Referendum. E poi?

Tema da referendum: la legge elettorale. Slogan che lo accompagna: “No al porcellum”. E sta bene, ma è tutto qui? Forse che no o forse che sì. L’incombenza della questione può essere più complessa, anche dopo l’eventuale eliminazione della legge vigente e la sua sostituzione con una più aggiornata e più confacente. Ma confacente a che?

Ci sono alcune forche caudine da oltrepassare, quali che siano le soluzioni da doversi adottare e adattare. Sì, perché di adattamento alla situazione concreta, è ciò di cui si tratta. Mettiamoli in elenco questi passaggi sotto forca obbligata. Intanto lo sbarramento: da tenersi o da non tenersi? E se da tenersi, in quale misura: 3, 4, 5 per cento? Il ritorno al senza sbarramento sarebbe da Prima Repubblica, criterio non replicabile comunque si pensi o si metta. Inoltre: premio di maggioranza o no? E qui la “misura” conta poco, perché ciò che conta è che tale premio ci sia o non ci sia.

Angelo Panebianco in un suo articolo sul Corriere della sera, già qualche mese fa, ricordava che comunque vadano le cose, anche a berlusconismo dissolto, anzi proprio nell’ipotesi della sua dissoluzione, il problema che si pone a tutti gli altri partiti, soprattutto a quelli che risulterebbero vincitori, è quello di evitare la frantumazione (la quale, sia detto tra parentesi, non sembra proprio evitabile).

Ora, si sa, che il ragionamento alla Panebianco, conoscendone il metodo, porta a pensare che lo sbarramento (sufficientemente consistente) e il premio di maggioranza (in adozione nelle migliori democrazie in atto e in uso), sono entrambe procedure praticate ai fini di garantire sia la governabilità e sia per evitare il pericolo della frantumazione.

Porcellum o non porcellum che sia, le giaculatorie contro le liste bloccate, a favore dello spontaneismo della scelta delle preferenze libere, si sa che porterebbero a ciò che ne è derivato ai tempi della Prima Repubblica, quando sui voti di preferenza erano le correnti dei partiti a esserne beneficiarie e non il partito come tale e per il quale il cittadino medio intendeva votare.

Sicché, allora, i risultati elettorali “risultavano” (è proprio il caso di dirlo) conformi alle interessenze delle correnti, cioè dei sub partiti correntizi, e non all’impostazione dichiarata dal partito stesso.

Si aggiunga che fu il sistema dei voti di preferenza che portò alla corsa dei finanziamenti illeciti della politica (o meglio della non politica), con tutto quello che ne è conseguito, a partire da Mani Pulite.

In calce ci sarebbe da dire che la disputa sulla nuova legge elettorale mette in campo anche la questione del doppio turno. Questione in sé abbastanza indifferente, se non si richiamasse anch’essa al criterio che la sua adozione viene escogitata proprio per rafforzare la facilità della governabilità come tale. Da osservare, inoltre, che l’adozione del doppio turno è funzionale all’affermazione e al rafforzamento della bipolarità del sistema politico.

Mentre si dà il caso che i referendari anti-porcellum, da un lato (con la mitologia delle primarie e della democrazia partecipata) e i centristi-terzisti, dall’altro, si diano da fare proprio per contrapporsi al consolidamento del sistema bipolare.

I loro reciproci auspici e propositi, andrebbero tutti, di conseguenza, si voglia o non si voglia, in direzione di quell’ingovernabilità e di quella frantumazione, su cui Panebianco ha sviluppato da sempre la sua argomentazione di sorveglianza.

Cesare Milanese

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