Come il potere, i partiti e la cattiva politica prendono in giro la Costituzione e i cittadini nella gestione delle proposte di legge di iniziativa popolare.

Ovvero votami e lasciami legiferare perché, come diceva il Marchese del Grillo <Io so io e tu…>

– di ENRICO MATTEO PONTI –

In un tempo che vede i Governi del nostro Paese valutare o tentare di mettere mano a profonde riforme della Costituzione Italiana, da molti considerata fra le più belle del mondo, pochi amano approfondire l’importantissimo e, purtroppo, quasi dimenticato secondo comma dell’articolo 71.

Questo comma recita esattamente così: “Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli”.

Nel convincimento che tale norma trovi una costante applicazione nel nostro quotidiano socio-politico, i distratti, o i non addetti ai lavori, non potrebbero che essere portati ad apprezzare lo spirito e l’intuizione che ispirarono i Padri Costituenti a sollecitare il coinvolgimento dei cittadini alla vita del Paese attraverso uno strumento principe della democrazia diretta: quello della formazione delle leggi.

A tal proposito, giova, qui, ricordare che, nel tempo, però, per rendere il meno agevole possibile il diretto coinvolgimento dei cittadini, i maestri delle conventio ad excludendum, al fine di “regolamentare” l’iter delle leggi di iniziativa popolare, predisposero norme attuative e procedure niente affatto semplici.

Infatti, oltre al dover presentare la proposta alla Corte di Cassazione, le firme devono essere autenticate da un notaio o da un pubblico ufficiale fra quelli specificatamente previsti. Quindi le firme, e tutta la annessa e connessa documentazione, devono essere presentate ad uno dei Presidenti delle due Camere. Solo per inciso ci piace ricordare che in paesi caratterizzati da ben altro, e ben più alto, rispetto per la cittadinanza, in casi analoghi le firme non devono essere autenticate da nessuno ma è sufficiente accompagnarle con la fotocopia di un documento e del certificato elettorale.

Ma qualcuno ci argomenterà che il nostro è un Paese di antica cultura giuridica e quindi le forme…

Come si vede, viene richiesto, ovvero imposto, uno sforzo organizzativo ed economico non di poco conto che sarebbe, comunque, affrontato con positivo spirito di servizio dai cittadini qualora, però, i seguiti fossero almeno rispettosi dell’impegno profuso dai cittadini stessi.

Quale immensa delusione nel dover prendere, invece, atto che la previsione costituzionale è stata, ed è, sistematicamente vanificata ed offesa dalla casta che, forse, considerando tale competenza appannaggio riservato del Governo e, in parte, del Parlamento, non l’hanno mai tenuta in reale ed effettiva considerazione.

Per dimostrare questa affermazione basta analizzare i seguenti freddi ed eloquentissimi dati: dei circa 300 Disegni di Legge di Iniziativa Popolare presentati nella storia della nostra Repubblica solo tre (ripetesi, tre!) sono diventati legge. Ma sia chiaro: non per effettivo apprezzamento dei partiti rispetto ai desiderata degli elettori proponenti ma solo perché vennero, quasi casualmente, accorpati in Testi Unificati con altre proposte di iniziativa parlamentare o governativa.

Ma quello che maggiormente indigna, avuto anche conto delle richiamate, gravose incombenze delle quali i cittadini sono chiamati a farsi carico, è che delle circa 300 proposte oltre il 50 per cento, non sono mai neppure approdate alla discussione in Commissione, evidentemente considerate da chi decide per tutti indegne di una qualsiasi attenzione e, quindi, lasciate a dormire nei cassetti di qualche scrivania della Camera o del Senato.

Ecco, allora, sorgere una riflessione: non è la Costituzione che va modificata ma la cultura di chi si ritiene depositario unico ed insostituibile della gestione della cosa pubblica, legislativa e non solo…

Quella cultura – a noi piace di più chiamarla incultura democratica – che tende a marginalizzare il popolo con la sola eccezione dei pochi giorni che precedono le consultazioni elettorali, passati i quali le promesse e gli impegni vengono completamente disattesi con particolare riferimento proprio a quei passaggi che dovrebbero riservare ai cittadini la massima attenzione ai loro problemi e alle loro… proposte.

Ma tant’è!

Da tutto quanto sopra deriva, a nostra sommessa opinione, un semplice, concreto consiglio: riappropriamoci del nostro ruolo, non affidiamo più a nessuno deleghe in bianco, reclamiamo il coinvolgimento vero e reale in tutte le fasi della vita pubblica e, soprattutto, ricordiamoci nell’esprimere il voto a qualsiasi livello delle differenze fra i programmi presentati nella precedente campagna elettorale e quanto poi effettivamente realizzato.

Valutiamo, quindi, la coerenza e l’onestà intellettuale di partiti, movimenti e persone.

L’impegno che ci viene richiesto risulterà certamente arduo, in quanto sarà facile sapere per chi non votare ma estremamente problematico sapere a chi dare la nostra fiducia.

E da questa riflessione nasce prepotente l’obbligo di un impegno diretto non episodico ma sistematico per difendere il nostro presente, il nostro futuro, la nostra dignità, la nostra libertà.

E torna alla memoria la bella canzone di Giorgio Gaber “Libertà non è star sopra un albero e neanche il volo di un moscone, libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”!

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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