Quel ricordo di Silvano Miniati sulla Resistenza

Oggi in occasione della festa della Liberazione ripubblichiamo un ricordo del nostro amico Silvano Miniati.

-di SILVANO MINIATI-

Chi ha scoperto come è successo a me il 25 Aprile in una fase della vita nella quale si è ormai troppo grandi per essere bambini e troppo piccoli per essere considerati degli adolescenti, pensa  a quella data e ai ricordi che suscita non  come chiara ricostruzione di alcune fasi della propria esistenza. Io mi trovo di fronte a un groviglio disordinato di flash che sicuramente rafforzano alcune convinzioni e sentimenti, ma difficilmente mi mettono nella condizione di poter affermare con chiarezza quale fosse il mio modo di pensare allora i rapporti all’avvenimento.

Questa convinzione mi sollecita una premessa che a mio giudizio è indispensabile per spiegare il perché di valutazioni che sono sicuramente influenzate dal passato ma anche fortemente condizionate da quello che vedo e vivo oggi.

Le mie prime esperienze con i problemi sociali, politici e culturali del dopoguerra si sono svolte in Mugello. Un’area prevalentemente agricola, schiacciata tra l’Appenino Tosco-Emiliano e le colline che isolano Firenze dal Mugello. Una terra popolata da uomini e donne che erano, quasi mai per scelta costretti a legare la loro esistenza e la loro qualità della vita all’agricoltura.

 Nei primi anni del dopoguerra, si trattava di un agricoltura molto povera che assicurava la sussistenza grazie a uno sforzo rilevante affidato quasi esclusivamente alle braccia e a tantissime ore di lavoro. La terra era lavorata prevalentemente a mano. Non esistevano strumenti moderni che alleviassero la fatica, se non gli aratri, e i coltri, qualche paio di buoi che li trainassero. Quello che il podere, condotto a mezzadria produceva veniva diviso con il titolare della terra; quasi sempre il nobile proprietario terriero. Titolare di tantissimi ettari, il quale tratteneva la metà dell’intero prodotto. Un cinquanta e cinquanta per quanto riguardava la ripartizione che fu alla base di grandi lotte che arrivarono fino ad una legge che portò la percentuale spettante al mezzadro al 53%.

I miei primi anni di ragazzo che aveva superato i 10 anni e che viveva le prime esperienze collettive nella scuola elementare, risentivano ovviamente del clima che al Mugello si respirava in quel periodo. A scuola naturalmente ti confrontavi con ragazzi che riportavano lì sentimenti e posizioni mutuati dalla famiglia, dai parenti e dai vicini di casa.

Socialmente i mezzadri che erano la parte più povera della popolazione erano anche quella più disponibile al confronto e allo stare insieme. I ricordi che più ti capitava di ascoltare erano collegati alle esperienze di guerra, ai soprusi e alle porcherie dei tedeschi e dei fascisti, e assistevi alla indicazione di persone note spesso facoltose che erano state la bandiera del regime fascista e che si erano subito convertiti ai valori della Resistenza e dell’antifascismo.

Era chiaro che in molti casi non si trattava affatto di conversioni ma di semplice e cinico adattamento alla nuova realtà. Già allora capitava di assistere a manifestazioni o iniziative organizzate per ricordare la Resistenza, festeggiare la liberazione, esaltare l’antifascismo, di scorgere la presenza di persone che potremo definire appartenenti al vecchio regime.

Emerse immediatamente già dai primi momenti una contraddizione non di poco conto, rappresentata dal fatto che i mezzadri e i piccoli coltivatori di uliveti, anche a causa di un loro rifiuto a mischiarsi con tanta gente di paese che si era sempre comportata in maniera onesta durante il fascismo, e quindi poco affidabile tendessero a isolarsi e a ricercare forme di stare insieme tra loro.

Anche per questo, incominciarono a prendere corpo, riunioni che oggi potremmo definire di caseggiato o di quartiere che in realtà avevano una loro specificità che risiedeva nel fatto che era la casa del mezzadro più disponibile, la sede nella quale  gli abitanti di quattro o cinque poderi, donne, uomini o ragazzi, senza distinzione di genere o di età, si riunivano per discutere tra loro.

Da quelle prime esperienze, certo molto ispirate all’antifascismo e alla Resistenza, germogliarono i semi delle lotte future che segnarono tutta la fase nella quale il Mugello passò da zona agricola molto arretrata a zona nella quale nacquero e si svilupparono fenomeni niente affatto omogenei tra loro, ma che risentirono fortemente della modernizzazione e del progresso vero o presunto che arrivava da Firenze, dalla sua zona industriale e dal comprensorio di Prato dove si erano stabiliti tanti mezzadri.

Quei nuclei di mezzadri che avevano rappresentato il nocciolo duro si erano intanto disarticolati. Molta parte dei suoi componenti trovò lavoro a Prato e a Firenze, ma il richiamo all’antifascismo e alla Resistenza non si perse e a dire la verità, è una delle poche cose davvero vive che sentiamo richiamare ogni qualvolta ti capita di discutere con gruppi di persone che l’esperienza del dopoguerra l’hanno vissuta fino in fondo e sul campo.

I mezzadri del Mugello hanno sempre considerato il 25 Aprile un giorno di festa, trasmettendo queste convinzione e questo stato d’animo anche ai loro figli e ai loro nipoti, tra cui anche quelli come me che erano troppo grandi per essere bambini e troppo piccoli per essere adolescenti. Questi insegnamenti si sono tradotti nel tempo in esperienze sociali e associative molto avanzate, in risultati elettorali che hanno sempre garantito una vittoria corposa alle liste e agli schieramenti di sinistra o di centro-sinistra.

Per dirla in estrema sintesi, sono convinto che dalla prima volta, quando, come ragazzino in pantaloni corti partecipai, assieme a mio padre e a mio zio al mio primo 25 Aprile, si è radicata in me una convinzione molto forte. Il 25 Aprile ha rappresentato non solo la sconfitta del fascismo e di ogni forma di prepotenza, ma anche il risveglio di un popolo che sperava di andare spedito e deciso verso un luminoso avvenire.

Il fatto che tante nostre speranze di allora siano state deluse e tradite, che molti politici che hanno passato la vita ad esaltare Liberazione e Resistenza, dimostrandosi poi non degni di questi principi, ci può riempire di amarezza ma non farci cambiare idea.

 Destra e sinistra esistono ancora sotto spoglie diverse, vediamo ogni giorno riemergere l’eterno conflitto tra democratici e autoritari e prepotenti. L’esperienza ci serve anche per capire che tra i due fronti, non ci possono essere confusioni.

Non è vero che siamo tutti uguali. Che tutto fa schifo. C’è del buono nella nostra esperienza e attorno a noi che va difeso e rilanciato con grande energia.

fondazione nenni

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