LE CARCERI IN TEMPI DI PANDEMIA E RECOVERY FUND

-di GENNARINO DE FAZIO-

La pandemia da Coronavirus che ha colpito la comunità globale ha fatto ascrivere tra le sue più tragiche conseguenze, in un elenco che peraltro si teme ancora incompleto, anche la scintilla che ha innescato i disordini carcerari di marzo scorso e che hanno a loro volta causato i 13 morti, decine di feriti e di evasi.

Ulteriore conseguenza dell’emergenza sanitaria, ma soprattutto dell’inesistente progettualità e della conclamata incapacità nella gestione penitenziaria, sono state alcune scarcerazioni assurte alla ribalta della cronaca e che hanno provocato, oltre a noti scontri istituzionali con al centro il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, le dimissioni del Capo del DAP Francesco Basentini e del Direttore Generale della D.G. dei Detenuti e del Trattamento, dello stesso DAP, Giulio Romano.

D’altronde, quando si affronta la quotidianità come se fosse emergenza, navigando a vista e accettando anche come naturalepiù di una falla da cui si imbarca acqua accontentandosi di non affondare, è consequenziale che nel momento in cui si incorra in emergenze reali il sistema non sia più in grado di reggere.

Cambiato il nocchiere e altri componenti dell’equipaggio e ripreso in qualche modo il controllo della galera alla deriva, ormai lontani dai riflettori mediatici, appare indispensabile ritracciarne la rotta e ripensarne l’organizzazione e il governo, non tanto e non solo per farsi trovare pronti alle future tempeste, ma soprattutto per tendere, finalmente, verso l’assolvimento del mandatocostituzionale.

In proposito, va preliminarmente considerato che il Paese avrebbe bisogno di un progetto complessivo in tema di giustizia, come peraltro in un recente passato si era tentato di fare muovendo dagli “stati generali dell’esecuzione penale” indetti dall’allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando, ma che non hanno sortito l’esito sperato anche per la fine della legislatura e il successivo cambio di maggioranza di governo.

Appare di tautologica evidenza, difatti, che ogni aspetto della giustizia, con i suoi vari addentellati, non possa ritenersi avulsodagli altri e debba trovare la sua collocazione in un disegno complessivo e organico, scevro da pregiudizi e condizionamenti dettati pure da contingenze momentanee e da decisioni estemporanee e parcellizzate.

Ciononostante, volendo indirizzare lo sguardo esclusivamente all’organizzazione carceraria, in uno sforzo propositivo che possa favorire le riflessioni sul tema, si reputa indispensabile ragionare in termini di organici delle diverse figure professionali, edifici, infrastrutture, equipaggiamenti ed organizzazione del modello esecutivo della carcerazione (non può parlarsi, sempre, di espiazione della pena detentiva atteso che più o meno un terzo dei circa 54.000 detenuti attualmente presenti nelle carceri non hanno ancora subìto una condanna definitiva e sono pertanto da considerarsi innocenti), detto anche modello custodiale.

Tralasciando i circuiti detentivi particolari destinati a specifiche tipologie di detenuti (41-bis o.p., alta sicurezza, sex offender, affetti da patologie psichiatriche, etc.), cui andranno dedicate specifiche sessioni di approfondimento e analisi, ragionando solo per il circuito ordinario (che ricomprende la stragrande maggioranza dei ristretti) e tenendo in debita considerazione anche le raccomandazioni di cui alle regole penitenziarie europee, si reputa irrinunciabile ai fini di un lungimirante disegno di reingegnerizzazione della detenzione e dei processi di risocializzazione del reo muovere dall’accurata e concreta realizzazione dei circuiti differenziati ex artt. 64 o.p. e 115 r.e (categorizzandoli secondo la particolarità dei detenuti da ospitare per titolo di reato, posizione giuridica, età, etc.). La ragionevole sistematizzazione dei circuiti differenziatipromuovendo la caratterizzazione specifica di ogni sede penitenziaria e, comunque, limitandone al massimo possibile la coesistenza nello stesso istituto è difatti imposta, oltre che dalladisciplina di legge e regolamentare, anche da esigenze di razionalizzazione di risorse umane, finanziarie e strumentali.

In un contesto così riorganizzato, il modello custodiale meglio potrebbe tendere all’adempimento del dettato costituzionale in tema di finalità della pena, laddove il progetto d’istituto e tutta la programmazione trattamentale e gestionale fossero concepiti prevedendo logiche di gradualità sia nell’accesso a sistemi custodiali meno afflittivi sotto il profilo della staticità della sorveglianza e della perimetrazione della residuale libertà di movimento, sia nel percorso a ritroso qualora la condotta e l’adesione ai programmi trattamentali o, comunque, alle generali e specifiche regole penitenziarie si discostassero dalle prescrizioni.

Ribadito il riferimento esclusivo al circuito cui sono destinati i detenuti c.d. comuni, si dovrebbero compiutamente pianificare almeno tre sottosistemi custodiali: uno ordinario, uno con caratteristiche premiali e uno destinato a ospitare i detenuti violenti o che, comunque, mettano in essere comportamenti di prevaricazione nei confronti della comunità penitenziaria (ex art. 32 r.e.).

Esemplificando, il sistema ordinario, nel quale i ristretti dovrebbero rimanere sempre perimetrati all’interno di spazi circoscritti e predeterminati (camere di pernottamento, cortili passeggio, aule scolastiche, locali dove si svolgono attività lavorative e trattamentali, etc.) e sottoposti a sistemi di sorveglianza tradizionali, dovrebbe costituire il prototipo di detenzione iniziale per i detenuti nuovi giunti, che dopo aver dato prova di adesione ai programmi trattamentali e/o alle regole penitenziarie, per un periodo minimo congruamente predeterminato, potrebbero avere accesso a un sistema custodiale premiale, caratterizzato da un più ampio perimetro di libertà residuale e da modelli di sorveglianza moderni e dinamici.

In tal ultimo caso, tuttavia, l’offerta del sistema premialedovrebbe, giocoforza, essere commisurata e proporzionata a una serie di variabili e risorse non illimitate, anzi, allo stato molto ridotte, di cui si elencano le più importanti: congruità delle dotazioni organiche effettive in tutti i ruoli e adeguata formazione specifica degli operatori; caratteristiche, efficienza e stato di manutenzione degli edifici; esistenza, idoneità e livello di efficienza e sicurezza di postazioni adeguate allo scopo per gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria; accertata tenuta dei cancelli di sbarramento; esistenza ed efficienza di idonei sistemi tecnologici, informatici ed elettronici, ivi compresi quelli di audio/video sorveglianza, che consentano anche il costante controllo ed eventuali interventi da remoto (previa sottoscrizione di un protocollo d’intesa che preservi da qualsiasi utilizzo dei medesimi per il controllo a distanza degli operatori); offerta trattamentale, ivi compresa quella lavorativa, adeguata nelle caratteristiche e sufficiente nell’entità.

Ragioni per le quali sembra del tutto evidente che sino a quando il Governo, ma sarebbe meglio dire i governi, non intenderà investire compiutamente sul sistema penitenziario e sulle sue infrastrutture, l’offerta, in termini di possibilità d’accesso al sistema premiale, rischierà di essere molto limitata.

Peraltro, in tal senso, e ancor più dovendo adempiere alle raccomandazioni di cui alle regole penitenziarie europee, sarebbe il caso di concepire celermente progetti complessivi per implementare, ammodernare e potenziare le infrastrutture e le dotazioni, facendo leva anche su esigenze di riconversione ecosostenibile e digitale, da finanziare pure attraverso il c.d. recovery fund che sarà messo a disposizione dall’Europa stessa.

D’altronde, e fermo restando l’obiettivo di parificare l’offerta con le richieste accordabili, se in una prima fase vi fosse una maggiore difficoltà nell’ammissione al sistema premiale, per la limitatezza dell’offerta, con la creazione di vere e proprie “liste d’attesa”, questo potrebbe ancor di più incentivare l’adesione alle iniziative trattamentali e favorire percorsi virtuosi di revisione critica e di risocializzazione.

Va da sé, peraltro, che l’ammissione al sistema premiale non dovrebbe interrompere l’osservazione scientifica o comunque la costante verifica dell’adesione alle regole penitenziarie, proprie del circuito specifico di riferimento, laddove un discostamento da esse dovrebbe avere come diretta e immediata conseguenza il regresso alla detenzione ordinaria. Così facendo oltre a incentivare la partecipazione alle attività rieducative e il rispetto delle regole, si creerebbero anche le condizioni per ammettere altri detenuti, che si trovassero in “lista d’attesa”, al sistema premiale.

La politica allora non dimentichi le carceri e promuova anche in quello che viene definito talvolta lo specchio della società e altre volte la misura del livello di civiltà di un paese i necessari investimenti alimentando processi virtuosi che consentano di far divenire anch’esse un volano di rilancio per l’economia e, specialmente, per la modernizzazione e per la civiltà dell’Italia.

pierlu83

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