Sono andato a rivedere la sintesi dei lavori della Assemblea Costituente in materia di articolo 67 (oggi riportato da Grillo di palpitante attualità). Il dato interessante è che all’inizio la maggioranza dei costituenti non riteneva indispensabile fissare nella Carta costituzionale i principi che invece poi vi travasò (rappresentanza della Nazione di ogni eletto e libertà del mandato da vincoli di parte). Il comunista Umberto Terracini la riteneva infatti un retaggio dei tempi in cui bisognava contrastare il rapporto clientelare fra l’eletto e il suo collegio o fra l’eletto e la classe sociale da cui proveniva. Fu il liberale Aldo Bozzi ad opporre che il silenzio della Costituzione in materia sarebbe risultato decisamente ambiguo e convinse i riluttanti a definire una norma esplicita. Però un altro esponente comunista di spicco, Ruggero Grieco, dopo aver votato la prima parte dell’articolo (quella sulla rappresentanza della Nazione), insistette nel criticare l’espressione del mandato “senza vincoli” affermando che l’eletto era pur sempre vincolato ad un programma e ad un partito. Poi si rassegnò al diverso parere della maggioranza. L’articolo 67 venne votato alla unanimità.
Ma a quell’epoca era evidente come il Pci non volesse perdere il controllo rigidamente esercitato suoi propri eletti. Difatti fu durissimo nelle espulsioni dei dissenzienti. Per esempio dei deputati emiliani Aldo Cucchi e Valdo Magnani, i “magnacucchi”, definiti da Togliatti “pidocchi nelle criniera del nobile destriero” (Magnani venne riabilitato molti anni dopo e divenne presidente della Lega Coop). Non mi pare che venisse espulso Antonio Giolitti uscito dal Pci dopo i fatti di Budapest e la terribile repressione sovietica, ma forse soltanto perché se ne andò lui. La storia, qualche volta, in altre forme ritorna. Certo è singolare che il ferreo controllo dei propri eletti lo pretenda, anche contro la Costituzione, un “movimento” a conduzione personale che si batte per la sparizione dei partiti. E che voglia neutralizzare le garanzie per i dissenzienti (che non sono sempre “venduti” o “voltagabbana”) con 18 punti stilati dal duo Grillo&Casaleggio coi quali viene confezionata per i neo-eletti una sorta di camicia di forza disciplinare.
Vittorio Emiliani
Il principio della libertà dell’eletto previsto dalla Costituzione e’ legato al sistema elettorale, infatti non era previsto che potesse essere il Partito a nominare gli eletti, ma questi dovevano essere libera espressione degli elettori. Ecco perché il Grillo, cosi come gli altri, ritiene proprietà assoluta i deputati eletti nel suo, personale, movimento. Anche per rispettare il principio di libertà del deputato, rivisto e corretto, e’ necessario cambiare la Legge elettorale.
No, la storia della tradizionale formula “senza vincolo di mandato” finita anche nella nostra costituzione è diversa, e i partiti o i loro leader non c’entrano affatto. Originariamente (e tuttora) sta ad indicare il fatto che l’eletto non è un mandatario dell’elettore, e che perciò il primo una volta nominato non ha alcun particolare dovere nei confronti del secondo, né il secondo ha il potere di revocarlo.
Questo naturalmente è un punto di vista “di destra” (il popolo al massimo elegga i suoi rappresentanti, dopo di che sanno loro cosa è meglio e/o quando cambiare idea) e infatti la costituzione sovietica prevedeva – seppure come al solito solo teoricamente – proprio il contrario.
Ivi compresa la possibilità per un corpo elettorale di revocare il mandato alle persone o alla persona precedentemente eletta, di fatto sfiduciandola o direttamente sostituendola.
Quanto alla situazione attuale, non vedo niente di particolarmente democratico nel difendere la facoltà di peones indicati dai segretari di partito per avere persone che schiacciano i bottoni in parlamento di mettersi sul mercato delle vacche, a favore di forze diverse da quelle dei cui voti hanno approfittato, invocando una “indipendenza” che è solo dipendenza dal migliore offerente. I leader e i partiti quanto meno a tradire le promesse fatte un qualche prezzo lo pagano, un singolo parlamentare invece si mette facilmente a posto sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista politico, ad esempio venendo promosso a qualche incarico immediato o a qualche forma di “riserva repubblicana” per usi futuri.