Barriere psicologiche: come superarle? A tu per tu con Amedeo Ceresa Genet

-di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Da molto si discute su come eliminare le barriere architettoniche che rendono ai disabili la vita quotidiana un inferno. Negli anni, non molto si è riuscito a fare. Tuttavia, rispetto a qualche tempo fa, la situazione d’insieme è nettamente migliorata.

Ma poniamoci una domanda: esistono barriere simili a quelle architettoniche che rendono la vita impossibile anche a coloro che non sono propriamente disabili? La risposta è sì.

Oggi molte persone sono affette da patologie derivanti da allergie e intolleranze alimentari (al glutine, al lattosio, alla caseina e via discorrendo). Per costoro, andare al ristorante o scegliere di mangiare un prodotto piuttosto che un altro non è un gesto da compiersi con leggerezza. Non tutte le strutture sono preventivamente attrezzate per accogliere persone affette da patologie come quelle menzionate. Di conseguenza, per molti andare a pranzo o a cena fuori è più uno strazio che un piacere.

Qual è la situazione che si trova a vivere una persona affetta da celiachia? Si sente a suo agio nella società? Come e in che modo la sua vita è cambiata? E che tipo di barriere – non architettoniche ma psicologiche – ci si trova a dover combattere?

Per rispondere a queste, e a molte altre domande, abbiamo incontrato Amedeo Ceresa Genet. Una persona come tutti. Un uomo come tutti. Un lavoratore come tutti. Amedeo ha da poco scoperto di essere celiaco. Gli abbiamo chiesto se aveva voglia di condividere la sua esperienza nel convivere con questa patologia.

Ed ecco cosa ci ha raccontato.

 

Cosa hai provato quando ti hanno detto di essere celiaco?

Quando l’ho scoperto, mi è venuta un po’ di ansia. Immagino sia per tutti così, perché questo vuol dire che da un certo momento in poi della tua vita devi sapere perfettamente cosa fare giorno per giorno. Osservare, in modo rigido, delle regole.

 

Che tipo di regole?

Debbo essere attentissimo a quello che mangio. E dovrò farlo per sempre. Per me si tratta di una situazione pesante, perché non ho mai prestato troppa attenzione a quello che mangiavo di solito. La mia alimentazione è sempre stata anarchica sia perché non ho mai avuto problemi nell’ingrassare, sia perché era congeniale alla mia personalità. Adesso, invece, è tutto l’esatto opposto. E questo un po’ mi pesa.

 

Che sensazione hai, di te stesso e della tua vita quotidiana, dopo aver scoperto di essere celiaco?

La sensazione è di dover vivere da recluso. Per esempio, credo, che in Medio-Oriente non potrò mai andare. Come farei a mangiare i loro cibi tipici? Non potrei, a meno di spendere parecchi soldi in ristoranti che non offrono le tradizioni culinarie di cui vorrei fare esperienza. Poi c’è la limitazione, che sento in particolare, di ingenerare un senso di inquietudine in coloro con i quali condividere una serata o un pasto come che sia. Ho il timore che il fatto di essere celiaco possa condizionare la loro serenità.

 

Ne hai avuto la controprova o si trattava di una tua sensazione?

Ho avuto sia la controprova che la sensazione. Diciamo che non è stato edificante.

 

Come mai da parte di chi produce e offre cibo vi è questa leggerezza nel trattare una patologia come la tua?

Forse perché è da poco che c’è la consapevolezza che la celiachia è una malattia. Ma è una mia opinione personale, e non sono certo se quello che dico abbia un valore oggettivo o meno. Però, secondo me, la grande industria alimentare ancora non ha ben compreso che le intolleranze e le malattie alimentari, come quella che ho io, rappresentano un problema più diffuso e capillare di quanto non si pensi. Proprio per questo debbono provvedere ad offrire alternative di cibo non pericolose ed egualmente qualitative.

 

Come mai ciò non avviene? Che idea ti sei fatto?

Credo sia un problema culturale. Di pigrizia nel seguire i cambiamenti del mondo.

 

Cosa ti infastidisce di più del fatto di essere celiaco?

Mi infastidisce il rischio di venire contaminato da qualche sostanza contenente glutine. E quando succede, debbo tenere a freno la mia ansia e la mia paura.

 

Potremmo dire che le situazioni nelle quali posti, condizioni e cibi non del tutto privi di glutine costituiscano, per te, una barriera – più psicologica che fisica – eguale a quelle che i disabili si trovano a dover fronteggiare?

In effetti sì, si tratta di una barriera alla pari di quelle che impediscono ai paraplegici di visitare o di recarsi in alcuni luoghi. Ad esempio ultimamente mi è capitato di fare un viaggio negli Stati Uniti. Ebbene sia all’andata che al ritorno mi sono ritrovato nella condizione di non poter mangiare perché l’agenzia di viaggio dove avevo preso i biglietti non aveva provveduto a comunicare che a bordo vi sarebbe stato un passeggero celiaco e, dall’altra parte, perché la compagnia aerea non si è minimamente preoccupata di trarmi fuori da tale disagio. Il risultato è stato che, per diciotto ore, ho digiunato. Nell’ultima tratta del viaggio di ritorno ho avuto la fortunata coincidenza di incontrare una hostess celiaca come me, la quale mi ha aiutato al meglio delle possibilità che aveva, dandomi un po’ di frutta, del formaggio e dei biscotti senza glutine che aveva preso per lei. Si è trattato, però, di una sua iniziativa e non della compagnia aerea con la quale viaggiavo.

 

Ti faccio una domanda provocatoria. Se la compagnia aerea ti dicesse: “Su cento passeggeri ci sei solo tu ad avere la celiachia. E quindi per avere il cibo senza glutine devi pagare un supplemento sul biglietto”, cosa risponderesti?

Che non sarebbe giusto. L’alimentazione è un diritto fondamentale, al pari dell’acqua e del rispetto per l’individuo. E come tale va salvaguardato per tutti.

 

Negli Stati Uniti, dove sei stato ultimamente, come ti sei trovato a gestire la celiachia?

Negli Stati Uniti non ho mai avuto problemi. Quando chiedevo di avere cibi senza glutine, immancabilmente me li portavano e ho potuto mangiare senza dovermi preoccupare. In Italia, a parte poche eccezioni, in alcuni ristoranti dove avevo espressamente detto di essere celiaco, mi hanno portato cibi contaminati. E questo nonostante alcune strutture siano certificate dall’AIC.

 

Cos’è l’AIC?

L’AIC (Associazione Italiana Celiachia) è, a mio avviso, una realtà la cui utilità consiste nel concedere una certificazione per strutture – ristoranti, bar e locali simili – sulla base di criteri da loro stabiliti, in modo da verificare che tutti i parametri per evitare possibili rischi di contaminazione da glutine siano rispettati. So che sono molto severi, però non garantiscono nulla di più. Perché in alcuni ristoranti da loro certificati io ho avuto problemi dopo aver mangiato. Allora mi chiedo: posso fidarmi? E su che base?

 

Non esiste un’associazione simile a livello internazionale alla quale potersi affidare?

A livello internazionale credo che esista, ma non sono sicuro di potervi ricorrere. Anche perché i vari prodotti sono soggetti a legislazione nazionale.

 

In sostanza rispetto all’Italia, all’estero com’è la situazione per persone affette da patologie simili alla tua?

In generale all’estero la situazione relativa alla patologia come la mia ed alle intolleranze è più incisiva che non qui.

 

Con chi ti trovi meglio nel condividere una cena?

Mi sento a mio agio con quegli amici che non si scordano del fatto che sono celiaco, e che adottano ogni misura per evitare che io possa venire contaminato anche da una briciola di pane. Altrimenti preferisco uscire da solo, soprattutto per evitare di essere vincolante per gli altri.

 

In generale pensi che la tua vita quotidiana, nonostante la celiachia, sia buona oppure no?

Non mi sento particolarmente bene in questa condizione, purtroppo. E mi rendo conto che tale sfiducia – più o meno latente, più o meno importante – non mi rende armonico con il mio prossimo e con me stesso.

 

Hai pensato di confrontarti con qualcuno, per avere conforto o suggerimenti?

Sì, ho pensato di chiedere consiglio a chi, come me, ha scoperto di essere celiaco da più tempo. In queste persone vedo maggior serenità. Immagino che, con gli anni, la acquisirò anche io.

 

Credi che questo disagio lo proverai vita natural durante?

Sicuramente più si convive con questa malattia e più si riesce a gestirla sul piano emotivo.

 

Qual è il rischio più pericoloso in cui un celiaco può incorrere?

Si può contrarre il cancro da continue e ripetute contaminazioni da glutine. Non so, statisticamente, la concreta possibilità che ciò avvenga. Però si tratta di una eventualità che mi spaventa.

 

Nel complesso come è cambiata la tua vita?

Vivo un po’ meno felicemente rispetto a qualche tempo fa. Alimentarmente non mi manca nulla, però il mio stile di vita è radicalmente cambiato. L’aspetto positivo di tutta la situazione consiste nel fatto che mangio cose più salutari.

 

Cosa bisognerebbe fare per restituirti un po’ di quella serenità che hai perduto?

Se ci fosse più serietà, più riguardo e meno pressappochismo mi sentirei meno emarginato, in quanto celiaco.

pierlu83

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