Liberalismo e socialismo, patrimonio dell’umanità?!…E dov’è finito il comunismo?

-di MAURIZIO FANTONI MINNELLA-

In un’epoca di ridefinizione di alcuni concetti  fondamentali nella cultura politica degli ultimi due secoli, la scelta di definire il proprio regime, da parte del  presidente ungherese Viktor Orban, “democrazia illiberale” rende necessaria una riflessione. Per   Sabino Cassese (come si evince da un articolo apparso sul Corriere della Sera del 28 agosto), si tratta di una contraddizione in termini, di un ossimoro, ponendo così un aut aut: o si è democratici o si è illiberali, impossibile essere entrambe le cose. Al contrario, sempre secondo le sue parole, liberalismo e socialismo non sarebbero più come nel passato concetti antitetici, perfino nemici, in quanto, sia il patrimonio culturale del socialismo sia quello del liberalismo che storicamente lo precede, nati entrambi nel XIX secolo, si ritrovano oggi uniti  nella grande famiglia del parlamentarismo democratico e dell’europeismo. Eppure la storia con la lettera maiuscola aveva registrato ad Ovest, durante la Repubblica di Weimar e in Italia, durante il craxismo (dove al laico tentativo di spezzare l’egemonia del bipolarismo DC-PCI, ossia delle “due fedi”, finì per corrispondere un’inarrestabile deriva etica e politica) i limiti, gli errori e le ambiguità della  socialdemocrazia, che sembrò possibile, sebbene con i dovuti limiti, nei paesi scandinavi, con popolazione limitata e con alto tenore di vita e livelli di civismo, mentre ad Est, nel secondo dopoguerra, si affermarono le cosiddette democrazie popolari, meglio note come socialismo reale. Concetto che, vale ribadirlo, è l’antitesi del socialismo nazionale (incarnatosi nel fascismo italiano in forma di dittatura e nella variante germanica del nazionalsocialismo). E’ sempre pericoloso confondere le terminologie e i loro significati. Nel socialismo reale, veniva, per così dire, ridefinito il concetto di democrazia sulla base della teoria marxista del sovvertimento dei rapporti di forza a livello economico, che si sbarazzava del pluralismo partitico inteso come riflesso e legittima rappresentanza di interessi di classe diversi. In realtà, è sempre l’economia a definire i processi della politica, a prescindere dai risultati che vedono il socialismo reale capitolare ovunque, proprio nella non coincidenza tra la libertà e i bisogni delle masse e gli interessi degli apparati burocratici di Partito e Stato. Da troppo tempo, in questi anni, assistiamo all’uso e all’abuso dei termini di democrazia e di socialismo. Il primo è in molti casi diventata la foglia di fico, l’alibi dietro cui materializzare nostalgie totalitarie, veri e propri revisionismi, talora perfino nuovi squadrismi camuffati da diritti acquisiti da chissà quale pretesa verità storica, nel nome di un populismo confuso e primitivo. Se, inoltre, al concetto di “classe” sostituiamo quello generico e ambiguo di “popolo”, ecco che otterremo una visione dei bisogni e dei diritti sociali altrettanto ristretta e confusa. Il secondo, si è invece, appiattito sull’aggettivo meno impegnativo di “sociale”, entro una prospettiva non di liberazione ma di impossibile umanizzazione del capitalismo e del mercato. Quanto alla definizione di liberalismo, si contano davvero come esigui i cittadini di orientamento di sinistra che non si definiscano “liberali”, nell’accezione laica che abitualmente si dà al termine, ma non necessariamente in quella politica. Niente a che vedere con la tradizione otto-novecentesca del socialismo anarchico e libertario che combatteva il sistema di potere e le sue ingiustizie o di quello del secondo dopoguerra, forte della spinta resistenziale, mentre oggi a sinistra si difendono i diritti civili delle persone ma non quelli sociali dei lavoratori. Se la democrazia “illiberale” promossa da un ex liberale e oscuro ex calciatore, ha in larga parte convinto il popolo ungherese, perché mai non dovrebbe non solo trovare i suoi estimatori nel nostro paese, dove la democrazia è più una definizione di comodo piuttosto che uno status dell’uomo contemporaneo, e, anzi, diventare un giorno assoluta maggioranza? Nel dotto ragionamento di Sabino Cassese, infine, vi è un soggetto assente, derubricato, un nuovo “convitato di pietra”: il comunismo. Che, come uno spettro, si aggira di nuovo per l’Europa, ma in qualità di reietto, mai veramente compreso, al di là dei suoi molteplici errori. E con esso, quella miriade di persone, intellettuali e gente comune, laici e cattolici, i quali, per un tempo tutt’altro che breve, avevano ritenuto che per cambiare realmente la società e l’uomo, fosse necessaria una vera rivoluzione o più semplicemente, l’essere e il sentirsi comunisti.

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