L’attuale emergenza ecologica, nata da una dissennata crescita economica , ha ridato fiato agli anticapitalisti radicali , che la bancarotta planetaria del comunismo marxleninista aveva reso quasi afasici. Fra i quali Hervé Kempf, autore di un libro dal significativo titolo Per salvare il pianeta dobbiamo farla finita con il capitalismo ( Garzanti).
In realtà, la posizione che assume Kempf davanti al capitalismo è assai meno radicale di quella dei guru della decrescita come André Gorz e Serge Latouche. Per questi , la salvezza dell’umanità passa attraverso l’abolizione dell’economia di mercato . Per contro, Kempf parte dalla distinzione fra “economia capitalistica” ed “economia di mercato” : malefica la prima, benefica la seconda. Sennonché questa distinzione è affatto arbitraria, se è vero ciò che soleva reiterare Lenin , e cioè che, una volta riconosciuta la libertà di commercio, “la piccola proprietà genera incessantemente il capitalismo e la borghesia , ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e su scala di massa”. Pertanto, se si vuole salvare il mercato, come dice Kempf, bisogna rinunciare all’idea di farla finita con il capitalismo. E bisogna altresì tenere presente la lezione di un grande socialista riformista quale fu Olof Palme, condensata con la frase : “Il capitalismo è una pecora che deve essere tosata”. Esso – il capitalismo, per l’appunto — va salvaguardato poiché è l’unico sistema capace di produrre quella ricchezza materiale senza la quale , per dirla con le parole di Marx ed Engels , “ritorna la vecchia merda” : cioè la caccia spietata per l’accaparramento delle risorse scarse.
In effetti, la socialdemocrazia europea non ha soppresso il capitalismo – come hanno fatto dissennatamente i comunisti i al potere – bensì lo ha “tosato”. Fuor di metafora, la socialdemocrazia, utilizzando lo strumento fiscale, ha impiegato una parte delle risorse prodotte dal capitalismo per creare lo Stato sociale , grazie al quale sono stati garantiti quei diritti sociali per le classi proletarie che la cultura neoliberista ha sempre ignorato. Di qui l’apprezzamento del modello socialdemocratico da parte persino di liberali come Ralf Dahrendorf e Jeremy Rifkin .
Certo, la costruzione dello Stato sociale è avvenuta in una congiuntura storica nella quale non esisteva l’emergenza ecologica . Di qui l’urgenza di un nuovo modello di sviluppo . Che non può essere la mitica e magica fuoriuscita dal capitalismo, bensì la correzione progressiva del sistema esistente. La quale, per altro, è già in atto. Basti pensare all’impetuoso sviluppo della green economy, il cui obbiettivo è la decarbonizzazione dello sviluppo ricorrendo, in modo sempre più inteso e sempre più massiccio , alle fonti rinnovabili. Come sta facendo l’Italia, il cui mercato del solare nel 2011 ha scavalcato quello della Germania e si è collocato al primo posto nel mondo. Inoltre, il settore , sempre più in crescita , delle fonti alternative, ha raggiunto un fatturato di 16 miliardi di euro e di 150 mila addetti. L’Italia verde, insomma, è già una corposa realtà. Essa indica la via che bisogna percorrere con la massima decisione per ridurre drasticamente le emissioni inquinanti , cui si deve il pericolosissimo riscaldamento globale dell’atmosfera.
Ancora una volta, la soluzione concreata è indicata dalla cultura riformista, non già dalla cultura massimalista, che vagheggia rotture radicali con l’esistente, impossibili quanto irresponsabili .
Luciano Pellicani
condivido perfettamente