– di GIULIA CLARIZIA-
La Gioventù Federalista Europea (GFE) è un movimento politico giovanile legato al Movimento Federalista Europeo. Dal 1951 si è impegnata per mobilitare le forze politiche e sociali verso gli obiettivi del federalismo e secondo i principi della democrazia e della solidarietà. Oltre che a livello europeo (Jeunes Européens Fédéralistes), è organizzata a livello nazionale, regionale e locale. Una struttura importante, composta da più di 30.000 ragazzi in oltre 30 paesi, e con una certa storia alle spalle. Per conoscere meglio il lavoro del movimento, soprattutto in vista delle prossime elezione europee, abbiamo rivolto qualche domanda al Segretario Generale Antonio Argenziano e al Tesoriere nazionale Matteo Gori.
La GFE dal 1951 porta avanti l’idea del federalismo. Come è cambiata questa battaglia negli anni?
I Federalisti originariamente si distinguevano dai funzionalisti perché i funzionalisti volevano arrivare agli Stati Uniti d’Europa a tappe, invece i federalisti si sono sempre ispirati a un modello costituzionalista. Si credeva nella necessità di un momento costituente che segnava l’inizio di uno stato federale. Poi col tempo, questa interpretazione si è evoluta. All’inizio degli anni ’50 lanciarono varie iniziative in favore del piano Schumann e della CED. Dopo il fallimento di questa, nel 54, a seguito di varie discussioni, fu lanciato il “nuovo corso”, che si fonda sul Manifesto dei Federalisti europei, scritto da Spinelli nel ‘57. In quell’anno si espressero negativamente nei confronti della firma dei trattati di Roma. Infatti, quando c’è stato quel rilancio solo economico e non politico e di difesa, i Federalisti dicevano: “No, bisogna fare la federazione europea, perché sennò si rischia di andare ad arenarsi da qualche parte”. La CEE è stato un grande successo ma poi ci si è fermati. È stato allora Spinelli, dopo essersi battuto per l’elezione diretta del Parlamento con l’appoggio della galassia federalista a lanciare l’esperienza del club del coccodrillo. Ci si riuniva con un gruppo di Parlamentari in un ristorante che si chiamava appunto “Il coccodrillo”. Gruppo che cresceva di volta in volta e da cui è nata una proposta di modifica dei trattati. Il trattato Spinelli, è stato votato nel 1984 da oltre il 70% del Parlamento Europeo. Passava poi la palla al Consiglio Europeo che si riuniva a Milano, dove a piazza del Duomo è stata anche organizzata un’enorme manifestazione federalista. Anche lì erano stati messi in minoranza gli inglesi dove c’era la Thatcher che non voleva modificare i trattati, e da lì si è arrivati all’Atto Unico. L’ultimo discorso di Spinelli però dice: “Ma come? Da una montagna di lavoro, è stato partorito un topolino. E bisogna ancora capire se il topolino è vivo o morto”. Spinelli sarebbe morto pochi mesi dopo. È un discorso molto toccante. Lo chiude con l’immagine del vecchio e il mare di Hemingway. Dice di essersi sentito come il vecchio, che riesce a prendere il pesce più grosso che abbia mai pescato, e una volta a riva si rende conto che aveva soltanto la lisca perché i pescecani si erano mangiati tutta la carne. Però come pescatore non poteva arrendersi, doveva di nuovo affrontare il mare aperto. E questo è stato il suo ultimo discorso al Parlamento.
Adesso l’implementazione del trattato Spinelli è intorno al 60-70%. Però quello che manca è la parte più sostanziale.
In tutto questo, i Federalisti hanno sempre portato avanti la linea di demarcazione del Manifesto di Ventotene. Cioè quella tra chi vuole risolvere i problemi a livello nazionale e chi invece vuole farlo a livello sovranazionale. In questo senso è stata elaborata una scissione tra federalismo e nazionalismo. Ma il problema di oggi è che ci troviamo in una triangolazione. C’è da una parte un europeismo tendente al federalismo, che è comunque una visione radicale che vuole una riforma dell’Unione Europea; poi c’è il nazionalismo, o comunque queste internazionali sovraniste che vogliono che la sovranità resti agli stati; e poi invece c’è chi non vuole modificare i trattati. Chi dice che l’Europa ha fatto tante cose buone, come l’Erasmus, e quindi dobbiamo difenderla. Chi si limita a difendere lo status quo, adoperando come argomentazione solo i successi dell’Europa, non sottolineandole le contraddizioni, sta sostanzialmente facendo il gioco di chi l’UE vuole proprio distruggerla.
Siamo arrivati al giorno d’oggi. Allora vi chiedo: quali sono le sfide a cui il federalismo dovrebbe rispondere? Anche rispetto alle sfide del passato. Ci sono delle costanti?
Negli anni ’20 è stata teorizzata la crisi della civiltà europea, concepita come fondata sui principi della libertà politica. Questa teoria della crisi della civiltà era anche alla base del Manifesto di Ventotene, e gran parte della classe dirigente europea degli anni ’30, ’40 e ’50 , era arrivata alla conclusione che il modo per uscire da questa crisi della civiltà era l’unificazione del continente, in un modo che prima o poi sarebbe stato federale. Questo progetto non si è mai realizzato, e il discorso della crisi della civiltà oggi lo viviamo in maniera totalmente diversa rispetto agli anni ’50, ma continuiamo a viverlo. C’è una crisi di valori. Ora stiamo vivendo un momento in cui tu parli con un ragazzo, gli fai un discorso di valori, di libertà ecc. e ti risponde: “Sì, ma quando parliamo di cose serie?”. E questa è una cosa inquietante. La grande sfida è quella di reinventare la democrazia. La nostra idea è quella di un’Unione con un parlamento bicamerale, con una camera dei cittadini e una degli stati, con un governo responsabile davanti al parlamento. Ma Bisogna anche reinventare la democrazia rappresentativa. Noi crediamo molto nei corpi intermedi. La politica non è il voto, ma è tutto il processo che porta al voto. Il votare è un risultato. Non è il processo della democrazia.
Ed è in questo processo che si inserisce l’attività della GFE?
Sì
Perché la GFE non corre alle elezioni…
Esattamente.
E passando dalle idee alla pratica, rispetto alle elezioni europee che sono alle porte, qual è il ruolo della GFE? E quale può essere il ruolo della gioventù in generale che crede in questi principi?
Nella pratica, visto che la GFE non concorre alle elezioni è sempre abbastanza complesso definire il suo ruolo. L’idea che abbiamo avuto è che, vista la crisi dei corpi intermedi, e vista l’analisi storico-politica che facciamo, ci siamo detti: “cerchiamo di radunare tutte quelle forze, tutte quelle associazioni della società civile in una ‘rete di reti’ a partire da un concetto chiave. Andare a portare l’Europa in quei luoghi in cui non se ne parla mai. Non solo come grande tema, ma anche l’Europa delle piccole cose. Questo a livello nazionale è partito come progetto “Sottosopra”, appunto ribaltare il punto di vista. Uscire dai salotti buoni dove si parla di Europa e andare nelle periferie. Non solo parlare di quello che l’Europa può fare per te, ma anche dire quello che vorresti l’Europa facesse per te. O anche quali sono le difficoltà quotidiane in merito alle quali l’Europa può fare qualcosa. Se è veramente “colpa” dell’Europa, ad esempio rispetto alla situazione migratoria, sociale, della disoccupazione. Non solo quindi portare qualcosa e ricevere qualcosa, ma nel contesto delle elezioni del 2019, radunare tutte quelle associazioni che magari già lo fanno e costituire una piattaforma comune. Condividere esperienze, o idee. La GFE non è un movimento di massa. A livello europeo siamo parecchi, ma a livello nazionali siamo un migliaio di iscritti. Quindi è fondamentale fare network, senza nessuna barriera all’entrata, per valorizzare tutti coloro che si mettono al servizio della comunità tramite associazioni e gruppi organizzati. Coordinare questi sforzi e dare a tutti loro un comune orizzonte di prospettiva, questa è la sfida. E così creare una struttura- un metodo quasi- per fare cittadinanza consapevole.
Tutto questo per ripartire da questi luoghi ma farlo in maniera concreta, con un progetto strutturato che si realizza in una piattaforma online in un’ottica consultiva per raccogliere best practices, e poi soprattutto con un’azione a livello locale, con persone reali che si incontrano.
Quindi c’è un luogo fisico?
Esatto. Luoghi fisici. Persone che si incontrano a cena e non si limitano a parlare di Europa, ma condividono una comune visione sul futuro e la voglia di fare qualcosa a riguardo. Avevamo previsto anche un elenco di format da poter proporre nelle scuole, da proporre come attività culturali, sportive ecc. Tanto viene già fatto, ma va coordinato tramite reti di persone che vogliono far qualcosa per cambiare una realtà che va in una direzione opposta rispetto ai valori e ai principi a cui ci ispiriamo come individui, oltre che come associazione.
C’è un manifesto alla base di tutto, però poi nel concreto bisogna uscire dal perimetro delle istituzioni europee perché la cittadinanza si compone di tanti elementi. E quando uno va a votare queste cose contano.
Anzi, forse sono quelle che contano di più…