L’ultimo libro – Quello che i soldi non possono comprare — del filosofo Michael Sandel merita la massima attenzione. In esso sono illustrate , con dovizia di esempi particolarmente significativi , le perversioni morali del modello di società difesa dai “fondamentalisti del mercato” e che ha trovato negli Stati Uniti la sua piena materializzazione. Sandel non si schiera con coloro che — come Serge Latouche o Zygmunt Baumann – raffigurano il capitalismo come un sistema diabolico , responsabile della degradazione della umanità. Egli parte dalla distinzione fra “economia di mercato” e “società di mercato”. E precisa: un’economia di mercato è uno strumento prezioso ed efficace per organizzare l’attività produttiva, ma esso assume forme moralmente inaccettabili quando i valori mercantili penetrano in ogni aspetto dell’attività umana e la società si trasforma in un luogo in cui tutte le relazioni sociali sono regolate dalla logica catallattica . Si verifica , così , il fenomeno che Sandel chiama “imperialismo del mercato”, di cui Gary Becker oggi è il teorico più consequenziale. Lo è a tal punto che non ha avuto esitazione alcuna a proclamare il principio metodologico secondo il quale “quello economico è un approccio onnicomprensivo applicabile a tutti i comportamenti umani”. Ma – si chiede giustamente Sandel – l’intera condotta umana può essere compresa attraverso l’immagine di un mercato ? Può , detto in altro modo, essere la categoria dell’utile la chiave per leggere la storia dell’umanità ? Come è pensabile che – per fare solo un esempio particolarmente significativo – che le azioni terroristiche degli attivisti di Al Qaida – pronti a sacrificare la loro vita per testimoniare la loro fede e per manifestare il loro odio per il Grande Satana — siano decifrabili con le categorie della scienza economica ? Ma le obbiezioni di Sandel all’imperialismo economico non sono solo metodologiche. Sono — anche e soprattutto — di indole morale. Non tutto – non si stanca di ripetere — può essere oggetto di compra-vendita .Ci sono beni – l’amore, l’amicizia, ecc. — che non possono essere trattati come se fossero merci di scambio. Sono beni morali che non hanno prezzo. Per contro, nella società americana accade proprio questo: che i valori morali sono degradati a valori economici fissati dall’impersonale e amorale legge della domanda e dell’offerta.I “fondamentalisti del mercato ” dimenticano , con sconcertante insensibilità morale, che una società è tale solo se in essa sia vigente un principio di solidarietà; e che tale principio è del tutto estraneo alla logica catallattica. Per questo i socialisti hanno sempre rifiutato il liberismo. E per la stessa ragione hanno istituzionalizzato il Welfare State , Il quale ha assunto su di sé l’obbligo etico di garantire che certi beni – la salute, l’istruzione, ecc. – siano universalmente fruibili. Una rivoluzione – quella welferista – grazie alla quale è stata creata la più umana forma di capitalismo finora conosciuta. E ciò è accaduto proprio in quanto i socialisti hanno sempre avuto una chiara percezione dei limiti morali del mercato. Per dirla con l’efficace formula riassuntiva di Giorgio Ruffolo, i socialisti hanno detto sì alla “economia di mercato ” e, contemporaneamente, no alla “società di mercato”.
Luciano Pellicani