–di MAURIZIO FANTONI MINNELLA–
Proviamo, non senza indignazione e un po’ di sano disgusto, a osservare la guerra Russo-ucraina dal punto di vista italiano, ossia dal nostro punto di osservazione privilegiato.
Abbiamo davanti a noi uno scenario a larga maggioranza interventista che inevitabilmente ci riporta indietro nel tempo, ossia alle interminabili diatribe avvenute allo scoppio della Prima Guerra Mondiale che vide i socialisti favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia rispetto a quella minoranza di partito che poi andò alla scissione di Livorno del ’21. Non abbiamo, evidentemente, fatto tesoro dell’esperienza della storia con la esse maiuscola, al punto che se oggi, paradossalmente, vi fosse un pericolo di regime autoritario, in epoca di giustificazionismo, la maggioranza dagli italiani non esiterebbe ad accettarne l’inevitabilità e fors’anche la necessità.
Secondo: abbiamo assistito ad una vera e propria caccia alle streghe su chi avesse anche solo in passato avuto a che fare con la Russia, la sua cultura, i suoi scrittori etc. Tutto ciò che è russo dovrà essere bandito, dalle mostre di pittura alle lezioni universitarie di letteratura, alle fiere specializzate. Fortunatamente non tutti rispondono al diktat e nelle libreria di catena si espongono in bella mostra opere di autori russi!.
Abbiamo assistito al linciaggio morale di un professore universitario, serio e pacato, Alessandro Orsini, reo di parteggiare per una risoluzione pacifica del conflitto, la sola ipotizzabile per evitare il peggio (ossia un ulteriore spargimento di sangue di civili e di militari e un possibile allargarsi del conflitto). Con l’accanimento mediatico da parte di una pletora di giornalisti mainstream, televisivi e della carta stampata nei suoi confronti, con la ridicola accusa di essere filo-putiniano (sebbene si dichiari amico dell’America!), torna alla memoria il vecchio adagio maoista, ripreso successivamente dalle Br, “Colpirne uno per educarne cento”. In effetti a ben vedere egli non è il solo a pensare diversamente da una maggioranza agguerrita e dai metodi un po’ fascisti (con il giornalismo sempre in prima fila e liste di proscrizione ben redatte), ma se è lui a pagare più degli altri, non è detto che gli altri 99 vogliano essere rieducati da una morale come quella che vediamo trionfare in questi momenti, come quella ancora più ipocrita di un giovane blogger che nell’auspicare con spocchiosa baldanza la messa al bando di Orsini, pur riconoscendo cinicamente che costui potrebbe perfino avere ragione, ne biasimava il metodo che, a dir suo, avrebbe fatto di lui una vittima!. Quanto a ipocrisia, non stupisce quest’ondata di ospitalità e disponibilità di massa verso i profughi ucraini (in quanto popolo eroico sott’attacco nemico), quando fino a ieri per la maggior parte delle persone l’Ucraina era solo un puntino sulla carta geografica, o al massimo corrispondeva al volto corrugato di tante badanti al nostro servizio…! E poi si dovrebbe, forse, dubitare della serietà di un paese che manda allo sbaraglio, lontano da casa, migliaia di donne giovani e meno giovani a servire i nostri bisogni, destinando a terzi scomodità e brutture come la vecchiaia e la malattia, mentre gli uomini se ne stanno a casa a imparare la guerra?!. E i profughi provenienti da altre guerre, musulmani o di colore, provenienti dal Medio Oriente o dall’Africa? Erano stati gli italiani così disposti ad accoglierli nelle loro case con così tanta generosità e prosopopea? Al contrario, nel tempo, abbiamo imparato dalla politica e dall’opinione pubblica, o almeno da consistenti parti di esse, l’arte del respingimento. Oggi invece, come recita uno slogan molto in voga in certa sinistra, “siamo tutti ucraini”. E perché mai dovremmo esserlo se siamo italiani? Ad unire, invece, russi e ucraini vi è una profonda radice comune, storica e culturale, dunque anche alla luce di ciò questa guerra risulta ancor più paradossale. E accodarsene, da parte nostra, ottuso e servile ancora una volta rispetto a dinamiche atlantistiche di cui saremmo al pari della stessa Ucraina utili pedine di una scacchiera geopolitica dove si auspica un solo vincitore.
Sarebbe bene che anche l’Anpi, ancora una volta divisa, capisse che questa non è più la nostra resistenza (forse Smuraglia e i suoi fedelissimi hanno nostalgia di “armi e bagagli, tutti in montagna”), ma quella di un governo ultra-nazionalista e oligarchico contro un altro più grande ma della stessa natura, entrambi figli malati del crollo dell’Urss e dell’ideologia marxista. Di un odio metodico che genera altro odio che in questa fase storica si manifesta con un’invasione. Fermare l’invasione con la diplomazia e il giusto compromesso sulla base delle ragioni degli uni e degli altri, significherebbe resistere alla tentazione di un non impossibile disastro. Ma facciamo pure un passo indietro: dov’era l’Anpi nazionale quando si trattava di difendere il popolo palestinese dagli attacchi israeliani con le bombe al fosforo e ai raid aerei nella Striscia di Gaza?. Non è forse quello palestinese, un popolo resistente da oltre cinquant’anni? Ma già l’ipocrisia che aleggia anche a sinistra sembra proprio essere un male italiano di cui prima o poi dovremmo liberarci per non dover guardare in futuro con vergogna alle scelte fatte. E intanto sulla lista abbiamo già un’Anpi “buona” (Smuraglia) e una “cattiva” (Pagliarulo), a perpetuare l’eterna lotta tra chi fa il bene e chi invece, commette il male. Un po’ ovunque, nella politica come nella cultura, c’è odore di semplificazione, di regressione rispetto alla complessità dei problemi e alla dialettica necessaria ad affrontarne i nodi e a scioglierli, come questo, forse più grande di altri, della guerra in Ucraina.
Abbiamo visto magnificare il presidente ucraino Zelenskj che vorrebbe armare tutto il popolo in uno scoppio di furor patriottico militarista, che non significa affatto resistenza (smettiamo una volta per tutte di usare questa parola a sproposito), al punto di proporlo come invitato (da remoto, si intende), alla notte degli Oscar (!), quando sappiamo essere un comico e insieme un oligarca funzionale alla strategia politica americana, invocare la Nato come eterno ombrello protettivo (in realtà organismo creato per fare guerre, secondo le parole dello storico liberale Sergio Romano), stringere la mano a un despota come Erdogan o a un ultra nazionalista come il presidente polacco Andrzej Duda, riscoprendoli come d’incanto propri alleati, riabilitare il Battaglione Azov che agli occhi degli osservatori stranieri non deve essere più filo-nazista ma semplicemente patriottico, sebbene di fatto lo sia. E tutto questo in nome di una presunta democrazia planetaria!.
Abbiamo letto di un presidente americano, Joe Biden, che dichiara l’ipotesi di un colpo di stato per destituire il “macellaio” Putin, quando invece, dovrebbe decidere democraticamente il popolo russo se accettare o meno tale eventualità. Ma d’altro canto, sappiamo gli americani essere grandi esperti in colpi di stato, ma naturalmente fuori dai propri confini!…
Esiste un video che da qualche giorno circola in rete che si potrebbe tranquillamente intitolare: Lezioni di odio, dove si educherebbero i bambini ucraini durante una festa ad odiare letteralmente tutti i russi senza distinzione. Non è accaduto oggi ma nel 2014, quando l’Ucraina, con il colpo di stato venduto come rivoluzione di popolo, ufficialmente dichiarava guerra alla Russia di Vladimir Putin.
Ma la vulgata politica che oggi si muove indisturbata sui media, sicura della vittoria che poi non è nemmeno la nostra, ancora una volta declina la pace attraverso la guerra, dimenticando, forse, che siamo nel cuore dell’Europa, e che gli attori sono altri e di ben diversa rilevanza rispetto al passato. O forse semplicemente hanno scelto di prendere posizione, facendo proprio il vecchio manicheismo dei buoni e dei cattivi (come peraltro ci ha sempre insegnato la cultura politica americana), preferendo all’obiettività dei fatti e dei misfatti, l’aggressività di una “discesa in campo” dalla parte delle vittime derubricando gli aggressori come non degni di stare nell’Europa “civile”.
N°28 del 30/03/2022