Passato, presente e futuro in Lombardia

 Ho vissuto in Lombardia per un ventennio, ho lavorato da giornalista “sul campo” nelle provincie lombarde e a Milano per diciotto anni. Allora la regione, oltre ad essere la “locomotiva” del primo boom economico, era un laboratorio politico di grande interesse e qualità. Tant’è che Milano si diede una giunta comunale di centrosinistra organico – sindaco il socialdemocratico Cassinis, rettore del Politecnico – molto prima del governo nazionale e di altre grandi città italiane. L’assessore al bilancio era il giovane Piero Bassetti poi primo presidente della Regione. Il Psi aveva una presenza nelle amministrazioni decisamente qualificata, come del resto in Parlamento. Ricordo che una piccola provincia come Sondrio esprimeva 2 deputati socialisti. Uno dei quali, l’on. Zappa, presidente della commissione Giustizia, fu decisivo per l’approvazione in commissione del disegno di legge Baslini-Fortuna sul divorzio. Non mi dilungo oltre. Ma mi domando: com’è possibile che la maggioranza dei lombardi si senta rappresentata da personaggi come Berlusconi e Bossi? Cos’è successo di degenerativo nel corpo elettorale della prima regione italiana per provocare pulsioni suicide come la “secessione” del Nord, una autentica scemenza nel contesto globalizzato, e anche simpatie per un partito come la Lega che – a parte alcuni sindaci interessanti – ciancia al vento di federalismo senza concretizzarlo in nulla, dopo essersi fatta scippare da Berlusconi, per pura demagogia elettorale, l’Ici sulla prima casa, cioè una delle pochissime leve fiscali importanti e autonome e dopo aver privato le Regioni di ogni reale autonomia rispetto ai trasferimenti finanziari dal centro? E’ vero: le elezioni comunali a Milano hanno invertito la rotta, anche nel Pd, dimostrando che con gente nuova o comunque pulita e competente, alla fine, si vince. Mentre coi Penati non si andava da nessuna parte. Però, se le forze della sinistra riformista vogliono tornare a vincere e a contare più diffusamente nel Nord, devono, io credo, sforzarsi di capire meglio perché quelli che sono stati i più attivi laboratori politico-culturali del Paese sono scivolati nelle mascherate leghiste del Monviso o di Pontida dando loro un credito che dura ormai da un trentennio.

Vittorio Emiliani

 

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