Un titolo ambiguo: non è la fiaba di una principessa che aspetta il bacio del principe per risvegliarsi: è un film sull’ultima settimana di Eluana Englaro, in coma irreversibile. Un film bello e forte su una vicenda che nel 2009 ha spaccato l’Italia. Non è imparziale, il film di Bellocchio, ma non è neppure a tesi. E infatti pare non sia dispiaciuto ai cattolici di ampie vedute. Il timbro laico del regista non sovrasta le ragioni del ‘partito della vita’. Nessuna derisione della persona di fede, dunque. Un’opera d’arte deve farci riflettere sulle grandi questioni. I manifesti ideologici sono solo mezzi di propaganda. Nel film, però, c’è una caricatura dei fanatici di ogni colore. Un messaggio filosofico, più che politico: l’intransigenza uccide il dubbio razionale. Il cattolico integralista e il laicista intollerante – l’uno sordo e ostile alle opinioni dell’altro. Il primo difende il diritto alla vita (artificiale) di Eluana, come se fosse il dogma della Trinità. Il secondo è mosso più da un anticlericalismo becero che non da un amore genuino per la libertà. Da un lato una concezione totalizzante dell’etica religiosa: tutti devono sottomettersi alla volontà di Dio; il dolore e la sofferenza elevano alla santità – il libero arbitrio, cardine della teologia cristiana, viene ignorato. Dall’altro una visione militante, dai tratti illiberali, intrisa di un sentimento antireligioso. Ecco: forse il filo conduttore del film è l’elogio – appassionato, ma non retorico – della libertà. Intesa in un’accezione amplissima: libertà di scelta in bioetica, e libertà di credere.
Ma è proprio qui che sorge il problema. Può il culto della libertà essere un terreno di incontro tra il laico ragionevole e il cattolico liberale? Il laico, che è un ‘relativista’, ha una vocazione libertaria molto più forte. Il cattolico, anche il più progressista, non può porsi sistematicamente in contrasto con la Chiesa Cattolica: crede nel primato di Pietro. Il quale è infallibile solo in materie dogmatiche. Ma ha un’autorità morale pressoché indiscutibile sulle questioni etiche. Non a caso, i cattolici in Parlamento formano un fronte comune sulla bioetica e sulla morale sessuale. Certo, chi milita a sinistra è più aperto alle coppie di fatto e omosessuali. Sfumature: tutti i cattolici pensano che la Chiesa abbia il monopolio della verità. Se la pensassero diversamente, diventerebbero protestanti a tutto tondo. È difficile resistere alle pretese teocratiche, volte ad addomesticare il Parlamento: Ratzinger, nel messaggio per la giornata della pace, ha ribadito il suo credo oscurantista. Il buon cattolico deve ribellarsi ai tentativi di “codificare arbitrii”; guai a legalizzare quello che è “un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia”. Bisogna opporsi alle leggi ‘immorali’: la liberalizzazione dell’aborto e l’eutanasia per i malati terminali sono “attentati e delitti contro la vita”. Il matrimonio omosessuale è addirittura “una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace”. Ecco che riappare l’antica confusione tra “peccato” e “reato”, su cui si fonda il potere clericale – il più assoluto dei poteri, perché vuole asservire la coscienza. Chi ha una morale diversa dalla mia, è un criminale. Ognuno ha il diritto di credere agli angeli, ai demoni, alle streghe o agli elfi. Ma qui si teorizza il diritto di imporre agli altri le proprie convinzioni. Legiferare sul testamento biologico significa riconoscere alle persone un diritto basato sulla libera scelta. Un diritto satanico, che puzza d’eresia. L’uomo non può disporre della propria vita, che appartiene a Dio. (Detto a latere: da decenni è in atto una lotta sorda per vanificare le conquiste del Concilio Vaticano II. Una contro-rivoluzione capeggiata prima dal mitizzato Karol Woytila e ora dal suo discepolo Ratzinger – il papa ‘laico’ Giovanni XXIII aveva rischiato di far deragliare la Chiesa dai binari dell’ortodossia.)
‘Libera Chiesa in libero Stato’: la libertà di religione è sacra. Ma lo è altrettanto l’autonomia dello Stato secolare dalla sfera etico-religiosa. La laicità è garanzia di pluralismo: fa sì che nessuna maggioranza possa imporre la propria morale a tutti i cittadini. La Chiesa post-conciliare tollera lo Stato laico, benché obtorto collo. E accetta la pluralità delle religioni. Eppure continua a rivendicare la propria centralità nella vita nazionale – l’art. 7 della nostra Costituzione è lì a ricordarcelo. Qui è la radice del problema.
Rebus sic stantibus, il cattolicesimo liberale è un ossimoro. Il concetto di libertà – se dispiegato fino in fondo – spiana la strada al protestantesimo. La dottrina del libero esame dei testi sacri nega alla Chiesa una funzione intermediatrice tra l’uomo e Dio. In tal modo, pone l’individuo di fronte alla propria coscienza.
Il cattolico veramente laico è in contraddizione con se stesso. Gran parte degli italiani non è praticante. L’abito mentale conformista – ipse dixit – ce l’hanno appiccicato addosso lo stesso. Ma, gratta gratta, sotto c’è un prorompente desiderio di liberarsi dall’abbraccio soffocante delle gerarchie ecclesiastiche.
Un altro inciso: la supposta laicità di De Gasperi è un mito, come quello del socialismo democratico di Berlinguer. Quando la Chiesa fece pressioni affinché la DC formasse un governo con la destra, egli si oppose. Ma non si sarebbe mai sognato di mettere in discussione né l’autorevolezza del Papa né la supremazia della morale cattolica nella società italiana. Del resto, la Chiesa era la cabina di regia della propaganda politica per la DC. La Chiesa si è sempre intromessa negli affari politici dello Stato italiano, in maniera diretta (mediante gli interventi della Conferenza episcopale e la capillare propaganda parrocchiale) o indiretta (la pressione sui parlamentari cattolici). Solo una pattuglia di cattolici si è ribellata a questa protervia.
La libertà moderna, quella laica e secolare, è sbocciata nella cultura protestante, soprattutto in quella inglese. Il primo grande teorico del liberalismo inglese, John Milton, era anche un teologo protestante. Il fatto che il padre della Riforma, Lutero, fosse un fanatico ispirato da una visione arcaica, medievale, del cristianesimo, non cambia la sostanza: il concetto di libero esame è una pietra miliare sulla strada verso la modernità. L’autorità dogmatica (la città sacra) cede il passo alla coscienza individuale (la città secolare).
Certo, la cultura italiana, nel Rinascimento, era più laica di quella inglese: l’Umanesimo esibisce tratti paganeggianti. Machiavelli è il primo pensatore laico dei tempi moderni. Teorizzando l’autonomia della politica dalla morale, ha detronizzato il Sacro. Ma un fatto è certo: senza le città secolari, non ci sarebbe stato il Rinascimento. Come ci insegna Luciano Pellicani, sono le condizioni materiali, i rapporti sociali, il terreno di coltura per le libertà: solo una società civile dinamica, dominata da mercanti-imprenditori, è capace di scrollarsi di dosso il giogo della teocrazia.
E infatti la religione cattolica, irriformata e irriformabile, rimase tetragona nelle sue certezze per tutto il Rinascimento. E, ai primi segnali del declino economico-sociale, fece discendere con violenza la cappa plumbea della Controriforma. In quella temperie, Machiavelli sarebbe stato arso sul rogo, seguito, forse, anche da Dante. Solo una Riforma protestante avrebbe tutelato le conquiste civili della città rinascimentale.
Ecco perché il liberal-socialismo era, ed è tuttora, egemone in Inghilterra, mentre in Italia è sempre stato una sorta di stella alpina: un fiore solitario e a rischio d’estinzione. Anche in Inghilterra, nazione liberale per antonomasia, c’è una maggioranza trasversale. Ma è laica: sui diritti civili, sull’omosessualità, sull’eutanasia, c’è un broad consensus che unisce laburisti e conservatori.
Edoardo Crisafulli