Il vero lato dell’economia: effetti “perversi” degli aggiustamenti dell’Irpef

-di FRANCO CAVALLARI-

Nei programmi elettorali di diverse forze politiche compare, in forme diverse, un alleggerimento delle imposte attraverso una modifica delle aliquote IRPEF, volta ad attenuare il gravame fiscale, sia sul ceto medio (la classe sociale che più ha subito un down-grading a causa della crisi), sia sui ceti meno abbienti.

Un ritocco dell’IRPEF era contenuto anche nel progetto di riforma fiscale avanzato nel 2010 dal NENS (l’Istituto di studi di P. L. Bersani M. D’Alema e V. Visco), che proponeva la riduzione di due aliquote: quella del 23% al 20% e quella del 38% al 36%. Un’analisi degli effetti di questa proposta dimostra quanto può essere ingannevole lo spostamento delle aliquote in un sistema di progressività per scaglioni.

L’ipotesi di riduzione del 23% al 20%, ancorché mirata ad alleggerire lo scaglione di reddito più basso, comporterebbe un alleggerimento fiscale (solo per una quota) anche per tutti i contribuenti con redditi superiori. Analogo sgravio “indesiderato” avverrebbe anche per la riduzione di aliquota dal 38 al 36% di cui beneficerebbero, per una quota, anche tutti i redditi superiori a 55.000 euro. E’ un effetto “perverso” insito nel meccanismo della progressività per scaglioni in cui il reddito di ciascun contribuente e tassato per “tranche”, a ciascuna delle quali si applica un’aliquota diversa. In conseguenza, anche i redditi più alti, tassati per una parte con l’aliquota più bassa, (23%) beneficerebbero, per questa parte, della riduzione.

Per quanto concerne le risorse in gioco, la riduzione dal 23 al 20% relativa allo scaglione più basso implicherebbe che ai circa 9 Milioni di contribuenti della classe di reddito più bassa (con redditi tra 7.500 e 15.000 euro) andrebbero benefici complessivi per soli 2,5 Mld di euro; mentre i restanti 22 Milioni di contribuenti con reddito superiore a 15.000 euro assorbirebbero complessivamente ben 4,8 Mld. Un effetto “perverso” analogo, ma di dimensioni minori (800 Milioni di euro), comporterebbe la riduzione dal 38 al 36% per i 5 Milioni di contribuenti appartenenti allo scaglione di redditi che va da 28.000 a 55.000 euro.

Dalle risultanze di questi calcoli risulta chiaramente che il metodo della progressività per scaglioni non si presta a ritocchi in diminuzione delle aliquote, specialmente per i redditi più bassi, perché trascina con se alleggerimenti tributari regressivi indesiderati, e una conseguente dispersione delle risorse in favore dei numerosissimi contribuenti appartenenti a tutti gli scaglioni di reddito superiori.

Quanto all’opportunità di mantenere un certo grado di progressività, non va dimenticato che l’IRPEF è l’unica imposta del sistema fiscale italiano che realizza il dettato dell’art. 53 della Costituzion,e e che il suo grado di progressività, dal 1973 ad oggi, è diminuito enormemente, passando dai 32 scaglioni iniziali, con aliquote dal 10 al 72% , ai 5 scaglioni attuali, cui si applicano aliquote dal 23 al 43%.

In ogni caso, l’eventuale riforma del prelievo fiscale sul reddito, dovrebbe partire dalla considerazione che la “progressività per scaglioni” non consente la manovrabilità al ribasso delle aliquote per i redditi più bassi. Al riguardo, sarebbe molto opportuno adottare una scala della progressività fondata sulle aliquote medie, la cosiddetta “progressività per classi”, in vigore in Germania e nel Canton Ticino, in base alla quale la progressività è espressa da una curva continua delle aliquote medie in cui a ciascun livello di reddito corrisponde un’aliquota media da applicare. L’adozione di questo metodo consentirebbe, all’occorrenza, di effettuare manovre al ribasso nella scala della progressività dei redditi più bassi, , senza dover subire onerose dispersioni di risorse.

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