– di GIULIA CLARIZIA-
A Bruxelles sono in corso le discussioni in merito al bilancio a lungo termine per l’UE, ovvero il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) per il periodo successivo al 2020.
Lo scorso 14 marzo, il Parlamento Europeo ha approvato due risoluzioni a riguardo redatte sulla base delle considerazioni presentate a febbraio dalla Commissione.
Prima di entrare nel merito del presente dibattito, è importante ricordare che l’UE approva un bilancio annuale, su proposta della Commissione e tramite voto del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo. Il Quadro Finanziario Pluriennale, invece, stabilisce i limiti dei bilanci annuali e ne indirizza le priorità per un periodo di almeno 5 anni. In parole povere, il QFP serve a determinare il tetto massimo di spesa che l’UE può permettersi in un determinato anno per un determinato settore.
Come ha sottolineato il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, dietro le cifre dei bilanci si riflettono le priorità e le ambizioni dell’Unione. Di conseguenza, parlare di un prospetto di spesa futura, significa impostare la rotta politica dell’UE, considerando anche che sul bilancio pluriennale il Consiglio vota ancora all’unanimità.
Ma quali sono le priorità di investimento sulle quali le istituzioni stanno discutendo, in preparazione del voto del Parlamento sulla proposta che la Commissione presenterà a inizio maggio?
Per quanto riguarda le aree di interesse, le parole chiave che rispecchiano la posizione della maggioranza degli euro-deputati sono: ricerca, piccola e media impresa, modernizzazione dell’agricoltura e sviluppo delle regioni più povere. Da questo punto di vista, dunque, non ci si sbilancia troppo al di fuori dal seminato, ma si punta ad investire nei settori in cui l’Unione è già presente (per esempio, quello dell’Erasmus+).
La ventata di novità, invece, potrebbe arrivare per quanto riguarda le modalità di finanziamento dell’UE. Infatti, bisognerà letteralmente fare i conti con il vuoto lasciato dalla Brexit, cioè circa 14 miliardi l’anno.
Posto l’obiettivo di voler rispondere alle sfide del presente senza sacrificare le priorità di spesa del passato (e cioè, in linea con quanto detto sopra, la Politica Agricola Comune e i fondi destinati alle regioni più povere), si pensa che sarà necessario aumentare la percentuale dei contributi nazionali dall’1% all’1,3%.
Oltre a questo, il Parlamento ha sottolineato la necessità di “Sostituire parzialmente i contributi nazionali basati sul reddito nazionale lordo con nuove risorse proprie”. Proprio per non dover gravare sui bilanci nazionali, si sta lavorando per proporre un rafforzamento delle risorse proprie esistenti[1] (che già attualmente finanziano la stragrande maggioranza delle spese dell’UE) e l’inserimento di nuove imposte europee (ad esempio imposte sulle transazioni finanziarie, nel settore digitale e tasse ambientali).
Se alle parole “nuove imposte” è naturale che i diretti interessati salteranno sulla sedia, è chiaro che se aumentano le ambizioni, aumentano anche le spese, e in un modo o nell’altro, andranno coperte.
Anche perché, ad animare le prossime discussioni sul bilancio, ci saranno anche temi politicamente spinosi e al tempo stesso fondamentali: l’immigrazione, la sicurezza delle frontiere rispetto al problema del terrorismo internazionale, e la difesa. E su questioni come la sicurezza dei cittadini, forse è bene mettersi la mano sulla coscienza e investire ciò che sarà necessario.
A questo proposito, una voce del QFP sarà dedicata al Fondo Europeo per la Difesa istituito nel quadro dell’EDAP (European Defence Action Plan), lanciato nel 2016. Tale programma mira ad accrescere i settori della difesa degli stati membri attraverso progetti comuni di ricerca e di sviluppo in ambito industriale.
Sempre a sostegno di investimenti comuni in questo ambito, pochi sanno che se i progetti sono portati avanti da due o più paesi dell’Unione, le spese affrontate dai singoli stati non sono contabilizzate all’interno del vincolo di bilancio comportato dal Patto di stabilità, e quindi non andranno a gravare sul deficit nazionale.
[1] Cioè principalmente dazi doganali e dazi agricoli, ma anche una percentuale del gettito IVA.