-di PIERLUIGI PIETRICOLA-
È in corso il Biografilm Festival a Bologna in questi giorni. Nella serata di omaggio alla Fandango – casa di produzione guidata da Domenico Procacci – è stato proiettato un film che val la pena di guardare, se ancora non lo si è fatto: L’ultima ruota del carro.
Attraverso l’esistenza (vera, per altro) di un uomo – Ernesto Fioretti (interpretato da un bravissimo Elio Germano) – si raccontano cinquant’anni di storia d’Italia. Il punto di osservazione, però, è privilegiato: perché non si adotta la visione esterna, d’insieme. Bensì la prospettiva delle persone che si incontrano quotidianamente in strada, su un mezzo pubblico, in negozio o al bar. Una storia patria raccontata con semplicità, sincerità e schiettezza, senza mai abbandonarsi a facili e banali retoriche e a luoghi comuni di cui abbondano i giornali: ecco, secondo chi scrive, il merito più grande di questo film. Il cui regista, Giovanni Veronesi, ha più volte dichiarato – e con piena ragione – di aver dato vita, con L’ultima ruota del carro, alla sua opera migliore.
Data l’eccezionalità dell’evento, abbiamo deciso di intervistare l’uomo che ha permesso la realizzazione di un film di qualità e autenticamente italiano (va detto con fierezza e orgoglio) di questi ultimi decenni: Ernesto Fioretti. Uomo sincero, disponibile, generoso, gentile, attento, pieno di attenzioni e di cautele. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, in pieno svolgimento del Biografilm Festival. E questo è quello che ci siamo raccontati (come da vecchi amici seduti davanti a un buon caffè, a conversare per lunghe e piacevoli ore)
Senta, Ernesto Fioretti…
No, così cominciamo male. Diamoci del tu altrimenti mi sento in imbarazzo.
E se invece provassi imbarazzo io a darle del tu?
Allora non facciamo più l’intervista, perché non riuscirei a sentirmi a mio agio.
Mi hai convinto! Senti, Ernesto, intanto grazie e scusa se ti abbiamo disturbato nel corso di una serata che, diciamolo, è dedicata a te in qualche modo.
Ma figurati! Grazie a te per avermi voluto intervistare.
È un vero piacere. La prima cosa che mi viene da chiederti è questa: sono trascorsi sei anni da quando uscì L’ultima ruota del carro. Trovi che sia un film ancora attuale oppure no?
Io penso che sia attuale. E forse lo è più oggi che sei anni fa quando uscì nelle sale. Perché si parla dell’Italia e dei problemi che questo paese ha avuto. Alcuni risolti in parte, molti non risolti e ai quali – purtroppo – se ne sono aggiunti altri. Per cui, secondo me, L’ultima ruota del carro è sempre più attuale.
Il film racconta la storia della tua vita. Una vita incredibile…
Talmente incredibile che è finita sugli schermi!
Appunto! Mi chiedevo: quanto c’è di vero e quanto di inventato in quello che vediamo nel film?
Tutto è assolutamente vero. I fatti che sono stati raccontati sono realmente accaduti.
E l’Ernesto del film quanto corrisponde a quello reale?
In linea di massima mi rispecchia. Diciamo che io sono meno “bambacione”, come si dice a Roma. Nella vita reale io sono più smaliziato e meno remissivo. Intendiamoci: sono una persona comprensiva, paziente e che cerca sempre di giustificare tutto e tutti. Però quando arriva il momento di puntare i piedi e dire basta, non mi creo problemi.
Una domanda cattiva: se dovessero girare oggi L’ultima ruota del carro, e dessero a te facoltà di indicare il regista, tu sceglieresti sempre Veronesi?
Sì. Sceglierei comunque Veronesi.
Perché?
Perché ho trovato straordinario il modo con cui ha rappresentato mezzo secolo di storia italiana in un’ora e cinquanta minuti. C’era tutto quello che era importante e che andava raccontato, ma nella sua essenzialità. Poi, come dice un proverbio: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova…”. Ragionando per assurdo, posso dire che non mi sarebbe dispiaciuto se David Lynch, per esempio, avesse accettato di girare un film sulla mia vita. Il punto però è un altro: come lo avrebbe fatto? Il risultato sarebbe stato lo stesso? Ma queste sono fantasie. La verità è che comunque avrei scelto Veronesi.
L’ultima ruota del carro, quindi, rispecchia fedelmente la tua vita?
Diciamo che vi è qualcosa che non rispecchia del tutto la realtà di quanto accaduto.
Per esempio?
Ad esempio il modo con cui hanno rappresentato mio suocero: su una carrozzina e narcolettico. Nella realtà, il papà di mia moglie Angelina era un tipo scherzoso, scaltro; a ottantacinque anni aveva una forza fisica sorprendente. Diciamo che io avrei reso più realistici alcuni particolari. È il mio modo di vedere, naturalmente. Io non sono né faccio il regista.
In che modo L’ultima ruota del carro ti ha cambiato la vita?
In nessun modo. Sono rimasto l’Ernesto di sempre. Anzi: quando qualcuno mi ferma per strada per farmi dei complimenti perché, magari, ha visto il film, sa chi sono io e mi ha riconosciuto, mi sento in imbarazzo. Mi fa piacere, però un po’ mi imbarazza.
Scriveresti ancora un altro film dopo L’ultima ruota del carro?
Assolutamente sì! Vedere realizzato ciò che tu hai creato, sentire delle parole inventate da te e recitate dagli attori, è un’emozione bellissima.
E quando metterai mano a un nuovo soggetto?
Per la verità l’ho già scritto.
E puoi dirci di cosa tratta?
È una storia che affronta una piaga sociale che tutti ignorano ma che non va presa alla leggera: la ludopatia. Si finge che non esista. E invece c’è: eccome se c’è! Di recente è stata persino riconosciuta come malattia mentale dall’Organizzazione mondiale della sanità.
Un tema delicato…
Molto. E ti assicuro che trattarlo nel modo in cui voglio io non è facile.
Puoi dirci perché?
Perché nei miei intenti io vorrei realizzare un film tragicomico. Mi piacerebbe creare qualcosa che fa sorridere e riflettere allo stesso tempo.
E quale regista ti piacerebbe girasse questo film?
Non ne ho proprio idea! Mi piacerebbe, intanto, che qualcuno prendesse questa idea in considerazione. Poi si vedrà.
Torniamo all’Ultima ruota del carro. Quante volte lo hai rivisto?
Non molte. Perché mi mette un po’ di malinconia. Vedere ripercorrere momenti di vita vissuti veramente è di sicuro bello ma anche triste. Diciamo che si tratta di una piacevole malinconia.
La prima volta che hai visto il film cos’hai provato?
Mi emozionai tantissimo. E ricordo la soddisfazione che provai nell’essere stato interpretato da un attore bravo come Elio Germano. Lui mi ha studiato nei minimi particolari. Durante la lavorazione del film, quando pranzavamo insieme, avevo come la sensazione che mi stesse succhiando l’anima – in senso buono – per trasferirla tutta nella recitazione. In alcuni momenti – la scena in cui si vede Ernesto che scende dal Gianicolo in bicicletta – sembravo io. Al punto che un mio carissimo amico non ci credeva che quella scena l’avesse girata Elio Germano: era convinto fossi io.
Ernesto Fioretti, quello vero, dopo L’ultima ruota del carro e il successo che ha avuto, si è mai sentito un vip?
Mai. Non mi ritroverei in quei panni. Non ultimo perché non mi è mai piaciuto farmi vedere troppo. Sai, un vip bene o male diventa come un animale da circo per via del successo e questo finisce per intaccare la personalità vera dell’uomo. Con tutti i miei limiti e i miei difetti, io voglio restare quello che sono. Sto bene così, con questo mio modo di essere. Ho raggiunto un buon equilibrio e non voglio minarlo in alcuna maniera.