-di NORBERTO BOBBIO*-
Premetto una considerazione sul concetto stesso di tolleranza e sul diverso uso che se ne può fare in diversi contesti. Premessa necessaria perché la tolleranza di cui intendo analizzare le “ragioni” corrisponde a uno solo dei significati, se pure al prevalente significato storico. Quando si parla di tolleranza nel suo significato storico prevalente, ci si riferisce al problema della convivenza di credenze, prima religiose poi anche politiche, diverse. Oggi, il concetto di tolleranza viene esteso al problema della convivenza delle minoranze etniche, linguistiche, razziali, in genere di coloro che si chiamano “diversi”, come d esempio gli omosessuali, i pazzi o gli handicappati. I problemi cui si riferiscono questi due modi di intendere, di praticare e di giustificare la tolleranza non sono gli stessi. Altro è il problema della tolleranza di credenze e opinioni diverse, che implica un discorso sulla verità e la compatibilità teorica o pratica di verità anche contrapposte; altro è il problema della tolleranza di colui che è diverso per ragioni fisiche o sociali, un problema che mette in primi piano il tema del pregiudizio, e della conseguente discriminazione. Le ragioni che si possono addurre, e sono state effettivamente addotte nei secoli in cui ferveva il dibattito religioso, in difesa della tolleranza nel primo senso, non sono le stesse che si adducono per difendere la tolleranza nel secondo. Così sono diverse le ragioni delle due forme di intolleranza. La prima deriva dalla convinzione di possedere la verità; la seconda deriva da un pregiudizio, inteso come un’opinione o un insieme di opinioni che vengono accolte acriticamente e passivamente dalla tradizione, dal costume oppure da un’autorità i cui dettami si accettano senza discuterli…
…La domanda fondamentale che si sono sempre posti i fautori della tolleranza religiosa o politica, è di questo tenore: come sono teoricamente e praticamente compatibili due verità opposte? La domanda fondamentale che si deve porre il fautore della tolleranza dei diversi è un’altra: come si può dimostrare che certe insofferenze verso una minoranza ovvero verso l’irregolare, appunto il “diverso”, derivano da pregiudizi inveterati, da forme irrazionali, puramente emotive, di giudicare gli uomini e gli eventi? La migliore prova di questa differenza sta nel fatto che nel secondo caso l’espressione abituale con cui si designa ciò che si deve combattere, anche nei documenti ufficiali internazionali, non è l’intolleranza ma la discriminazione, sia essa razziale, sessuale, etnica, cc. Il motivo per cui mi occupo delle ragioni della tolleranza nel primo senso sta nel fatto che il problema storico della tolleranza, cosi come è stato posto in Europa durante il periodo delle guerre di religione e via via dai movimenti eretici e poi dai filosofi come Locke e Voltaire, il problema trattato nelle storie della tolleranza, come quella più famosa, di Joseph Lecler (in due volumi, 1954), è il problema relativo esclusivamente alla possibilità di convivenza di confessioni religiose diverse, problema nato nell’età in cui avvenne la rottura dell’universo religioso cristiano.
Dall’accusa che il tollerante muove all’intollerante di essere un fanatico, l’intollerante si difende accusandolo a sua volta di essere uno scettico o per lo meno un indifferente, uno che non ha forti convinzioni e ritiene non vi sia alcuna verità per cui valga la pena di battersi. È ben nota la cotroversia che si accese al principio del secolo tra Luigi Luzzatti, autore del libro in cui esaltava la tolleranza (La libertà di coscienza e di scienza, 1909), come principio ispiratore dello stato liberale, e Benedetto Croce , il quale dopo aver affermato che la tolleranza è “formula pratica e contingente e non già principio universale e non può essere adoperata come criterio per giudicare la storia la quale ha d’uopo di criteri che le siano intrinseci”, replicò che fra i tolleranti “non sempre furono gli spiriti più nobili ed eroici. Spesso vi furono i retori e gli indifferenti. Gli spiriti vigorosi ammazzavano e si facevano ammazzare”. Concludeva: “Questa è la storia e nessuno può mutarla”. L’accusa di Croce è molto precisa: i tollerati possono essere oltre che “retori… anche indifferenti…
…Insomma, da parte dell’intollerante o da chi si pone al di sopra dell’antitesi tolleranza-intolleranza, giudicandola in sede storica e non in sede pratico-politica, il tollerante sarebbe spesso tale non per delle buone ragioni ma per delle cattive ragioni. Non sarebbe tollerante perché seriamente impegnato a difendere il diritto di ciascuno di professare la propria verità, posto che ne abbia una, ma perché non gli importa nulla della verità.
Ma accanto alle cattive ragioni vi sono anche delle buone ragioni…
…Comincio dalla ragione più vile, meramente pratica o di prudenza politica… : la tolleranza come male minore o come male necessario. Intesa in questo modo la tolleranza non implica la rinuncia alla propria ferma convinzione, ma implica puramente e semplicemente l’opinione, eventualmente da rivedere di volta in volta secondo le circostanze e le situazioni, che la verità abbia tutto da guadagnare a sopportare l’errore altrui perché la persecuzione, come spesso l’esperienza storica ha dimostrato, invece di stroncarlo, lo rafforza….
…Questa ragione, in quanto è essenzialmente pratica assume diversi aspetti secondo la diversa natura dei rapporti di forza tra me e la mia dottrina o la mia scuola, detentrice della verità, e gli altri, immersi nell’errore. Se sono il più forte, accettare l’errore altrui può essere un atto di astuizia: la persecuzione dà scandalo, lo scandalo allarga la macchia che è bene, invece, tenere quanto è più possibile nascosta… Se sono il più debole la sopportazione dell’errore altrui è uno stato di necessità: se mi ribellassi sarei schiacciato e perderei ogni speranza che il mio piccolo seme possa fruttificare in futuro. Se siamo pari, entra in gioco il principio della reciprocità sul quale si fondano tutte le transazioni, tutti i compromessi, tutti gli accordi, che sono alla base di ogni convivenza pacifica…: la tolleranza allora è l’effetto di uno scambio, di un modus vivendi, di un do ut des, all’insegna del “tu tolleri me io tollero te”… In tutti questi casi la tolleranza è manifestamente, coscientemente, utilitaristicamente, il risultato di un calcolo e come tale non ha niente a che vedere con il problema della verità.
…La tolleranza può rappresentare la scelta del metodo della persuasione rispetto a quello della forza e della coazione. Dietro alla tolleranza intesa in questo modo c’è non più soltanto la sopportazione passiva e rassegnata dell’errore, ma c’è già un atteggiamento attivo di fiducia nella ragione e nella ragionevolezza dell’altro, una concezione dell’uomo non solo capace unicamente di inseguire i propri interessi, ma anche di considerare il proprio interesse alla luce dell’interesse di tutti, e il rifiuto consapevole della violenza come unico mezzo per ottenere il trionfo delle proprio idee.
Mentre la tolleranza come mera sopportazione del male e dell’errore è dottrina teologica, la tolleranza come implicante il metodo della persuasione è stato uno dei grandi temi dei saggi più illuminati che hanno contribuito a far trionfare in Europa il principio della tolleranza a conclusione delle sanguinose guerre di religione…
…Una delle definizioni possibili di democrazia è quella che mette in particolare evidenza la sostituzione delle tecniche della persuasione alle tecniche della forza come modo di risoluzione dei conflitti.
…Si può addurre a favore della tolleranza una ragione morale: il rispetto della persona altrui. Anche in questo caso, la tolleranza non riposa sulla rinuncia alla propria verità. Io credo fermamente nella mia verità ma ritengo di dover ubbidire a un principio morale assoluto: il rispetto della persona altrui…
…Come il metodo della persuasione è strettamente connesso con la forma di governo democratico, così il riconoscimento del del diritto di ogni uomo a credere secondo coscienza è strettamente connesso con l’affermazione dei diritti di libertà, primo fra tutti il diritto di libertà religiosa, e poi quello di libertà di opinione, i diritti cosiddetti naturali e inviolabili che stanno a fondamento dello stato liberale…
…Qui la tolleranza non è voluta perché socialmente utile o politicamente efficace, ma perché eticamente doverosa…
…Le buone ragioni della tolleranza non debbono farci dimenticare che anche l’intolleranza può avere le sue buone ragioni. A ognuno di noi accade, ogni giorno, di esplodere in esclamazioni del tipo: “È intollerabile che…”, “Come possiamo tollerare che…?”. “La tolleranza va bene, sì, ma ha dei limiti”, ecc.
A questo punto occorre chiarire che lo stesso termine “tolleranza” ha due significati, uno positivo e uno negativo, e pertanto ha due significati, rispettivamente negativo e positivo, anche il termine opposto. In senso positivo, la tolleranza si oppone a intolleranza in senso negativo, e viceversa al senso negativo tolleranza si contrappone il senso positivo di intolleranza. Intolleranza in senso positivo è sinonimo di severità, rigore, fermezza, tutte qualità che rientrano nel novero delle virtù; tolleranza in senso negativo invece è sinonimo di colpevole indulgenza, di condiscendenza al male, all’errore, per mancanza di principi, o per amore del quieto vivere o per cecità di fronte ai valori. È evidente che quando facciamo l’elogio della tolleranza riconoscendo in essa uno dei principi fondamentali del vivere libero e pacifico, intendiamo parlare della tolleranza in senso positivo. Ma non dobbiamo mai dimenticare che i difensori della intolleranza si valgono del senso negativo per denigrarla: se Dio non c’è, tutto è permesso…
…Tolleranza in senso positivo si oppone a intolleranza religiosa, politica, razziale, vale a dire all’indebita esclusione del diverso. Tolleranza in senso negativo si oppone a fermezza nei principi, vale a dire alla giusta o debita esclusione di tutto ciò che può recar danno all’individuo e alla società…
…Ma anche la tolleranza positiva non è assoluta.La tolleranza assoluta è pura astrazione. La tolleranza storica, reale, concreta, è sempre relativa… Ma è un fatto che tra concetti estremi di cui l’uno è il contrario dell’altro, esiste un continuo, una zona grigia, il né né, la cui maggiore o minore ampiezza è variabile, ed è su questa variabile che si può valutare quale società sia più o meno tollerante, più o meno intollerante…
…La tolleranza deve essere estesa a tutti tranne a coloro che negano il principio di tolleranza, o più brevemente tutti debbono essere tollerati tranne gli intolleranti. Questa era la ragione per cui Locke riteneva che non si dovesse estendere la pratica della tolleranza ai cattolici, e oggi nella sfera politica si nega in certi paesi diritto di cittadinanza ai comunisti e ai fascisti…
…Rispondere all’intollerante con l’intolleranza può essere formalmente ineccepibile, ma è certo eticamente povero e forse anche politicamente inopportuno. Non è detto che l’intollerante, accolto nel recinto della libertà, capisca il valore etico del rispetto delle idee altrui. Ma è certo che l’intollerante perseguitato ed escluso non diventerà mai un liberale. Può valer la pena di mettere a repentaglio la libertà facendo beneficiare di essa anche il suo nemico, se l’unica possibile alternativa è di restringerla sino a rischiare di soffocarla o per lo meno di non permetterle di dare tutti i suoi frutti. Meglio una libertà sempre in pericolo ma espansiva che una libertà protetta ma incapace di svilupparsi. Solo la libertà in pericolo è capace di rinnovarsi. Una libertà incapace di rinnovarsi si trasforma presto o tardi in una nuova schiavitù…
…Dove non sembra ambigua la storia di questi ultimi secoli è nel mostrare l’interdipendenza fra la teoria e la pratica della tolleranza, da un lato, e lo spirito laico, inteso come la formazione di quella mentalità che affida le sorti del regnum hominis più alle ragioni della ragione accomunante tutti gli uomini che non agli slanci della fede, e ha dato origine, da un lato, agli stati non confessionali, ovvero neutrali in materia religiosa, e insieme liberali, ovvero neutrali in materia politica, dall’altro, alla cosiddetta società aperta nella quale il superamento dei contrasti di fedi, di credenze, di dottrine, di opinioni, è dovuto all’impero della regola aurea secondo cui la mia libertà si estende sino a che essa non invade la libertà degli altri, o, per dirla con le parole di Kant, “la libertà dell’arbitro di uno può sussistere colla libertà di ogni altro secondo una legge universale” (che è la legge della ragione).
* Stralci dal capitolo “Le ragioni della tolleranza” pp. 230-247, inserito nel libro di Norberto Bobbio: “L’età dei diritti”, Einaudi, 1997. Lo scritto apparve per la prima volta nel volume curato da C. Boni intitolato: “L’intolleranza: uguali e diversi nella storia”. Raccoglieva gli atti del Convegno Internazionale di Bologna, 12-14 dicembre 1986; Il Mulino, 1986, pp. 143-157