Alla tesi di Sergio Bertolissi, secondo la quale “le ragioni profonde della caduta del sistema sovietico ridiedono tutte nella sua natura”, sulle pagine del “Riformista” Gianni Cervetti ha obbiettato che , così argomentando, si “cade nel determinismo , che non lascia spazio all’intervento di individui singoli”.
L’obbiezione metodologica di Cervetti è senz’altro da condividere. Resta il fatto, però, che l’inevitabile fallimento del sistema sovietico era stato previsto sin dal 1920 da Ludwig von Mises con il famoso saggio Il calcolo economico in uno Stato socialista . Non diversa la conclusione cui, quasi contemporaneamente, giunsero Max Weber ( Economia e società ) e Francesco Saverio Merlino ( Il problema economico e politico del socialismo). La quale può essere sinteticamente formulata in questo modo : dal momento che il calcolo economico richiede, come premessa istituzionale, il mercato, l’espressione “economia pianificata” è un ossimoro, una contraddizione in termini, una cosa impensabile.
Ebbene : la storia si è, per così dire, incaricata di fornire una massiccia corroborazione empirica della tesi di Mises, Weber e Merlino. Il sistema sovietico è imploso precisamente a motivo dell’idea dalla quale era nato, formulata da Lenin con queste parole : “Fino a quando esiste lo scambio, è ridicolo parlare di socialismo”. Come dire : realizzare il socialismo significa annientare il capitalismo estirpando la logica catallattica.
Due anni prima, Karl Korsch era giunto alla stessa conclusione di Lenin, così argomentando : “Se si chiede a un marxista che cosa intende per socialismo, si ricava come risposta, nel caso migliore, una descrizione del capitalismo e l’osservazione che il socialismo avrebbe eliminato questo capitalismo con la socializzazione dei mezzi di produzione. Tutto l’accento è posto sull’aspetto negativo, cioè che il capitalismo deve essere eliminato; anche l’espressione socializzazione dei mezzi di produzione significa anzitutto nient’altro che la negazione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Socialismo significa anticapitalismo. Il concetto di socializzazione dei mezzi di produzione ha un chiaro significato negativo: nel suo aspetto positivo è vuoto non significa nulla”.
Il paradosso del così detto “socialismo scientifico” è evidente: pur non avendo un programma positivo, esso aveva proclamato che il capitalismo doveva essere raso al suolo. Il che è esattamente ciò che fecero i bolscevichi, statizzando integralmente l’economia . E lo fecero non immaginando che il piano unico di produzione e di distribuzione — anziché sviluppare armonicamente le forze produttive, come avevano assicurato Marx ed Engels — avrebbe spinto la Russia verso il pantano della stagnazione scientifica, tecnologica ed economica.
Si dirà: ma se la tesi di Mises, Weber e Merlino è corretta, come spiegare il fatto che per decenni il sistema sovietico ha mostrato una vitalità tale da indurre uno studioso del valore di Joseph Schumpeter a ritenere che l’economia di comando era costruita in modo razionale ?
La risposta a questo quesito l’hanno fornita Roy Medvedev e Ernest Mandel . Il primo, documentando che le draconiane misure adottate dai bolscevichi non eliminarono punto gli scambi, tant’è che, persino durante gli anni del “comunismo di guerra”, l’economia sovietica fu caratterizzata dalla presenza del mercato nero. Il secondo, descrivendo la vasta e ramificata economia di mercato che, sotto la spietata dittatura staliniana, operava accanto all’economia ufficiale e che le autorità tolleravano. Il che induce a pensare che il Partito comunista era in qualche modo consapevole che le relazioni mercantili, oltre ad essere inestirpabili, erano indispensabili. C’era, inoltre, un’altra variabile parimenti decisiva per la sopravvivenza del sistema : lo Stato sovietico attingeva a piena mani alle innovazione (organizzative, merceologiche, tecnologiche, scientifiche, ecc. ) prodotte dal capitalismo esterno. Esempio classico : il taylorismo.
E’ accaduto, così, che , per oltre 70 anni, l’economia sovietica è sopravvissuta grazie alla presenza del capitalismo ( sia interno che esterno) ; grazie, cioè, al sistema che l’ideologia obbligatoria di Stato riteneva irrimediabilmente destinato a finire nella “pattumiera della storia”.
Il che non significa che il sistema era irriformabile. Lo era. Ma a una precisa condizione : che accettasse l’istituzione – il mercato — per annientare la quale i bolscevichi avevano conquistato il potere e sottoposto il popolo russo alla più sanguinaria tirannia che la storia ricordi. In altre parole, che accettasse di dichiarare pubblicamente di essere nato da una premessa totalmente errata . Esattamente come ha fatto il Partito comunista cinese quando i suoli dirigenti – con Deng in testa – hanno capito che distruggere l’iniziativa privata significa distruggere quella che Bucharin chiamava “la gallina dalle uova d’oro”.
Luciano Pellicani
Mah. Esistono teorie, abbastanza plausibili, che l’Unione sovietica non rappresenta altro che il fallimento del tentativo di amministrare un sistema della relativa complessità con carta, matita, calcolatori da tasca, schedari, telescriventi e (forse) sistemi meccanografici.
Che il mercato superasse per potenza di calcolo e banda passante tali mezzi rudimentali – con cui per altro sono da lungo tempo efficacemente amministrati sistemi molto più piccoli, come ad esempio una fattoria semi-autarchica a gestione familiare – poteva ben essere scontato, tanto più in un paese arretrato e sostanzialmente sotto assedio, ma questo non ci dice nulla sulle virtù o sui difetti intrinseci della pianificazione rispetto al gioco della domanda e dell’offerta.
Per esempio, il vero esempio oggi di economie pianificate su larga scala non è rappresentato certo dai pochi, e relativamente marginali e disastrati, stati socialisti tuttora in circolazione, ma piuttosto proprio dalla forma super-matura di capitalismo rappresentata dai grandi conglomerati e gruppi, il cui funzionamento interno NON si basa affatto su logiche di mercato, ma appunto su capacità di pianificazione e gestione che si sono rese disponibili soltanto negli ultimi decenni.
E non a caso, tentativi largamente “ideologici” di introdurre la Mano Invisibile anche in tale ambito, quale quello di Akers con l’IBM degli anni ottanta, sono stati completamente abbandonati sulla base semplicemente dell’esperienza empirica