Nenni ha abbracciato per anni la causa del combattentismo interventista. L’ha fatto con articoli al solito infuocati. Ma nel 1918 comincia a dubitare seriamente, a “dondolare”, secondo l’espressione derisoria di cui lo gratifica Benito Mussolini. Col quale allora ingaggia polemiche giornalistiche durissime. Fra l’altro difende a spada tratta Leonida Bissolati, aggredito e sopraffatto verbalmente, a Milano, dai seguaci di Mussolini e di Marinetti, e pure i socialisti di Molinella, guidati da Giuseppe Massarenti, riformista, pioniere della cooperazione, assediati dagli agrari e dalla stampa borghese. Dal “Giornale del Mattino” Pietro Nenni risponde colpo su colpo a Mussolini, dopo aver fondato a Bologna un Fascio (naturalmente democratico) di Combattimento. Egli si rende conto che il patriottismo sta sempre più pericolosamente degenerando in nazionalismo (e ben presto sfocerà nel fascismo). Ma il “Giornale del Mattino” chiude i battenti e lui, che, a meno di trent’anni, ha già moglie e tre figlie, precipita nella più nera difficoltà.
Sono i mesi del severo riesame critico, dell’avvicinamento al gradualismo socialista sin lì sempre avversato. E’ passato a scrivere sul “Secolo” diretto da Mario Missiroli. Ben presto ne sarà l’inviato, anche estero, stabilendosi con la famiglia a Milano. Si sprovincializza: “Questo sguardo sull’Europa fu per me una rivelazione”, scriverà più tardi. L’8 ottobre del 1920 Pietro Nenni si dimette dal Partito Repubblicano con una lucida lettera nella quale scrive fra l’altro: “Modesto studioso ho creduto mio dovere dirvi che il vostro insuccesso politico ha le sue cause nell’assenza di un principio e di un metodo nei conflitti di lavoro”. Ha capito che Mazzini non basta più, che il metodo migliore è “quello della lotta di classe”, che la battaglia “che vale la pena di essere combattuta è quella contro i privilegi del capitale”.
Tre mesi dopo, al congresso di Livorno, la corrente comunista lascia il Partito Socialista, indebolendolo ulteriormente. Nasce il PCd’I. Il 23 marzo 1921 un’azione squadrista, violentissima, devasta a Milano la sede dell’”Avanti!”. Il giornalista faentino è corso là appena prima, ha sentito dell’intenzione dei fascisti di colpire il quotidiano-simbolo, sfruttando la grande emozione per la strage al Cinema Diana attribuita agli anarchici. Difendere la gloriosa testata fondata da Andrea Costa e immergersi, da socialista, nella battaglia antifascista è tutt’uno. Il direttore è Giacinto Menotti Serrati. Politicamente da lui tanto lontano che, pochi anni dopo, confluirà con altri “terzini” (i sostenitori dell’adesione del Psi alla Terza Internazionale) nel PCd’I. Giornalisticamente però gli offre una bella chance mandandolo subito a Parigi come corrispondente, il modo più diretto per migliorare il francese e la conoscenza di quella straordinaria capitale. Non sa che in tal modo preparerà il ben più lungo soggiorno da esule, con tutta la famiglia. Come corrispondente dell’”Avanti!” incontra per l’ultima volta il compagno di tante battaglie di sinistra, in Romagna e altrove, Benito Mussolini, alla conferenza di pace di Cannes (gennaio 1922). Nenni lo racconterà per esteso, con la capacità di scrittura che lo connota. Una conversazione notturna, “animatissima”, sulla Croisette: “I due nottambuli parlavano del loro Paese. Il destino li metteva per l’ultima volta l’uno di fronte all’altro su un piede di eguaglianza. Una vecchia amicizia, un’origine comune, molte battaglie combattute insieme; tale era il passato che li univa. I loro ideali, le loro passioni, i loro sentimenti li opponevano violentemente” (in “Vent’anni di fascismo” Edizioni Avanti! 1965). Non si sarebbero parlati mai più.
Al rientro da Parigi, diventa caporedattore del quotidiano socialista, ma non può non entrare in aperto conflitto col direttore Giacinto Menotti Serrati sempre più deciso alla fusione col PCd’I. Prospettiva assurda, avversata da Nenni che ha costituito un comitato per l’Unità Socialista. Interviene, pesantemente, l’Internazionale Comunista: “Noi insistiamo”, si legge in un suo dispaccio del 18 gennaio, “sull’allontanamento di Nenni, e che la sua opera nociva venga smascherata come disorganizzatrice del movimento proletario”. Il 3 gennaio 1923 Nenni motiva la propria posizione in un lungo articolo sull’”Avanti!”: “Il Partito deve essere interrogato subito, sul solo punto che interessa: la fusione immediata (…) a mezzo di referendum”. Lasciarlo nel marasma delle ultime settimane, “vuol dire assassinarlo”. E conclude lapidario: “Una bandiera non si getta in un canto come cosa inutile. Si può anche ammainare, ma con onore, con dignità”. Il congresso socialista di Milano (15-17 aprile) vede le tesi autonomiste di Pietro Nenni, sempre più dirigente politico, trionfare su quelle fusioniste di Serrati. E’ già il nuovo direttore dell’”Avanti!”, dal 2 marzo 1923. Pr l’autonomia e l’unità socialista inizia una nuova, accesa battaglia in una vita di qui in avanti caratterizzata dall’alternarsi di rapporti collaborativi e polemici coi comunisti. Tutto si fa più arduo con l’inasprirsi della repressione mussoliniana. In Questura gli chiedono di sottoscrivere una vera e propria sottomissione. Ovviamente rifiuta e scrive, caustico, “all’Eccellenza Mussolini”. Ricordatogli che sono stati condannati insieme, da uomini di sinistra, dal Tribunale di Forlì, chiude sferzante: “Permettetemi di meravigliarmi che un uomo che viene dal socialismo, che il figlio di un internazionalista che ha sentito raccontare dal padre attraverso quali indicibili ostacoli il socialismo è passato, caschi nell’illusione dei conservatori vissuti fuori dal popolo e lontani dal proletariato, che vi siano misure di polizia, restrizioni di libertà, mezzi inquisitori, capaci di arrestare il corso di un’Idea. Il socialismo passerà Eccellenza Mussolini!”
Nel 1924, col delitto Matteotti, il giornalista Nenni è, assieme al direttore del “Popolo”, Giuseppe Donati, faentino lui pure, una delle punte più acuminate dell’accusa contro il duce. Per un opuscolo su Matteotti gli vengono comminati 6 mesi di carcere. L’anno successivo ha un duello alla spada col giornalista Curzio Malaparte, che l’ha denigrato sul giornale di Italo Balbo (padrino assieme ad Aldo Borelli). Col quadrumviro ferrarese il direttore dell’”Avanti!” ha un violentissimo diverbio. Incontra serie difficoltà anche nel Psi sostenendo la necessità di una politica unitaria coi compagni del Psu (di cui era stato straordinario animatore Giacomo Matteotti) il cui scioglimento ad opera del governo Mussolini prelude alle leggi eccezionali. “Tutte le conquiste del passato sono annullate. Democrazia politica; sindacalismo libero; stampa libera; influenza politica del socialismo. Tutto finito. Tutto da riconquistare con animo più agguerrito, con una maggiore consapevolezza politica, con una aumentata capacità di azione. Sorge da ciò il problema dell’unità socialista”. Non viene ascoltato, i dirigenti del Psi si baloccano con lo slogan né con Londra (cioè con l’Internazionale socialista), né con Mosca (cioè l’Internazionale comunista).
La lunga lettera con la quale Pietro Nenni dà le dimissioni dalla direzione dell’”Avanti!” impressiona Carlo Rosselli. La definisce “il solo documento nuovo e valido nella letteratura antifascista”, e gli offre di fare con lui la rivista “Il Quarto Stato”. Esperienza giornalistica e politica tanto intensa quanto breve. Siamo nel 1926. La soppressione delle libertà fondamentali impedisce l’effettuazione del Congresso socialista dove Nenni doveva essere relatore. Il 13 novembre espatria, in Svizzera e poi a Parigi, aiutato da Carlo Rosselli e da Ferruccio Parri a beffare la sorveglianza poliziesca. E’ cominciato il suo lungo esilio. Vivrà facendo il correttore di bozze e il collaboratore, avrà momenti di polemica durissima coi comunisti che lo calunniano sull’”Humanité” e momenti di incontro. A questo punto egli è soprattutto un dirigente politico (che sa essere giornalista di prima fila), e non più un giornalista politico. Sarà così nei cinquant’anni che avrà da vivere. Con una continua dedizione alla scrittura, con l’invenzione di slogan efficacissimi: “O la Costituente o il caos”. Sarà l’uomo della Repubblica e della Costituzione, con la lucida polemica sull’articolo 7, sui Patti Lateranensi votati anche dal Pci nella carta costituzionale. Crederà sempre nell’efficacia degli editoriali, nel giornalismo. Compirà l’errore capitale del Fronte popolare. Saprà tuttavia riaprire una prospettiva al Psi col dialogo coi cattolici e col centrosinistra. Dopo le nuove e travagliate esperienze di governo, ridiscenderà direttamente in campo, nel ’74, per il referendum abrogativo sul divorzio, con l’antica, accesa passione laica.
Lo ricordo a 85 anni, solo, sul palco del Midas nel luglio del ‘76. E’ tutto fermo dopo le dimissioni di Mosca e poi di De Martino. I colleghi mi mandano a chiedere a lui, presidente dei lavori, di farci ammettere alla ripresa del dibattito. Mi sorride (fra l’altro siamo conterranei, mi chiamo Emiliani come sua moglie, l’amatissima Carmen). Mi prende le mani fra sue, calde e rugose. E risponde subito: “Sono giorni inquieti, molto inquieti, caro Emiliani. I colleghi capiranno. La prossima volta, la prossima volta”. Ci lasciamo con un’intesa sorridente. La volta successiva, i giornalisti vengono ammessi ai lavori del Comitato centrale del Psi, divenuti così pubblici. Per un lungo periodo. (2-fine)
Vittorio Emiliani