Gli effetti del coronavirus sull’economia italiana: scenari, prospettive, riflessioni

– di ENRICO MATTEO PONTI –

Nel contesto della più profonda recessione globale dalla seconda guerra mondiale, l’Italia rischia, oggi, di essere tra i paesi più colpiti a causa della natura della sua struttura produttiva caratterizzata dai settori dei servizi e del turismo che si connotano, in particolare, da piccole e medie imprese. Se a ciò si aggiunge uno storico e mostruoso debito pubblico il quadro si presenta in tutta la sua problematicità.

Nonostante ciò gli esperti sono, giustamente, convinti, che nessun paese, anche in condizioni migliori delle nostre, sarà in grado di superare da solo l’attuale crisi internazionale provocata dal COVID 19.

In questo contesto, molto acutamente, Prometeia prevede la necessità di un piano forte e tempestivo a livello europeo, per far fronte all’emergenza e rilanciare l’attività economica, non solo dal punto di vista finanziario, ma anche in termini di crescita reale. Dopo la crisi finanziaria del 2008, l’Italia ha visto rallentarsi pesantemente il proprio trend positivo senza più riuscire a riprendersi completamente. Ne deriva, fra l’altro, che l’attuale crisi porterà l’Italia a perdere un’altra fetta significativa di crescita con la conseguenza che, in futuro, potrebbe essere in grado di recuperare solo parzialmente ciò che andrà perso nel 2020.

Supponendo un allentamento soft e selettivo del blocco a partire dall’inizio di maggio, Prometeia prevede, inoltre, una contrazione del PIL italiano nel 2020 del 6,5% seguito da un parziale rimbalzo verso l’autunno che potrebbe sostanziarsi in un aumento del 3,3% nel 2021 e dell1,2% nel 2022.

Anche se le politiche monetarie della BCE riusciranno ad allentare le tensioni sui titoli italiani a breve termine, l’intervento fiscale del governo potrà fornire solo un supporto limitato alla domanda; entro la fine del 2020 il rapporto disavanzo / PIL avrà, molto probabilmente, raggiunto il 6,6% ed il rapporto debito / PIL sarà del 150%.

A medio termine, l’Italia dovrà, presumibilmente, vivere con un livello di deficit elevato con un ritorno al di sotto della soglia del 3% solo nel 2022.

Il tutto, infatti, sconterà, anche, il fatto che nel 2020 la crescita del PIL globale sarà solo dell’1,6%, anche a causa del -9,4% degli scambi internazionali di merci mentre, auspicabilmente, nel 2021 e nel 2022, la crescita globale potrebbe attestarsi ad aumenti rispettivamente del 4,6% e del 3,3%.

E’ di tutta evidenza, però, che il mantenimento della stabilità macroeconomica nella zona euro (PIL 2020 -5,1%; PIL 2021 + 3,4%), non solo in Italia, richiederà risposte forti e coordinate a livello dell’UE.

Risposte che dovrebbero includere il finanziamento di maggiori spese con emissioni obbligazionarie europee e la creazione di un asset sicuro, che potrebbe anche facilitare la diversificazione del rischio a livello europeo.

Andrà, in ogni caso, tenuto sotto attenta osservazione il colosso cinese il cui PIL pur se dovesse scendere del 6,7% nel primo trimestre 2020, ripartirà con un aumento medio annuo del 3,2% basato sulla prevista ripresa nella seconda parte dell’anno.

Altro osservato speciale dovranno essere gli Stati Uniti il cui PIL, anche se fa intravedere, oggi, una diminuzione del 2,5%, nel 2020, aumenterà, grazie al grande piano di stimolo economico, del 3,6% nel 2021. Piano che ricomprende un pacchetto di aiuti senza precedenti del valore di $ 2.000 miliardi (il 9,3% del reddito nazionale, più dell’intero PIL italiano) per aiutare le imprese e le famiglie.

L’Italia è tra i paesi più fragili:

perché è necessario un piano europeo

 Nello scenario di base, ipotizzando un lento e selezionato allentamento del blocco dall’inizio di maggio, come detto, il calo del PIL italiano nel 2020 sarà almeno del 6,5%, un’entità equivalente alla recessione del 2008-2009, ma aggregata in un solo anno. Prometeia stima che, nei primi due trimestri dell’anno, ci sarà una riduzione del PIL di oltre il 10% rispetto alla situazione pre-crisi, con differenze settoriali molto grandi: dal -10% nella produzione al -27% in servizi legati al turismo e fino al -16% nei servizi di trasporto e nelle attività di intrattenimento

Le sostanziali misure fiscali già annunciate (che ammontano finora, e solo per quest’anno, ad oltre il 2% del PIL), scontano, purtroppo, l’elevato debito pubblico, la profondità della recessione e la lenta ripresa la cui somma indebolirà ulteriormente sia la capacità produttiva del Paese sia le finanze pubbliche.

Nello scenario di base di Prometeia, come abbiamo già visto,  il livello del PIL italiano nel 2022 sarà ancora di oltre il 2% inferiore al livello del 2019, con il debito sovrano che salirà al 150% del PIL.

In questo contesto, la stabilità macroeconomica potrà essere garantita solo in un quadro di maggiore condivisione del rischio a livello europeo a causa della crisi sanitaria e dei suoi molteplici effetti che non hanno ancora integralmente  dispiegato e fatto emergere tutte le loro negatività.

La natura simmetrica ed esogena dello shock, richiederà, non ci stancheremo mai di ripeterlo, una risposta comune sia per far fronte all’aumento della spesa legata ai bisogni immediati sia per sostenere la ripresa dell’economia reale.

Nessun paese è, né sarà in futuro, in grado di affrontare questa crisi da solo. Soltanto il finanziamento di queste spese con emissioni obbligazionarie europee ridurrebbe l’onere per i bilanci nazionali e costituirebbe un passo verso la creazione di un benessere europeo sicuro che in grado di aiutare i sistemi finanziari a diversificare il rischio. Se non prendiamo questa strada, l’intero progetto europeo sarà a rischio.

Shock reale, recessione globale

Mentre la crisi di dieci anni fa scoppiò nel settore finanziario, la natura dello shock di oggi è reale in quanto diretta conseguenza del blocco e della quarantena. In questa prima fase vengono, quindi, colpiti in particolare i servizi, che rappresentano la maggiore quota di valore aggiunto nei paesi sviluppati, con una quota maggiore di occupazione rispetto alla produzione e dove le vendite perse sono più difficili da recuperare. La natura reale e globale di una crisi che colpisce i servizi porta innanzitutto ad alti effetti moltiplicatori legati al commercio internazionale, rendendo particolarmente intense le riduzioni delle attività.

Nonostante tutte le incertezze legate alla durata e all’intensità del blocco e alle successive reazioni dei paesi che tentano di riprendersi, Prometeia stima una recessione economica globale nel 2020 (-1,6%), che influenzerà quelli industrializzati e altri paesi, con la sola eccezione della Cina che evita una flessione grazie al rimbalzo positivo atteso nella seconda metà dell’anno.

Per fare un confronto, nella Grande recessione del 2009, il calo delle attività globali è stato dello 0,4%. La spinta dalla ripresa di Pechino e un ritorno atteso alla “quasi normalità” entro la fine dell’anno in tutti i paesi industrializzati porta a prevedere un calo del commercio mondiale del “solo” 9,4% per il 2020.

Anche se ne 2021, l’economia globale dovesse “rimbalzare” del 4,6%, le nostre preoccupazioni derivano dal fatto che tale percentuale non sarà, purtroppo, spalmata in maniera omogenea, incrementando, così, le differenze già in essere.
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Prime stime sull’impatto del coronavirus sull’economia mondiale e sull’export italiano

 Il fatto che l’emergenza da coronavirus si sia abbattuta sul sistema produttivo mondiale in maniera improvvisa e diffusa, ha determinato un doppio shock negativo: dal lato della domanda, con il rinvio delle decisioni di spesa da parte dei consumatori, la chiusura di numerose attività commerciali e l’azzeramento dei flussi turistici; dal lato dell’offerta, con il blocco di numerose attività produttive. Questa combinazione di fattori è, quindi, e purtroppo, destinata ad incidere negativamente sull’economia italiana e sull’export in particolare, per una durata inevitabilmente correlata ai tempi di uscita dall’emergenza.

 Le stime al ribasso per l’anno in corso da parte dei principali istituti internazionali sono associate al progredire dei diversi stadi di emergenza epidemiologica.

Da cui, secondo le stime di ieri del FMI, l’economia mondiale si contrarrà bruscamente del 3%: un andamento peggiore di quello osservato durante la crisi finanziaria del 2008–09. Prevedendo, ancora non è chiaro quanto ottimisticamente, che la pandemia allenterà la sua morsa nella seconda metà di quest’anno, il FMI ipotizza una crescita intorno al 5.8 % nel 2021 anche a fronte dell’intervento economico che stavolta è stato molto più veloce di quanto registrato a fronte della crisi finanziaria del 2008/20029.  In ogni caso il FMI indica come necessari interventi politici di natura fiscale, monetaria e finanziaria mirati per settori dal momento che lo shock è stato sentito in certi settori come particolarmente acuto.

Sul piano dell’occupazione e degli investimenti – come segnalato dalla nostra Rappresentanza Permanente a Ginevra – l’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima una perdita di 195 milioni di posti di lavoro a tempo pieno nel solo secondo trimestre del 2020, che interesserà prevalentemente i paesi a reddito medio-alto e il settore terziario. L’UNCTAD, invece, ha stimato una diminuzione degli investimenti diretti esteri dal 30 al 40% nel biennio 2020-2021 ed una notevole perdita per le multinazionali del settore energetico, del comparto automobilistico e del trasporto aereo.

Per l’Italia, il rapporto primaverile di Confindustria prevede un calo del PIL di 6 punti percentuali, nell’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria termini nel mese di maggio. Ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare circa lo 0,75% di PIL. Il Centro Studi di Confindustria prevede anche una diminuzione della produzione industriale nel primo trimestre 2020 del 5,4% (flessione maggiore dal 2009), con un picco negativo a marzo (-16,6%), che, se confermato dall’ISTAT, rappresenterebbe il più alto calo mensile dal 1960.

 Inoltre, tenuto conto della forte integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore, il nostro export sarà colpito da un calo generale dell’attività economica      (-5,1% nel 2020), particolarmente forte nei principali mercati di destinazione dei prodotti italiani, ed i nostri esportatori saranno più penalizzati da difficoltà produttive e logistiche. Di conseguenza, l’export dovrebbe diminuire più della media mondiale (circa -2,5% nel 2020).

Altre Considerazioni da Centro Studi Confindustria riguardano gli impatti negativi sulla spesa privata, per la quale si registra una contrazione del 6,8%, con particolare impatto negativo sul settore dell’abbigliamento, dei trasporti, dei servizi ricreativi, della cultura e della ristorazione.

Ma sono soprattutto le piccole e medie imprese, che costituiscono il tessuto connettivo della nostra economia, ad essere le più esposte manifestando le maggiori difficoltà a fronteggiare i disagi.

Nello specifico si evidenzia che il settore del Turismo e quello del Trasporto Passeggeri lamentano l’ammanco già registrato che avrà ripercussioni sui risultati economici dell’intero anno. Non mancano, poi, gravi preoccupazioni anche nel Settore Moda, i cui disagi derivano principalmente dall’annullamento degli eventi fieristici, oltre che dal rapporto con i fornitori ed il mancato ritiro delle merci. Stesse problematiche valgono per gli operatori del settore Servizi alla persona.

L’Agroalimentare, infine, lamenta il parziale, se non addirittura il totale, arresto delle attività di produzione.

Complessivamente, il 53,1% delle imprese stima una contrazione dei ricavi per il 2020. Tale contrazione potrebbe interessare il 70% dei due settori del trasposto passeggeri e del turismo. Altri settori potrebbero avere perdite più contenute.

 Un altro effetto negativo che l’emergenza da Coronavirus sta provocando è quello che investe l’occupazione. Il 15,1% delle aziende ha dovuto registrare un aumento dell’assenza dei dipendenti. Molte di loro hanno adottato delle contromisure adottando forme di smart working, strada non praticabile per tutti i settori (trasporti, servizi alla persona, ecc). Dall’indagine emerge inoltre che se lo stato di emergenza dovesse perdurare, si renderebbe necessario ricorrere ad ulteriori e massicci ammortizzatori sociali con ricadute sul bilancio dello Stato. A dichiararlo è il 67,9% degli intervistati, ed è un problema sentito soprattutto dalle aziende manifatturiere del settore moda con una percentuale di circa il 74% delle aziende. Il problema è stato messo in luce anche dalle imprese del Trasporto passeggeri, Manifattura meccanica ed Agroalimentare.

Analizzando più in dettaglio le difficoltà, settore per settore si può evidenziare che:

  • il Turismo costituisce l’ambito più colpito dall’emergenza per via della disdetta di viaggi e pernottamenti. Prima ancora del lock down, le aziende lamentavano una percentuale di cancellazione di prenotazioni non inferiore all’80%, in alcuni casi arrivando a raggiunger il 100%.
  • il settore del Trasporto merci così come quello del trasporto delle persone registra disagi per carico e scarico, dovuta anche all’istituzione di “zone rosse”, lungaggini burocratiche per la presentazione della documentazione atta mostrare la salute dei prodotti, controlli sui conducenti (temperatura corporea), divieto di ingresso delle persone fisiche in molti Paesi, riduzione delle corse del trasporto urbano.

Inoltre, lo studio riporta i disagi manifestati dagli addetti alla Manifattura meccanica (arresto o riduzione della produzione legata a problemi logistici, congestione dei magazzini, problemi di gestione del personale),

Moda (perdite stimate nella misura del 15%, dovute soprattutto alla cancellazione di eventi fieristici, crollo degli ordini),

 Servizi alla persona (è un lavoro che richiede un contatto ravvicinato), oltre al mancato recapito dei prodotti, la sospensione degli appuntamenti con i rappresentanti, etc.

Agroalimentare (contrazione della domanda),

Costruzioni (impossibilità di accedere ai cantieri siti nelle zone rosse rinvio dell’inizio dei lavori a data da destinarsi, cancellazione di eventi fieristici ha provocato problemi alle aziende che operano nel settore dell’allestimento), Servizi alle imprese (impossibilità di raggiungere il committente).

 Un quadro, questo che abbiamo tracciato, che non deve farci arrendere ma che impone, come affermato anche dal Presidente Mattarella, quell’unità di intenti che portò l’Italia fuori dai disastri della seconda guerra mondiale.

I responsabili a tutti i livelli, parlino meno e si coordino di più.

Chi spera di governare domani operi in questa direzione, altrimenti….

Fonti: Prometeia, Economic Outlook FMI, Osservatorio Commercio Internazionale MAECI, Centro Studi Confindustria

 

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