Pare proprio che le cose per l’Europa vadano volgendo al peggio. L’egoismo dei paesi più forti, il disinteresse verso il tanto sbandierato interesse comune europeo, stanno mandando in pezzi i fragili equilibri dei paesi più deboli, non solo la Grecia, ma a cascata da qui a poco tempo anche la Spagna e chissà dopo anche l’Italia. Il paese leader in Europa sembra avere scelto. Il suo destino deve rimanere confinato a una area del marco, nei fatti già oggi esistente, sottratta alle influenze europee, e decisa a giocare in solitudine (forte dei surplus commerciali accumulati) la partita sul mercato internazionale. Per i paesi mediterranei (ma anche per la Francia che del club anseatico non farà parte) la prospettiva è quella di una ulteriore marginalizzazione, stretti tra i vincoli di bilancio, i debiti pubblici insostenibili e l’impossibilità a fare leva sulla moneta per recuperare competitività. Scordiamoci le svalutazioni competitive. Non è questa l’arma che può permettere all’Italia di risollevarsi. Quel tempo si è chiuso con l’entrata nell’Unione. Eppure non tutti giochi sono a somma zero. Da quella unione non tutti hanno guadagnato allo stesso modo. Non è certo un segreto che dall’introduzione dell’euro sia stata soprattutto la Germania a trarre beneficio. Né è un segreto che le opportunità offerta dalla moneta comune non sono state appieno colte da paesi come l’Italia. L’idea dei vincoli esterni capaci di imporre cambiamenti strutturali all’interno (ci riferiamo in particolare all’ammodernamento dell’apparato produttivo) è sostanzialmente fallita.
C’è tuttavia un’altra questione sul tavolo a cui non si dà risposta. Gli squilibri di bilancio dei paesi mediterranei (pensiamo alla Grecia) sono stati funzionali all’espansione commerciale dei grandi paesi esportatori, a cominciare dalla Germania, le cui banche hanno alimentato per tanti il consumo a debito dei paesi non esportatori. Fino al punto di non ritorno. E’ stato per anni alimentato un circuito che ha aumentato gli squilibri. Dietro il mantra del rigore si celava una ben diversa prospettiva. Oggi che i nodi vengono al pettine la risposta è il disinteresse di chi invece dovrebbe esercitare fino in fondo le responsabilità di una leadership collettiva. Ma la Germania non guarda più all’Europa. Guarda al Brasile, alla Russia, alla Cina. E’ lì che oggi si concentra l’attenzione e l’interesse delle grandi aziende tedesche. L’Europa non serve più. Joschka Fischer ha di recente detto che la Germania per la terza volta in un secolo si sta assumendo la responsabilità di distruggere l’Europa. Speriamo tutti che non sia così. Ma il rischio di una disintegrazione appare davvero reale. E le responsabilità della Germania sono quanto mai evidenti. Mai come adesso avremmo bisogno di leader europei capaci di unire e non di dividere.
Andrea Ciarini