– di MAURIZIO FANTONI MINNELLA –
Che cosa agita, talora in maniera furibonda e incontrollata, l’animo dei credenti, in larga parte di fede cattolica, al punto di formulare la tesi su un presunto ateismo di Papa Francesco?
Il fatto di non avere assolto ad uno dei compiti fondamentali di un Pontefice, ossia quello di garantire, non solamente quella continuità ed autorità del ruolo della Chiesa nel mondo cristiano, ma anche quello di ricondurla ai principi della trascendenza e della spiritualità. A chiederlo, anzi, a pretenderlo, è l’ostinata convinzione secondo cui il cattolico osservante si sentirebbe protetto più da un’idea di trascendenza che dal fatto di vivere in un mondo fatto di maggiore giustizia e uguaglianza, dove i poveri siano meno poveri e che a ogni uomo sia ridata la dignità che gli spetta in quanto essere umano, un mondo, insomma, in cui l’atto dell’unire genti e culture diverse prevalga su quello del separare. Ma che questa dottrina, troppo simile ad un pensiero politico socialista, giunga proprio dalla massima autorità della Chiesa cristiana, diviene altresì intollerabile per conservatori e reazionari di ogni sorta, dentro e fuori la Chiesa, proprio per il fatto che quest’ultima, nonostante i significativi cambiamenti dettati dal Concilio Vaticano II, debba restare, nella sua idea di unità e di perfezione e immutabilità, al di fuori della Storia, e, dunque, di qualsiasi temperie politica, così da poter sempre trovare in essa un rifugio, una sorta di illusione rispetto alle traversie dell’esistenza e soprattutto alla costante idea della morte. Ma la parola di Dio non è la parola del Cristo, dunque, alle virtù teologali e ai dogmi religiosi, si vuole contrapporre la forza evocativa e pratica delle parabole evangeliche, poiché il fine ultimo della Chiesa non è quello di riflettere l’infallibilità dei propri dogmi, ma quello di destinare la parola nella definizione di un tracciato possibile nel quale, secondo un ossimoro necessario, “praticare l’utopia”. Al cattolico che insiste con questa assurda formulazione di ateismo papale, è doveroso ribadire che la dottrina di Cristo è ricollegabile e attualizzabile ad un pensiero di cambiamento, di trasformazione sociale che rifiuti, come è stato recentemente affermato dallo stesso Pontefice, sia gli eccessi della globalizzazione che la miseria dei sovranismi. Stupisce, allora, e fa dunque riflettere il fatto che la formulazione di una terza via giunga proprio da un uomo della chiesa, e non in seno ad una cultura laica e di sinistra, che al contrario continua a predicare il globalismo senza coglierne le contraddizioni e i pericoli. Quindi, appare chiaro che anche la tesi secondo cui Papa Francesco sarebbe un prodotto dei tempi attuali, si rivelerebbe fallace alla luce delle sue stesse dichiarazioni. Ad esempio, l’accusa di visione globale della povertà che non conosce barriere e confini, ma che è riscontrabile ovunque si voglia porre il proprio sguardo, non regge se come alternativa si intenda far riemergere sotto altre spoglie, il diktat sovranista dei “poveri di casa nostra più importanti di quelli di altre latitudini”, a conferma dell’antico pregiudizio liberal conservatore che vedrebbe valori come caritas cristiana e solidarietà laica come antieconomici, e perciò, dannosi ai principi dell’economia di mercato. Laddove prevale per tradizione l’astrazione del dogma, Francesco, sostituisce la concretezza dell’esperienza.
Vi è, tuttavia, il pericolo reale che una dottrina come questa, basata sulla speranza, ma anche sulla volontà individuale, corra il rischio di trasformarsi in facile populismo mediatico, se la propria enunciazione non trovasse delle risposte adeguate nella società civile. Un uguale destino, in fondo, accomuna tutte le rivoluzioni, che alla prova dei fatti, risultano impossibili diventando per questo, oggetto di culto o di una retorica demagogica che ne farebbe nutrimento per il nostro asfittico mondo occidentale iper tecnologico a cui è stata da troppo tempo strappata la speranza di un reale cambiamento. Coloro che ancora dissertano, accigliati, sulla presunta ignoranza di Papa Francesco in materia di Sacre Scritture e in dottrine teologiche, si fermino un po’ a riflettere sull’impoverimento di questa civiltà, sia in materia di spiritualità, di etica, di politica e di cultura, in altre parole, di un progetto a lunga scadenza che metta in crisi l’economia di mercato nei suoi nuovi assetti globali. Ma proprio tali persone, e in Italia ve ne sono molte, che si agitano dichiarando che in Vaticano è in atto un’eresia, si comportano alla stregua di coloro che indicavano, ad esempio, negli Ugonotti, i nemici della fede cattolica, convinti dell’evidenza che niente possa realmente cambiare nella vita sociale e che, quindi, tocchi ancora una volta alla Chiesa farsi carico della sacralità dei misteri, nel mentre si continua a voler ignorare il sacro che è nella natura e nella vita stessa. Ancora una volta sono due le chiese a contrapporsi in un confronto-dialogo che talvolta sembra voler negare sè stesso, affinchè ciascuna forza possa, comunque, continuare ad autoalimentarsi: quella cristiano sociale di matrice solidaristica che si direbbe progressista, e quella dogmatica dell’ortodossia religiosa, conservatrice, in quanto custode di quell’idea di assoluto che soltanto i dogmi sono ancora in grado di garantire.
Forse una rivoluzione Papa Francesco l’ha fatta, la sola possibile, pur con la feroce reazione che essa ha generato, quella di avere, per così dire, “trasferito”, dal tessuto sociale e culturale d’origine latinoamericana, la cosiddetta “Teologia della Liberazione”, dottrina ritenuta eretica dalla chiesa ufficiale, di teologi come il brasiliano Leonardo Boff (1938), e di farla propria, riproponendola ai vertici della chiesa cristiana. E’ bastato un uomo solo e il suo potere a riaffermare, difendendoli, i valori di una chiesa schierata per vocazione dalla parte dei poveri, al contrario di quanto accadeva, durante gli anni ’80 del secolo passato, nel lungo processo rivoluzionario sandinista, dove un teologo come Ernesto Cardenal (1925-2020), che era anche un grande poeta e uomo politico, avrebbe potuto influenzare in maniera decisiva gli esiti di quella rivoluzione che furono, invece, disastrosi, anzichè finire emarginato nel buon ritiro artistico e spirituale dell’isola di Solentiname, nel lago Nicaragua, da cui prese le mosse il “suo” Vangelo.
Se, infine, Pier Paolo Pasolini nel suo film testamento Salò o le Centoventi giornate di Sodoma, 1975, aveva fatto dire ad uno dei protagonisti che “vi è solo un’anarchia, quella del potere”, parafrasandolo, per paradosso, si potrebbe, allora, con assoluto disincanto, affermare che esiste solo una possibile rivoluzione, quella del potere.