-di MAURIZIO FANTONI MINNELLA-
In una bella giornata di sole, mentre nel Salone di Palazzo Estense si celebravano i valori fondanti della Resistenza antifascista, soprattutto attraverso il lungo e appassionato intervento della ex senatrice novantenne Yvonne Trebbi, non molto lontano, in due cimiteri cittadini (Belforte e Sant’Ambrogio), un manipolo di giovani nazi-fascisti di Do.Ra (Comunità Militante dei Dodici Raggi), piccola formazione nota alla questura, alle forze dell’ordine locali e agli antifascisti varesini per i lugubri raid in vetta al Monte San Martino, onorava i caduti della Repubblica di Salò, i patrioti, i martiri in camicia nera, con tanto di saluto romano, apologia di fascismo e tutto il ripugnante armamentario che andrebbe rubricato con la definizione di “apologia di fascismo”, da oggi, però, oggetto di un’interrogazione parlamentare presentata da Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali. Tuttavia, a fronte dell’assenso delle istituzioni, del silenzio dell’opinione pubblica e del purtroppo inascoltato dissenso di chi dell’antifascismo ha fatto una legittima e giusta pratica quotidiana, i rapati e palestrati giovinastri di Sumirago e dintorni (ma sono venuti anche da Bergamo), hanno fatto di più, dichiarando con sprezzante alterigia in sfregio alle istituzioni democratiche, la propria fede nazionalsocialista (chi infatti, ricorda che nel 2013 parteciparono, lungo la ferrovia della Valmorea in località Folla di Malnate, alla festa per il compleanno di Adolf Hitler organizzata ufficialmente dal gruppo “Varese Skinheads”?) forti del fatto che il clima politico generale sembra non curarsi troppo della gravità non solo delle loro affermazioni, ma della loro stessa presenza indisturbata sul territorio. Siamo, dunque, di fronte al paradosso di due eventi che rappresentano l’uno la negazione dell’altro. Qualcuno che, forse, ha troppo letto i libri di Giampaolo Pansa, potrebbe affermare che è proprio questa la piena democrazia, ossia il permettere a chiunque di affermare le proprie idee anche attraverso le azioni. Peccato che in questo paese esistano, lo ribadiamo, ben tre leggi che vietano l’apologia e la ricostruzione del partito fascista. Leggi inascoltate e mai veramente applicate nella realtà dei fatti. Se è proprio lo Stato per primo a negare se stesso, non facendo applicare le leggi, e dunque, consentendo una manifestazione deprecabile e inquietante come quella del 25 aprile (ma non solo quella!), vuol dire che oltre a un decifit di democrazia e di coerenza democratica, vi è anche una sorta di spaesamento morale accolto nell’indifferenza generale. In un paese in cui, secondo una vulgata purtroppo ormai maggioritaria, vale l’equiparazione dei morti, delle vittime della Resistenza con quelli del regime fascista, responsabile assoluto della tragedia e della disfatta materiale e morale di una nazione, in una sorta di pacificazione generale, accomodante, in realtà ipocrita e falsa perché post-ideologica ma non per questo, meno ideologicamente insidiosa, nel senso di un strisciante disegno che consiste nel togliere alla sinistra l’egemonia sulla tema della Resistenza e dell’Antifascismo. E’ chiaro, quindi, che in tale clima di acquiescenza politica e morale, dove nemmeno il cosiddetto antifascismo militante ha più cittadinanza (accusato di radicalizzare lo scontro anche fisico tra le parti politiche, nel dualismo fascismo-antifascismo in chiave manichea, all’interno di una società che, al contrario, vorrebbe essere la negazione di ogni conflittualità), i pronipoti nostrani di Adolf Hitler (e quanti oggi professino simili idee, già peraltro uscite sconfitte non da una guerra sanguinosa e orrenda ma anche dal novero della civiltà umana) si sentano tranquilli, senza più un ostacolo che gli si frapponga, senza più comunisti in agguato né ipotesi probabili di scontro fisico, giacchè l’attuale demonizzazione della violenza, in ricordo degli anni Settanta quando essa era diventata prassi normale quotidiana, disarma, tuttavia, qualsiasi forma di difesa popolare, legittimando sempre e comunque quella ad opera dello Stato (lo abbiamo, nostro malgrado, imparato durante il G8 di Genova, alla scuola Diaz e a Bolzaneto ma anche per le strade della città mediterranea), dove rompere ossa e teste dei manifestanti o umiliarne la dignità, fu ritenuto un atto meno grave della distruzione della vetrine di un negozio!!. Se in quei momenti drammatici ormai lontani abbiamo creduto (e non solo noi che eravamo presenti su quelle strade assolate) che la democrazia, nel nostro paese, fosse stata improvvisamente sospesa, non vorremmo mai che questo si ripetesse, magari sotto altre e più subdole forme, perché, al momento della resa dei conti, politica, morale e materiale, non saranno, forse, in molti (come la Storia ci ha insegnato) coloro che, davvero, vorranno opporvisi. Perché il fascismo, è bene ribadirlo, oltre ad essere una realtà storica o un pensiero politico, è l’affermazione collettiva di un preteso spirito di autorità, totalizzante e totalitario, con il quale il popolo italiano non ha mai veramente saputo chiudere i conti.