-di MARIANNA SORONEVYCH-
La sindaca di Roma Virginia Raggi dopo il flop del Movimento 5 stelle alle elezioni amministrative, ha fatto la sua mossa pigiando uno dei tasti più sensibili per gli italiani: l’immigrazione. Siamo, molto probabilmente, nel campo delle “armi di distrazione di massa” ma ciò non toglie che la questione sia di grande rilevanza, complessa ma anche esposta a luoghi comuni e distorta propaganda.
La Raggi, forse anche per dirottare l’attenzione verso argomenti diversi dai deludenti risultati elettorali o anche per rilanciare l’immagine di una amministrazione in crisi di consensi come segnalano da tempo i sondaggi, ha espresso tramite la sua pagina Facebook la preoccupazione che sia esposta Roma “ad una eccessiva pressione migratoria”.
La sindaca ha inviato nei giorni scorsi una lettera al Prefetto della Capitale per chiedere al Ministero dell’Interno una moratoria sui nuovi arrivi di migranti in città non dichiarando tuttavia in modo chiaro su quali presupposti si basa la sua preoccupazione. Dare, allora, un’occhiata alle statistiche diventa opportuno.
Proprio in questi giorni l’Istat ha pubblicato il Bilancio Demografico Nazionale. Il Rapporto realizzato sulla base dei dati del 2016, mette sottolinea la diminuzione dei residenti peraltro già riscontrata l’anno precedente. Il saldo complessivo è negativo di 76.106 unità, determinato dalla flessione della popolazione italiana (-96.981 residenti) solo parzialmente compensata dall’aumento (20.875 unità) di quella straniera. I numeri confermano il progressivo invecchiamento della popolazione autoctona, composta sempre più da pensionati e sempre meno da forza lavoro attiva con prevedibili conseguenze negative tanto sull’economia quanto sul sistema previdenziale.
Il movimento migratorio con l’estero ha fatto registrare un saldo positivo di circa 144 mila unità, ma solo “in lieve aumento rispetto all’anno precedente”. L’Istituto Nazionale di Statistica ha confermato inoltre una crescita delle acquisizioni di cittadinanza: nel 2016 i nuovi italiani sono stati più di 200 mila, a conferma del fatto che numerosi migranti hanno imboccato la strada del radicamento territoriale.
Pur non avendo spiegato quali siano i flussi che la preoccupano maggiormente, la sindaca ha comunque affermato di considerare insostenibile e rischioso l’insediamento di nuove strutture di accoglienza. Secondo i dati ISTAT in Italia sono presenti stranieri di circa 200 nazionalità la metà dei quali provenienti da paesi europei (oltre 2,6 milioni). La nazionalità maggiormente rappresentata è quella rumena (23,2%) seguita da quella albanese (8,9%).
È inoltre in continua crescita il numero di domande di asilo: dalle 83mila del 2015 si è passati alle 123mila del 2016. Questi sono i principali dati forniti dal prefetto Angelo Trovato, presidente della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo, durante l’audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sui migranti. Alle domande di asilo del 2016, secondo il Consiglio nazionale dei rifugiati, a conclusione dell’iter, lo status di rifugiato è stato riconosciuto al 5% delle domande esaminate mentre al 14% è stata assegnata la protezione sussidiaria e al 21% quella umanitaria. Il 56% delle domande è stato respinto, cioè la stragrande maggioranza non ha trovato accoglienza. Il punto debole dell’iter è la velocità e l’efficienza delle strutture che esaminano le domande con inevitabili conseguenze sull’allungamento dei tempi di permanenza dei rifugiati nelle strutture. Il fatto è che l’uso politico della questione finisce per rappresentare una realtà distorta. L’Italia, come tutte le statistiche confermano, è considerato il paese d’arrivo solo da una porzione minoritaria degli immigrati. Nel 2016, come ha segnalato Eurostat hanno richiesto asilo in Europa oltre 714 mila persone, il doppio dell’anno precedente. La “colonia” più numerosa è stata accolta in Germania (445 mila). La Svezia, paese decisamente meno popoloso dell’Italia ne ha accolti 69 mila. Da noi si sono fermati in trentacinquemila: l’Austria, con una popolazione decisamente ridotta rispetto a quella italiana, ne ha accolti trentunomila.
Che la pressione alle frontiere (o sulle nostre coste) sia forte è un dato di fatto da tempo, ma sorprende l’improvvisa drammatizzazione del problema da parte della Raggi e di Grillo a meno che non la si voglia mettere in rapporto con il clima elettorale e l’alto valore aggiunto in termini di consensi che può derivare dall’uso “appropriato” dell’argomento. È apprezzabile l’intenzione di non fermarsi alle dichiarazioni ma cercare una soluzione politica organica non sembra essere stato sino ad oggi la priorità delle forze politiche, sia di quelle al governo che all’opposizione. La sindaca preannuncia la richiesta di un incontro con il responsabile del Viminale per intervenire sugli arrivi incontrollati.
La complessità del problema imporrebbe una visione strategica, una strategia di governo che va oltre i confini di una singola città o di un singolo Paese. È questa visione comune capace di costruire una soluzione coordinata che ha sino ad ora ha impedito di andare oltre la gestione (peraltro caotica) della sola emergenza. La sortita della sindaca Raggi (perfettamente in sintonia con quella di Grillo sui rom), al di là dell’efficacia propagandistica, si muove all’interno di logiche consuete, strumentali, ma non particolarmente utili ai fini dell’articolazione di una proposta realmente complessiva, del governo di un fenomeno che non può essere risolto con la chiusura delle frontiere perché sarebbe come provare a turare con un dito la falla di una diga.