Il “Manifesto per l’uguaglianza” di Luigi Ferrajoli

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-  

Luigi Ferrajoli ci consegna un libro nuovo, il cui titolo suona come un monito e un invito allo stesso tempo: Manifesto per l’uguaglianza (Editore Laterza, 265 pagine, Euro 20,00). Perché agli inizi del nuovo Millennio si sente l’esigenza di dar vita ad un trattato-manifesto programmatico per ribadire i principi – giuridici e di ragione – sui quali dovrebbe poggiare l’uguaglianza fra persone? Probabilmente perché non vi è stata una retta applicazione di questo principio? Oppure perché, travolti da situazioni finanziarie e politiche che finiscono per sovrastare le esistenze individuali e collettive, si rischia di porlo in secondo piano o, addirittura, di dimenticarlo come se non fosse mai esistito?

Quali che siano le risposte a tali interrogativi, il libro di Ferrajoli è una lettura stimolante. Aiuta a comprendere le attuali tendenze del diritto – nazionale e internazionale – e costituisce un buon punto di avvio per riflessioni sia sul piano umanistico e culturale, che sul piano eminentemente politico. Infine, potrebbe essere una buona guida per impostare il lavoro di futuri governi chiamati dagli elettori a prendere decisioni di un certo peso, senza che venga meno il rispetto dell’individuo come essere sociale. 

Prof. Ferrajoli, vorrei iniziare facendole una domanda un po’ provocatoria. Il fatto che nel 2018 si senta l’esigenza di porre mano, come lei ha fatto, ad un manifesto che richiami l’attenzione sul principio di uguaglianza, la dice lunga sulla condizione di salute del nostro Stato. Come mai ci troviamo in questa situazione?

“Evidentemente perché c’è stato un crollo della politica, che dovrebbe essere garante degli interessi di tutti e perciò dell’uguaglianza. La dipendenza della politica dall’economia è avvenuta in maniera sempre più palese in questi ultimi decenni. Indubbiamente quello dell’uguaglianza è un principio complesso. Ma questa non è una giustificazione per averlo violato in entrambe le sue dimensioni: quella dell’uguaglianza formale delle differenze di identità e quella della riduzione delle disuguaglianze sostanziali di tipo economico, affermate rispettivamente dal 1^ e dal 2^ comma dell’art. 3 della nostra Costituzione. Oggi assistiamo ad una crescita delle disuguaglianze sostanziali spaventosa, che è all’origine anche del crollo, nel senso comune, del principio dell’uguaglianza formale, violato dalle tante forme di razzismo, di xenofobia, di mancanza di rispetto o peggio di intolleranza per le identità differenti.”

Quello di uguaglianza è un principio che è stato alla base del Costituzionalismo del secondo Novecento…

“Direi di sì. È stato fondamentale nella Costituzione italiana del 1948, così come in tante altre costituzioni e nelle tante Dichiarazioni e carte internazionali che hanno proclamato i diritti della persona come diritti di tutti e fondamento, perciò, dell’uguaglianza. Nel corso dei primi trent’anni del secondo dopoguerra, si è registrata un’attenzione ed un’attuazione altissime per e del principio di uguaglianza. E fu in virtù di tale attuazione che, parallelamente, si registrò anche una straordinaria crescita economica, resa possibile, in Italia come in Germania, anche da una politica fiscale progressiva i cui introiti vennero equamente redistribuiti. Oggi, purtroppo, assistiamo al processo inverso.”

Da quando è iniziata questa inversione?

“Direi dagli anni Ottanta, cioè con le prime misure attuate contro i lavoratori: dall’abolizione della scala mobile e dai primi provvedimenti a sostegno del lavoro precario. Poi, con il berlusconismo, abbiamo assistito al radicalizzarsi di tali tendenze: alla svalutazione crescente del lavoro e alla generalizzazione della precarietà dei rapporti di lavoro. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: è cresciuta la disoccupazione, e i ricchi sono sempre più ricchi, mentre i poveri sono sempre più poveri. Parallelamente si sono disgregate le basi sociali della sinistra, che erano assicurate dalla tendenziale uguaglianza dei lavoratori e dei ceti più deboli da essa rappresentati.”

Secondo lei i partiti politici sono responsabili di questa situazione?

“Certo che sì. I partiti politici, attualmente, sono totalmente distanti dalla società. Ruotano esclusivamente attorno a loro stessi ed ai loro interessi. Venendo così meno al principio per i quali esistono. Li vediamo tutti dominati dalle statistiche inerenti le intenzioni di voto nella prospettiva di prossime campagne elettorali e quindi di elezioni. Ma questa è la via migliore perché si creino le forme peggiori e deleterie di populismo. Le quali si manifestano con proposte surreali, per non dire altro, come quella recente che riguarda l’istituzione di una flat tax. Che è quanto di più assurdo, discriminatorio e incostituzionale si possa fare, giacché ne andrebbero a beneficiare i ceti più abbienti a sfavore dei più poveri con conseguente crescita della disuguaglianza e della povertà. È un percorso degenerativo, quello cui stiamo assistendo, impressionante.”

A tal proposito, lei nel suo libro dedica un capitolo al reddito di cittadinanza. È possibile istituirlo in Italia o non vi sono né mai vi saranno le condizioni?

“Ma certo che è possibile l’istituzione di un reddito di sussistenza, come lo chiamo io. Basterebbe adottare l’opposto della flat tax: l’imposizione fiscale di tipo realmente progressivo prescritta dall’art. 53 della Costituzione, cioè l’aumento delle aliquote di imposta per i redditi dei più ricchi e quindi la redistribuzione di ciò che deriverebbe da tale sistema di tassazione.”

È una riforma necessaria secondo lei?

“Sì, e nel modo più assoluto.”

Perché?

“Perché ormai il lavoro vilito in ogni sua forma e privato della dignità della persona che, come che sia, deve essere garantita. Un reddito di sussistenza o di cittadinanza che dir si voglia, accrescerebbe la forza contrattuale dei lavoratori, i quali non sarebbero più obbligati ad accettare condizioni di impiego indecenti. Non dimentichiamo che l’articolo 1 della Costituzione pone il lavoro a fondamento della Repubblica, configurandolo come un valore della persona e non come una merce destinata ad essere sempre più svalutata e sfruttata, fino a forme di para-schiavismo.”

Se non ricordo male, come dice nel suo libro, i padri costituenti previdero un reddito di cittadinanza e lo inserirono in uno degli articoli della Carta…

“Si, nell’articolo 38 della Costituzione, che prevede il “diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita” non solo “in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia”, ma anche nel caso di “disoccupazione involontaria”. Si tratta dunque di un precetto vincolante, ignorato e perciò violato dal nostro sistema politico. Ma ormai la politica ignora sistematicamente la Costituzione. Peraltro, riprendendo quanto dicevo poc’anzi in merito alla correlazione fra il reddito di sussistenza e il rafforzamento dell’autonomia contrattuale dei lavoratori, l’attuazione di questo principio favorirebbe anche una notevole ripresa dei sindacati e della loro attività, oggi più che mai necessaria quale anticorpo sociale all’attuale dominio dei poteri finanziari.”

Si riferisce ai cosiddetti corpi intermedi?

“Certo! Ormai i partiti politici sono distrutti. Sono stati trasformati in macchine elettorali che ruotano attorno a un capo più o meno carismatico. In tale contesto, una ripresa dell’attività sindacale potrebbe costituire un fattore di riequilibrio sociale.”

Quale dovrebbe essere, a suo avviso, un’altra riforma da attuare per ridare ai partiti politici la funzione e il ruolo perduti?

“La prima cosa da fare, come propongo nel capitolo quinto del mio libro, sarebbe attuare la separazione fra cariche di partito e cariche pubbliche, anche elettive. E’ un presupposto elementare della distinzione tra rappresentati e rappresentanti, tra controllori e controllati e perciò del ruolo di indirizzo politico dei primi nei confronti dei secondi. I partiti dovrebbero tornare ad essere organi della società. Dovrebbero formulare i programmi nei congressi, formare le candidature alle elezioni, chiamare gli eletti a rispondere del loro operato. I dirigenti dei partiti, ovviamente, sono destinati ad essere eletti nelle istituzioni rappresentative, ma in tal caso dovrebbero lasciare il posto ad altri in grado di controllarli. Solo così si ristabilirebbe un rapporto di fiducia fra società e ceto politico. Altrimenti la politica si riduce, nel migliore dei casi, a tecnica di amministrazione subalterna ai mercati. Che è quanto è accaduto negli ultimi anni.”

Come vede il futuro dell’Italia, Professore?

“Un futuro di civiltà e di progresso sarebbe possibile se fosse preso sul serio e realizzato il principio di uguaglianza. Il quale, oltre ad essere un precetto costituzionale, è anche un principio di ragione e il valore politico che direttamente o indirettamente è alla base di tutti gli altri. La sua attuazione sarebbe il miglior programma di governo. Occorrerebbe, a tal fine, ricostruire lo stato sociale e, prima ancora, l’intero tessuto della società, partendo dalle sue forme organizzative basilari, cioè dai partiti e dai sindacati. Occorrerebbe inoltre adoperarsi affinché nell’Unione Europea, della quale facciamo parte, siano garantiti i diritti umani da una sfera pubblica all’altezza delle attuali sfide della globalizzazione. Purtroppo sembra che si stia andando in una direzione esattamente opposta.”

 

pierlu83

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