Tornare all’Europa dei padri fondatori

«I popoli d’Europa, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia». Così recita il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

«Sdegno è il verso che suona ma non crea» scriveva Ugo Foscolo. Una frase che, riletta oggi, appare quanto mai adatta a fungere da didascalia all’operare posto in essere in questi ultimi tempi dalle istituzioni europee. Con valori così solennemente proclamati a cui non sempre è seguita un’azione sostanzialmente ispirata e guidata dagli stessi. Ma «cos’è successo all’Europa?”, si chiede Amartya Sen. Dove sono finite la democrazia, l’uguaglianza, la solidarietà, la fine delle divisioni? Che fine hanno fatto questi nobili valori? Per ora, quantomeno nella pratica, sembrano essere assenti ingiustificati. Con l’Europa reale che appare quanto mai distante da quella promessa dai trattati.

Il sogno di un’Unione di Stati paritari e solidali sembra aver lasciato spazio alle divisioni tra paesi responsabili e irresponsabili, tra creditori e debitori, tra economie virtuose ed economie fragili, tra paesi del centro e della periferia. Davanti alla crisi, il matrimonio europeo non sembra aver prestato fede al consueto giuramento che suggella tutte le unioni: nella buona e nella cattiva sorte. I paesi più forti, devoti più a miopi interessi nazionali ed economici che a una “visione” d’Europa, invece di mostrarsi solidali verso quelli più deboli, per ora non hanno esitato a imporre loro dure misure di austerità che hanno generato solo recessione e povertà. Basti pensare al dramma sociale che sta vivendo la Grecia. «Non si aiuta un paese gettandolo sul lastrico e nella disperazione. Che aiuto è?» ha giustamente osservato il premio Nobel per l’economica Peter Diamond. Con il rischio che quanto accade in campo economico possa mettere in pericolo, come ha constatato ancora Sen, «l’idea stessa di unione, di un senso di appartenenza europeo». Le condizioni dettate dai paesi forti, oltre alle disastrose conseguenze economiche, contribuiscono a fomentare disamori e far riaffiorare pregiudizi e luoghi comuni tra i diversi paesi, in particolare tra l’asse nord e l’asse sud. Complicazione dalla quale non sono immuni i cittadini, con i contribuenti dei paesi virtuosi che appaiono restii a mostrarsi solidali con i cittadini di quei paesi in difficoltà finanziaria che in passato hanno gestito la cosa pubblica in modo non certamente encomiabile. Ma nelle vere famiglie non si abbandona chi sbaglia al proprio destino, lo si aiuta a stare al passo. Se questo non accade, e la solidarietà tra le diverse anime del continente non tornerà a essere “il valore”, si potrà parlare di convergenze economiche tra i diversi Stati europei ma non di unione. «Il malessere – ha scritto Ulrich Beck – nasce nel fatto che abbiamo un’Europa senza europei». E le condotte dei leader politici continentali, insieme alle poco lungimiranti misure messe in campo e alla scarsa solidarietà mostrata, non stanno certo aiutando a creare un’Europa dei cittadini, visto che contribuiscono a far apparire l’unione più come un fattore generatore di problemi che come un traguardo di ulteriore avvicinamento cui ambire con tutte le forze.

«I cittadini sentono l’Europa Lontana. Non possono accettare che le decisioni che bruciano sulla loro pelle siano prese da un gruppetto ristretto di persone in una stanzetta oscura di Bruxelles». Queste parole, pronunciate dal socialdemocratico tedesco Martin Schulz, evocano chiaramente l’altra grande patologia che affligge l’Europa: il deficit di rappresentanza. A causa dei cambiamenti economici avvenuti negli ultimi decenni, gli Stati nazionali (che hanno la legittimità politica) hanno perso gli strumenti per fronteggiare problematiche ormai diventate sovranazionali. Per converso, le istituzioni comunitarie e internazionali chiamate a intervenire hanno gli strumenti ma non hanno la legittimità politica. Così accade che decisioni che incideranno fortemente nella vita dei cittadini sono prese da organi privi di legittimazione democratica come BCE, Commissione Europea, FMI (la famosa Troika). Ed è questo un grave problema di sovranità, che sta contribuendo a scavare un solco preoccupante tra Istituzioni e cittadini, con questi ultimi che sembrano essersi tramutati da elettori in spettatori. Senza dimenticare che le soluzioni proposte da questi organi, oltre ad essere prive del consenso popolare, sono spesso unilaterali e indiscutibili, prive di un confronto tra posizioni diverse, il che contravviene a uno dei capisaldi del liberalismo secondo cui il progresso è frutto del conflitto tra idee diverse.

«Da dove verrà la rinascita?» si domandava Simone Weil: «solo dal passato, se sapremo amarlo». E mai come in questa congiuntura storica una soluzione al deficit di solidarietà e di rappresentanza democratica potrebbe venire dal rileggere le pagine che hanno fatto la storia dell’unione e le parole con cui i padri di quel sogno raccontavano la loro idea d’Europa. «Per un’Europa libera e unita», questo era il titolo del “Manifesto di Ventotene”, nel quale a più riprese veniva ribadita l’importanza della «solidarietà sociale» e la «necessità di organi rappresentativi» quali architravi fondanti della futura Europa unita. E non è solo una lezione di valori quella che proviene dal passato, ma anche di strategia e di condotta. All’indomani del secondo conflitto mondiale leader politici come Adenauer, De Gasperi, Schuman e Spaak seppero affrontare la questione dell’Europa futura lasciandosi alle spalle i problemi e gli errori del passato. E’ una lezione di cui gli odierni governanti farebbero bene ad appropriarsi, relegando per sempre nel dimenticatoio quell’improduttiva gerarchia tra Stati frutto delle condotte passate, con paesi che dettano e altri che eseguono. Il problema dell’unione non è solo economico ma anche politico. L’Europa va tirata fuori dal guado dove si è arenata, uno spazio ibrido dove la governance non è chiaramente né nazionale né comunitaria. Una politica europea democraticamente legittimata, una maggiore solidarietà tra le diverse nazioni, cittadini che si sentano intimamente europei e possano controllare le decisioni degli organi comunitari. E’ questa l’Europa che avevano in mente i padri fondatori. Ed è anche quella cui dovremmo tornare a guardare.

Sabatino Truppi

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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