Due logiche in conflitto (e la missione dei socialisti)

 I socialisti, avendo sin dall’inizio fondato la propria azione politica su un’attenta analisi sociologica che non ha mai risolto in un’equazione capitalismo e mercato, sono stati tra i pochi a comprendere che esistono nella società due logiche in conflitto: quella micro del sistema aziendale e quella macro del sistema economico. Ciò che è razionale a livello micro non lo è necessariamente a livello macro. L’imprenditore sostituisce appena può i lavoratori con computer e automi, aumentando così produttività e competitività. La macchina lavora ventiquattrore al giorno, non sciopera, non si ammala, e – a parte l’investimento iniziale – costa l’energia che consuma. La logica non fa una grinza, al livello micro dell’impresa, ma genera un problema al livello macro della società: se così fan tutti, evapora non solo la classe dei lavoratori ma anche quella dei consumatori. E le aziende sono costrette a chiudere, oppure a cercare nuovi mercati – un tempo con l’aiuto delle cannoniere e oggi con quello dei droni. Ma c’è un limite a questa valvola di sfogo: quello in cui tutti i mercati diventano componenti di un’economia globale.

Ecco dunque la semplice verità su cui hanno sapientemente basato la propria politica i socialisti europei per due secoli: il mercato produce ricchezza, ma non necessariamente benessere. Affinché i frutti della rivoluzione tecnologica siano dolci per tutti, si debbono perciò indurre le imprese ad assumersi responsabilità sociali. Lo sviluppo della tecnica deve andare di pari passo con una graduale riduzione dell’orario di lavoro e una razionale redistribuzione dei profitti. Ma, per il ben noto dilemma del prigioniero della teoria dei giochi, in una logica solo competitiva e non cooperativa, prevalgono le decisioni irrazionali. A nessuno conviene guardare al di là del proprio bilancio, se non viene obbligato da un’autorità superiore.

E qui arriviamo al punto dolente, già sottolineato nel “Manifesto” di Luciano Pellicani: un partito socialista o è un partito di massa o non è. Purtroppo, l’unico partito di massa della sinistra italiana non vuole essere socialista. Eppure, se qualcuno a sinistra ha smarrito la strada, convinto che il modello americano fosse quello da seguire a livello economico e politico, di fronte a questa crisi dovrebbe finalmente riaprire gli occhi. Per svolgere fino in fondo la propria missione, una forza sinceramente di sinistra non deve ingrossare il comitato d’affari dell’élite capitalistica che già staziona in Parlamento, non può ridurre il proprio ruolo ad aiutare gli speculatori finanziari a privatizzare i profitti e nazionalizzare le perdite, togliendo ai cittadini reddito e servizi. In breve, non può flirtare con i poteri forti. Li deve fronteggiare con l’orgoglio di ciò che rappresenta. I lavoratori, gli studenti, i pensionati non hanno a disposizione grandi capitali o blocchi di potere mediatico. Hanno dalla loro soltanto il numero. Per quanto scalcinata e cialtrona possa essere una democrazia, il numero permette in linea di principio ai lavoratori di assumere, tramite i propri rappresentanti, il controllo di un apparato potente come quello statale, che include un parlamento che legifera e istituzioni che attuano o eseguono le leggi, come i ministeri, la magistratura, l’esercito, la polizia. Attraverso una presa di coscienza collettiva, i lavoratori possono diventare – e sono diventati più volte nel corso della storia – un potere forte che dialoga con altri poteri forti. Con pari dignità. Nonostante qualche sbandamento occasionale, questo hanno fatto per secoli e continuano a fare i laburisti inglesi, i socialdemocratici tedeschi e scandinavi, i socialisti francesi e spagnoli. Purtroppo, non potremo più farlo noi italiani, finché non avremo un partito socialista di massa.

Riccardo Campa

fondazione nenni

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