Ricordando il New Deal

 Amartya Sen, Paul Krugman…E si potrebbe continuare ancora, visto che in questi ultimi tempi, oltre ai due autorevoli premi Nobel (Sen nel 1998 e Krugman nel 2008), tanti economisti sono concordi nel bocciare l’austerità e il rigore che sta contraddistinguendo le politiche economiche europee. Comune la convinzione che queste, vista l’indubbia portata recessiva, sono inadeguate per risanare la situazione economica del vecchio continente. Anzi, contribuiscono a peggiorarla. Rendendo ancora più difficile, con il taglio della spesa e l’aumento delle tasse, sia la ripresa economica che la tanto invocata tutela dei bilanci, considerato che un rallentamento della crescita riduce il gettito fiscale e, di conseguenza, il debito pubblico e gli interessi sullo stesso, invece di diminuire, aumentano. E i dati, tra l’altro, sembrano surrogare queste opinioni. La domanda dei mercati e i consumi sono in netta diminuzione, e a seguito di questo, com’è naturale, la produzione diminuisce, l’economia si contrae e la disoccupazione aumenta. Anche i tristemente noti spread, e con essi gli interessi sui titoli di Stato, restano ancora elevati. Con le risposte della società civile che non sono poi delle più incoraggianti. I cittadini, quelli che stanno sperimentando “realmente” i costi di queste politiche, appaiono provati dagli effetti di una medicina che sta producendo effetti opposti a quelli desiderati.

E’ poi anche la Storia, oltre alle opinioni degli economisti e al riscontro dei cittadini, a ricordare come l’austerità in un momento di crisi genera solo depressione, contrazione economica e disoccupazione; e a consigliare, per converso, politiche economiche anticicliche, con tagli in fase espansiva (e non di recessione come invece sta avvenendo) e interventi in tempi di crisi per stimolare il rilancio dell’economia. E’ la lezione degli anni ’30. Difatti, non ci stancheremo mai di osservare come l’attuale crisi economica presenta notevoli parallelismi con la grande depressione seguita al crollo di Wall Street nel ‘29. E pure allora le politiche di austerità e rigore non diedero esiti positivi. Negli Stati Uniti – come sta avvenendo oggi – le prime politiche varate dal Presidente Hoover per fronteggiare la crisi miravano alla tutela del bilancio. E queste, prive di misure e interventi che dessero respiro alle famiglie e rilanciassero l’economia, non portarono – come d’altronde sta succedendo anche in questi tempi – a risultati entusiasmanti: molte banche fallirono o entrarono in crisi, le imprese cominciarono a chiudere a ritmi allarmanti, la disoccupazione crebbe esponenzialmente e le condizioni di vita peggiorarono in modo repentino.

L’inversione di rotta, ed è utile ricordarlo, si ebbe con Franklin Delano Roosevelt. Fu quest’ultimo, armato di una politica economica diversa, non improntata all’austerità, a rimettere in piedi un paese alle corde e a porre le basi per uscire dalla crisi. Intuendo quella che poi sarebbe stata la lezione di Keynes, secondo cui la depressione nasceva da una carenza d’investimenti nell’economia che generava un calo della produzione, dell’occupazione e quindi dei consumi, e consapevole che il sistema economico non sarebbe stato capace di riequilibrarsi autonomamente, varò un piano di riforme, il New Deal, caratterizzato da interventi dello Stato per placare il disagio sociale, ridurre la disoccupazione e garantire la ripresa economica. Senza dimenticare – altra grande amnesia dei nostri giorni – di andare all’origine del problema e contrastare la speculazione finanziaria, causa generante della crisi. Con il Glass-Steagall Act venne decretata la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento, impedendo in questo modo che la speculazione finanziaria potesse generare danni per le banche tradizionali e mettere così in pericolo – com’è avvenuto con l’attuale crisi – il denaro dei risparmiatori e l’economia reale.

Le crisi, come si sa, sono tornanti della storia. Se bene affrontate possono dar vita a evoluzioni e generare miglioramenti. E’ ancora la Storia a esserne buona testimone. I rimedi di Roosevelt, infatti, oltre a trarre gli Stati Uniti dal baratro della depressione, hanno consentito all’intero Occidente di raggiungere traguardi storici. Il New deal prima e la socialdemocrazia europea dopo, ispirati dalla convinzione che libertà e sicurezza sociale dovessero marciare sincrone, responsabilizzarono i mercati, ridimensionarono le diseguaglianze e spianarono la strada alla diffusione dello Stato sociale, inaugurando così un periodo di stabilità economica e benessere che sarebbe passato alla Storia con l’appellativo sostanziale di “Trent’anni gloriosi”. Ed è utile ribadire che questi non furono figli dell’austerità ma di politiche economiche diverse, caratterizzate da un equilibrio virtuoso tra crescita economica e solidarietà sociale.

In questi ultimi tempi, però, nonostante le evidenti smentite, storiche, economiche e sociali, l’austerità e il rigore sembrano ancora farla da padrone. E valori come crescita economica e solidarietà sociale continuano a latitare tra le misure adottate per contenere questa crisi. Tanto che sembra trovare postuma conferma quell’assunto di Eschilo secondo cui la storia non sempre è maestra di vita. In fondo, la lezione degli anni ’30 è ancora ferma lì. In attesa di essere ascoltata.

Sabatino Truppi

fondazione nenni

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