solo la reazione fondamentalista degli “zeloti” del Dar al-Islam. Sulla scena c’è anche la reazione delle sette fondamentaliste cristiane operanti nella società americana, le quali, dopo aver innalzato il vessillo della inerranza delle Sacre Scritture, non hanno avuto esitazione alcuna a chiedere l’abbattimento del muro di separazione fra lo Stato e la religione per arrestare la “deriva pagana” e per scatenare una guerra di religione contro l’Islam. E anche questo non fa che confermare la validità del paradigma della secolarizzazione, con buona pace di Stark e di coloro che lo hanno preso sul serio.
Luciano Pellicani