Del tiro con l’arco e di Luca Alberti suo maestro

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Voglio concludere questo breve resoconto delle mie recenti vacanze in un villaggio nei pressi di Ostuni raccontando la piacevole esperienza nell’apprendere l’arte del tiro con l’arco. Molti, credo, avranno letto il bellissimo e avvincente libro di Herrigel, quindi non mi dilungherò a riassumerlo. Ma quanti possono dire di aver provato cosa significa incoccare una freccia, alzare l’arco, tenderlo e poi sferrare il colpo? Il volumetto di cui parlavo racconta l’avvincente rapporto che vige fra questo sport e la disciplina Zen, ciò di cui saremo per sempre grati all’autore. Ma l’atto pratico, vissuto senza alcun addentellato con filosofie varie: questo non mi pare sia stato descritto. Ci proverò io.

Un pomeriggio del mio soggiorno, mosso da curiosità e interesse, ho deciso di tentare il tiro con l’arco. Uscendo dalla stanza, mi sono pian piano incamminato sotto la pineta che ospita questo magnifico villaggio. Cicale che cantavano senza sosta, bambini che scorrazzavano allegri in bicicletta, persone che con il telo sotto il braccio e borse piene di creme da mare e giornali da sfogliare sulla sdraio si recavano in spiaggia: tutto ha contribuito a colorare il mio cammino verso il campo dove, in fila e a distanze diverse, erano disposti i paglioni pronti a ricevere le frecce che man mano venivano scoccate.

Giunto sul posto, ad accogliermi c’era colui che per qualche giorno sarebbe stato il mio maestro. Si chiama Luca Alberti e insegna a tirare con l’arco da anni. Ha un metodo, nei modi e nella prassi, particolare. Innanzitutto non si dilunga troppo su dettagli tecnici. Poche ma necessarie istruzioni iniziali: quale occhio per la mira, destro o sinistro, è prevalente rispetto all’altro; indicazioni sulla postura da adottare; come le frecce debbono essere incoccate; la giusta tecnica nel tendere l’arco; la retta posizione della mano e delle spalle per sferrare il colpo; il modo col quale mettere a fuoco il centro del bersaglio che si andrà a colpire; coordinare il respiro nei vari momenti sopra descritti. Fatto ciò, ecco l’allievo predisporsi a fare una serie di volée. Via via che si procede, l’attento e meticoloso Luca Alberti è lì pronto a correggere eventuali imprecisioni che possono insorgere in chi è alla prime armi.

Dubito di possedere le giuste doti per divenire arciere provetto, ma di sicuro vi è che grazie a questo bravissimo maestro non ho sentito il peso dell’eccesso di tecnica iniziale nel tirar con l’arco. Ignoro se ciò sia dovuto a tale sport in particolare o al metodo d’insegnamento adottato da Alberti: personalmente propendo per questa seconda ipotesi. E lo dico perché, a mio avviso, egli ha centrato quello che questa disciplina deve infondere in chi la pratica: sentirsi a proprio agio con l’ambiente, il mentore, gli strumenti, le persone, i paglioni, il vento: tutto ciò che può concorrere e con il quale si finisce per interagire in quegli istanti in cui, preso di mira il bersaglio, si decide di scoccare la freccia.

Dove la maestria di Alberti? Nell’aver reso tutto ciò un’atmosfera naturale, sapendola così impostare fin dalle primissime lezioni. Questa, credo, la ragione per cui egli non si è mai diffuso in troppi precetti e indicazioni: perché sa bene che l’eccesso di teoria finisce per vilipendere quello spirito picaresco col quale i dilettanti si accostano alla novità. Il principio di piacere è il motore che determina i migliori risultati.

In tal senso, trovo che Luca Alberti – e lo dico da autentico profano – abbia ben inteso il significato dell’essere maestro: fornire un retto esempio del sapere e della prassi di cui egli è sapiente (il tiro con l’arco, nello specifico) per trasmetterli ai propri allievi nel miglior modo possibile, in termini chiari e senza dar luogo a fraintendimenti. Da qui la totale assenza di presunzione o superiorità spesso mal celata in chi detiene conoscenze che altri ignorano, e che Alberti ha soppiantato con l’ironia e un certo partecipato godimento a divertirsi con noi, suoi allievi, mai rinunciando a correggerci dove ve ne era bisogno, senza mai far mancare un sorriso sereno e gaio.

Ignoro se Luca Alberti abbia letto Herrigel, ma di certo non esiste viatico migliore del suo per divenire – presto o tardi: chi può dirlo? – valenti Robin Hood.    

pierlu83

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