L’attualità di destra e sinistra

In Italia è sempre più consuetudine ripetere che concetti come “destra” e “sinistra” sono superati, obsoleti e privi di senso.
Non sembra essere dello stesso avviso Anthony Giddens, teorico della “terza via” e del New Labour di Tony Blair. In un editoriale che merita la massima attenzione – “Destra e sinistra esistono ancora”, Repubblica, 15 Gennaio 2013 – il sociologo e politologo britannico in merito alla presunta scomparsa delle suddette categorie politiche ha affermato lapidario: «Non sono d’accordo». «Il significato di destra e sinistra – ha continuato ricordando alcune riflessioni di Norberto Bobbio – cambia continuamente e non c’è dubbio che oggi entrambi i termini significhino qualcosa di diverso rispetto al passato. Ciononostante restano due concetti politici profondamente differenti e continuano ad avere un valore specifico anche nell’odierno mondo globalizzato».
D’altronde, queste affermazioni trovano conferma nell’efficiente struttura bipolare alla quale ancora si rifanno quasi tutte le moderne democrazie liberali occidentali. Dove esistono forze politiche di “destra” e di “sinistra” – Popolari e Socialdemocratici, Conservatori e Laburisti, Repubblicani e Democratici – che partendo da una serie di valori unificanti, quelli della tradizione liberaldemocratica, discutono su quale contenuto dare alle diverse riforme, ognuna attingendo dal proprio bagaglio culturale e politico. L’Italia, in verità, ha spesso rappresentato un’anomalia all’interno di questo panorama, non avendo mai conosciuto – a causa di deficit culturali e storici – un reale bipolarismo tra moderati e progressisti. Ma ciò non basta comunque a far considerare superata una distinzione che negli altri paesi si mostra ancora attuale, capace di assicurare una sostanziale alternanza di governo tra due diverse visioni della società. Tanto che più di qualcosa di desueto, un sano e moderno bipolarismo tra “destra” e “sinistra” dovrebbe essere un obiettivo cui guardare per gli anni a venire.
Basta guardare poi la realtà che ci circonda e ipotizzare una soluzione ai grandi problemi della nostra epoca per capire che tra “destra” e “sinistra” ci sono ancora delle differenze che non possono essere ignorate. Partiamo ad esempio dall’economia. La destra appare più propensa a un sistema economico di tipo liberista, con un mercato quanto più autoregolato e uno Stato poco invasivo nella sfera economica. La sinistra crede sì nel libero mercato, ma auspica una sua maggiore regolamentazione, affinché si possano coniugare l’efficienza economica con i bisogni della società. Pensiamo poi alle politiche sociali: la destra ritiene che per ridurre la spesa pubblica si debbano contrarre le prestazioni del Welfare, magari ridimensionando l’area pubblica in servizi come scuola e sanità a favore dei privati. La sinistra, invece, ritiene che i diritti sociali – scuola pubblica, sanità pubblica ecc. – siano irrinunciabili e che il Welfare vada sì riformato – alla luce dei cambiamenti incorsi dalla sua nascita e del nuovo scenario demografico e sociale – ma non ridimensionato. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, la destra propende per una maggiore flessibilità, mentre la sinistra auspica un mercato del lavoro più stabile e meno precario. Per concludere, anche le diverse opzioni discusse per uscire dalla crisi – politiche anticicliche con interventi pubblici per rilanciare l’economica o misure d’austerità, con tagli alla spesa e aumento delle tasse? – confermano che la distinzione tra destra e sinistra conserva ancora un significato sostanziale e importante. E con gli esempi si potrebbe continuare ancora…
«La discussione sul presunto superamento di concetti come “destra” e “sinistra” – osserva poi Giddens – ha inoltre un difetto di fondo: induce a credere che, nel mondo di oggi, ci sia bisogno di meno politica di quella di una volta, ossia di meno ideologia, meno partiti, meno governo, come se tutto dipendesse dall’essere disponibili o contrari al cambiamento inteso come progresso generale dell’umanità». In effetti, è questo un atteggiamento molto in voga ultimamente in Italia, dove alla tradizionale bipartizione destra/sinistra, sembra volersi sostituite una più generica dicotomia riformisti/non riformisti. Ma è questa una classificazione che ad un’analisi più approfondita non può che rivelarsi sterile, giacché non si può parlare di riformismo nei termini di una generica disponibilità alle riforme. La parola riformista non può anch’essa prescindere da una visone politica di fondo cui orientare il contenuto delle riforme stesse: tra riformismo di “destra” e riformismo di “sinistra” – come prima si è cercato brevemente di illustrare – c’è ancora differenza… E davanti agli incombenti problemi del XXI secolo – dall’ambiente alle diseguaglianze crescenti, dal cambiamento climatico all’immigrazione, fino ai grandi temi del lavoro e dell’economia – questa diversità è una risorsa più che un ostacolo: ciò che omologa impoverisce, il dialogo e il confronto arricchiscono.
Per affrontare queste grandi sfide, ricorda infine Giddens, «c’è bisogno di più politica di prima, perché i problemi globali, dalla drammatica crisi economico-finanziaria all’effetto serra, dimostrano che solo un intervento collettivo, programmatico, di sana governance internazionale, può mettere il nostro pianeta sulla strada giusta». Il tutto, naturalmente, senza dimenticare «che “destra” e “sinistra” vogliano ancora dire qualcosa».

Sabatino Truppi

fondazione nenni

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