Il Premio Nenni a Luca Attanasio: un’occasione per riflettere

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

 

Malgrado l’avversione di Thomas Bernhard, i premi rappresentano utili occasione per conoscere, riflettere, sottolineare dettagli che diversamente passerebbero inosservati. Possono anche rappresentare un semplice pretesto per incontrare o ospitare personaggi illustri di qualsiasi campo del sapere. Che importa? Anche questa eventualità costituisce un momento di crescita, sia per il pubblico che per colui che beneficia del riconoscimento.

Il sottotitolo del Premio Nenni recita: “Un premio per la buona politica, la pace e la democrazia”. A terzo millennio avanzato, vien da dire che non vi sarebbe bisogno di specificare simili ragioni per motivare un’iniziativa come questa, giunta ormai alla sua quinta edizione. Quanto leggiamo sui giornali, o semplicemente apprendiamo ascoltando i tanti dibattiti televisivi, bastano a smentire la falsa convinzione or ora esposta.

C’è da dire che il sottotitolo posto in calce al Premio Nenni va meglio analizzato, proprio perché, al di là delle apparenze, così scontato non è. Cosa lega parole quali: politica, pace e democrazia? A mio avviso il fatto che quando è buona, la politica non può che amministrare per far sì che la pace dia benessere a tutti e, perciò duri il più a lungo a possibile. Ma a sventare pericoli di conflitti che potrebbero sfociare in guerre, deve intervenire la democrazia, forma di governo che può anche chiamarsi: stato di diritto.

Quando questi tre elementi cooperano insieme, integrandosi e garantendosi vicendevolmente, non c’è pericolo che i diritti fondamentali che ogni individuo deve giustamente pretendere di vedere rispettati – e di rispettare a propria volta – non siano garantiti in ogni forma e circostanza. È questo il senso che anima e ispira il Premio Nenni.

Il fatto che a riceverlo, quest’anno, sia Luca Attanasio, è motivo di ulteriore riflessione. Attanasio è un giornalista che da anni scrive e fa conoscere dinamiche e contesti di realtà che sono note a tutti, ma che probabilmente non si riuscirebbero a vedere sotto una luce diversa da quella del luogo comune.

Il suo metodo di lavoro non consiste semplicemente nell’osservare quanto accade, con quel certo distacco giudicante talvolta necessario per tirare le fila di un’analisi. Al contrario, Attanasio pare aver fatto sua la lezione della migliore antropologia, italiana e straniera, in virtù della quale difficilmente potranno apprendersi realtà differenti da quelle cui si appartiene se, per un periodo, non ci si immerge in esse, vivendo le stesse dinamiche e, per quanto possibile, gli stessi meccanismi di pensiero.

Argomenti come: immigrazione, tortura perpetrata su esseri umani, diritti e doveri delle donne nell’estremo oriente: sono solo alcuni dei tanti temi che Attanasio affronta, sempre rifuggendo dagli stereotipi cui il giornalismo di un certo tipo e parte dell’opinione pubblica ci hanno abituati. Attanasio non intende prendere le difese di una parte a dispetto dell’altra, né si individua fra le sue righe una benché minima riserva intorno ad alcuni dei temi che affronta. Si tratta di informazione pura, come classicamente andrebbe praticata: produzione di conoscenza ulteriore così da coltivare il senso critico.

Come si lega una figura quale Luca Attanasio con un premio quale il Nenni? Semplicemente perché una buona democrazia che sappia coltivare e alimentare la buona politica per il mantenimento della pace deve, obbligatoriamente, garantire anche e soprattutto un giornalismo di qualità.

In un periodo in cui la carta stampata rincorre la produzione di notizie calunniose, e per di più le diffonde con nonchalance, il Premio Nenni consegnato ad una figura come Luca Attanasio – e, per il futuro, ad altri suoi colleghi che operano nella stessa identica maniera – è un monito ed un auspicio, oltre che un’ideale lezione, per far sì che il giornalismo, la democrazia, la politica e la pace tornino a godere di una condizione ideale ormai a rischio, se non perduta, da troppo tempo.

pierlu83

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