– di CAVALLARI FRANCO –
Le grandi diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza all’interno dei vari Paesi costituiscono, da almeno un paio di secoli, uno dei principali fattori di disgregazione sociale.
Il sospetto che esse avessero anche una valenza economica iniziò a maturare con il New Deal costruito negli USA da F.D. Roosevelt negli anni ‘30 del secolo scorso.
Uno dei processi più significativi del nuovo corso è stato, appunto, la “Grande Compressione” dei redditi, durata circa un ventennio, che, unitamente ad altri provvedimenti, concorse alla costruzione negli Stati Uniti di un’era di grande prosperità, così lunga e rigogliosa come gli USA non avevano mai conosciuto; un’esperienza, probabilmente irripetibile, durata più di trenta anni, che ha condotto gli USA ad essere la prima potenza economica del pianeta.
La consapevolezza degli economisti concernente la correlazione inversa tra possibilità di crescita e diseguaglianze sarebbe intervenuta successivamente, negli anni a cavallo con il 2000, sulla base della rigorosa analisi storicoeconomica dei Premi Nobel per l’economia J.E. Stiglitz e P. Krugman e delle ricerche di numerosi altri studiosi (A.B. Atkinson, T. Piketty, B. Milanovic ecc.).
Questo postulato, malgrado le obiezioni di alcuni cultori del libero mercato, ha introdotto nelle discipline economiche il principio secondo cui incisive politiche redistributive, inserite in contesti di grandi diseguaglianze, oltre ad allentare la tensione sociale, stimolano anche la ripresa economica.
I dati relativi all’esperienza storica degli ultimi 30 anni indicano che, se, da un lato, si è avuta una consistente diminuzione delle diseguaglianze a livello planetario, (in Asia due miliardi di persone sono uscite dalla povertà assoluta), dall’altro lato, le diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza all’interno dei singoli Paesi sono ovunque enormemente aumentate.
Nella graduatoria stilata dall’OECD riguardante l’evoluzione intervenuta tra il 1980 e il 2010 negli indici di concentrazione di Gini afferenti la distribuzione del reddito disponibile nei Paesi membri, l’Italia presenta un indice tra i più elevati tra i Paesi industrializzati (insieme agli USA (indice 37% nel 2010 e alla Gran Bretagna indice 35%) registrando un balzo dal 29% del 1990 al 35% in tutto il periodo tra il 1995 e il 2010.
Nella maggior parte degli altri Paesi economicamente avanzati, seppure in aumento, l’indice si evolve lungo una traiettoria più bassa (mediamente dal 26 al 30%), mentre nei Paesi scandinavi, in Austria e in Belgio esso aumenta nel periodo dal 22 al 25%. Per gli anni successivi al 2010, i dati elaborati a livello nazionale segnalano ulteriori aumenti quasi dappertutto.
Nel nostro Paese, la lunga recessione derivante dalla crisi del 2008 ha appesantito le preesistenti debolezze strutturali ed ha comportato anche un aggravamento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito. Tuttavia, se la stentata ripresa economica è, in gran parte, ascrivibile ad altre cause, non v’è dubbio che l’aumento della divaricazione nella distribuzione dei redditi sia stato a sua volta, oltre ad una conseguenza della crisi, anche una concausa non trascurabile delle difficoltà della crescita.
Nei prossimi anni, oltre all’azione destinata a stimolare gli altri fattori dello sviluppo, saranno indispensabili incisivi interventi del Governo, in stretto dialogo con le organizzazioni sindacali, volti a realizzare una sostanziale perequazione dei redditi. Questa linea di politica economica, rilanciando la domanda interna e stimolando gli investimenti, migliorerebbe il funzionamento del mercato e potrebbe fornire un contributo determinante allo scioglimento dei numerosi legacci facilitano il permanere della deflazione. Sul piano sociale, ne conseguirebbe un consistente ripristino della fiducia nel futuro e del senso di appartenenza al Paese da parte degli strati sociali più colpiti dalla lunghissima crisi.
Viviamo in un Paese economicamente avanzato in cui, similmente agli USA e alla Gran Bretagna, una parte minuscola della popolazione dispone di una quota sempre maggiore della ricchezza; una società in cui la ricchezza controlla la maggior parte del potere politico ed economico e in cui i cultori del libero mercato ostacolano qualunque tentativo di porre rimedio alle divaricazioni sociali derivanti dall’iniquità nella distribuzione del reddito.
E’ questa una delle cause fondamentali tra quelle che, unitamente al degrado delle periferie, hanno alimentato il populismo ed allontanato i cittadini dalla politica, con il rischio di far deflagrare definitivamente il collante sociale, ormai ridotto al lumicino.
Dal prossimo Governo il Paese si attende un rilancio della speranza, un nuovo orizzonte cui tendere. Non si tratta di eliminare completamente le diseguaglianze, quanto di ridurre le enormi differenze di reddito che separano il 2% più ricco della popolazione dal restante 98%; e non si tratta neanche di stabilire l’assoluta eguaglianza delle “opportunità di partenza”, quanto di migliorarne l’estensione, rimettendo in funzione “l’ascensore sociale”, nel nostro Paese bloccato da almeno un trentennio.