In un libro lo sport e il diritto internazionale

Siamo portati a guardare allo sport solo nei suoi aspetti ludici e spesso dimentichiamo che, come tutte le cose della vita associativa, il fenomeno fa riferimento a delle regole che non sono solo quelle che bisogna rispettare su un campo di gioco (cosa peraltro che non sempre avviene considerate le straordinarie lezioni di slealtà spesso offerte dai “professionisti” in calzoncini), ma anche quelle contenute nei diversi codici che regolamentano la nostra esistenza. Poi semmai capita uno scandalo come quello del doping da noi vissuto soprattutto verso la fine degli anni Novanta e che guadagnò il centro del palcoscenico mediatico anche per merito di un’inchiesta del magistrato torinese, Guariniello, e a quel punto ci rendiamo conto che lo sport si esalta in una palla che rotola o nello sprint di un grande velocista, ma trova le sue radici nella legge. Lunedì prossimo, nel piazzale “Alza Bandiera” di Monte San Biagio (in provincia di Latina) sarà presentato un libro decisamente utile per la comprensione del fenomeno sportivo nei suoi aspetti giuridici. Peraltro, di grande attualità visto che solo lo scorso anno, con una scelta che ha sollevato grandi consensi e grandi dissenti, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha deciso di rinunciare all’organizzazione delle Olimpiadi e, contemporaneamente, di dar corso alla costruzione del nuovo stadio della Roma (e gli aspetti legali non sono certo estranei a quest’ultima scelta). Il libro scritto da Carlo Rombolà e diretto evidentemente a un pubblico universitario (editore Rubbettino) tratta un aspetto del complesso mondo giuridico che accompagna e regolamenta lo sport, cioè il versante internazionale. Significativo il titolo: “Profili di Diritto internazionale dello sport”. Chi leggerà il libro, si renderà conto della complessità della questione. Nel frattempo, come invito alla lettura, pubblichiamo con piacere alcuni stralci del primo capitolo del volume. In particolare quelli dedicati al Cio (istituzione non sempre al di sopra di ogni sospetto al pari di alcuni dei presidenti che storicamente lo hanno guidato) e all’organizzazione delle Olimpiadi.

-di CARLO ROMBOLA’-*

Il primo mattone sul quale si è pensato di costruire quest’opera sul diritto internazionale dello sport nasce inevitabilmente da una domanda dai tratti ontologici: si può accettare l’esistenza, secondo i tradizionali canoni del diritto internazionale, di un ordinamento sportivo transnazionale?

La risposta, come il lettore avrà arguito, è positiva (in caso contrario, non avrebbe senso continuare la nostra riflessione), ma il responso arriva più da una dottrina neanche troppo unanime che da un disposto di legge chiaro e univoco.

E’ noto, infatti, che per il diritto internazionale pubblico l’esistenza di un ordinamento che abbia i contorni dell’internazionalità presuppone un accordo fra Stati, che acconsentano espressamente a una limitazione della loro sovranità circa un determinato settore.

Tipico è il caso dell’Unione Europea – sui cui rapporti con il fenomeno sportivo torneremo a parlare infra – la quale, nonostante sia nata e cresciuta sulla base di valori condivisi, si trova ad affrontare periodicamente sempre nuove difficoltà dal punto di vista politico-normativo.

Con le dovute proporzioni, l’ordinamento sportivo internazionale rappresenta la riproduzione di un sistema analogo a quello dell’Unione Europea, ciascuno con i suoi organi e le sue norme, con i suoi centri di potere e i suoi regolamenti.

Ma la domanda rimane: chi ha autorizzato la creazione di un sistema giuridico sportivo extra-nazionale, e in virtù di quale trattato? Non esiste una risposta esauriente a un simile quesito, poiché l’ordinamento giuridico sportivo internazionale non nasce da un accordo fra Stati, ma si configura come un complesso di associazioni private, nazionali e transnazionali, che si organizzano e disciplinano autonomamente.

Prima, però, di giungere alla conclusione per la quale non sia, quindi, possibile accettare l’esistenza di un sistema autogestito di norme regolanti un determinato settore di interesse sovranazionale in assenza di un trattato internazionale, è opportuno fermarsi a riflettere sulla portata dei principi di diritto internazionale pubblico, che dal giorno del loro conio, alcuni secoli or sono, hanno subito dei mutamenti che potremmo definire fisiologici, propri di una realtà sociale che, di epoca in epoca, cambia, se non addirittura stravolge, i suoi valori portanti.

In un passato recente non sarebbe stato possibile conferire cittadinanza giuridica a quelle organizzazioni internazionali non governative create per gestire l’organizzazione e il funzionamento di un settore come quello sportivo, a spiccata rilevanza internazionale, soprattutto ai livelli più alti.

Per riconoscere, una volta e per sempre, siffatte organizzazioni come facenti parte del panorama giuridico internazionale, è stato necessario prendere coscienza del fatto che molti degli ambiti che, secondo l’interpretazione tradizionale, potevano trovare una compiuta regolamentazione solo ed esclusivamente in base ad accordi fra Stati, possono oggi trovare il proprio compendio anche e soprattutto all’interno di sistemi creati dall’autonomia privata, come nel caso dello sport.

Di certo c’è che la predetta riflessione riprende un dibattito dottrinale che nei testi di legge trova una conferma soltanto indiretta, laddove l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in qualità di articolazione di quello internazionale – che fa capo al Comitato internazionale olimpico (C.I.O.) – viene riconosciuto, e promosso, dalla Repubblica italiana.

La lettera della norma non è casuale, poiché, a ben vedere, è proprio con riferimento al Comitato internazionale olimpico che si possono trovare gli unici esempi di norme internazionali applicabili nel nostro paese, codificate secondo il classico sistema delle fonti.

Ancora, in molti ricorderanno le dichiarazioni rilasciate, nel dicembre del 2000, dal Consiglio Europeo di Nizza, che ha riconosciuto pubblicamente l’autonomia dell’ordinamento sportivo, a cui spetta il diritto di organizzarsi attraverso adeguate strutture associative, come le confederazioni internazionali.

Ad ogni modo, va detto che la realtà dell’ordinamento sportivo internazionale, a dispetto di qualsiasi disputa dottrinale, si rivela ancora oggi un sistema funzionante e funzionale agli interessi che si pone l’obiettivo di tutelare, dove – ed è questo l’elemento più importante – gli associati ne riconoscono gli statuti e i regolamenti, accettando sia le norme di diritto sostanziale che il sistema di giustizia.

In altre parole, laddove non è arrivato un atto internazionale che, con tutte le formalità procedurali, abbia riconosciuto ufficialmente un ordinamento transnazionale dello sport, è giunta la privata autonomia negoziale, capace di creare un sistema con la caratteristica dell’internazionalità, volto alla regolamentazione unica e globale delle attività sportive.

La storia ci insegna, in fondo, che, sin dai tempi della lex mercatoria, il primo passo verso la creazione di un ordinamento sovranazionale rispondente a rilevanti interessi dei singoli riconosciuto dagli Stati risiede nell’autoregolamentazione fra soggetti privati, che si consolida tramite il mutuo legame di fiducia fra i consociati, a sua volta animato dalla diuturnitas e dall’opinio, in questo caso forse più necessitatis che juris.

Sul punto, la migliore dottrina evidenzia come, in buona sostanza, la comunità internazionale finisca con il prendere atto di qualsiasi forma di aggregazione volontaria che, dopo aver raggiunto un sufficiente grado di stabilità, certezza e completezza di coinvolgimento degli interessati, viene considerata come costitutiva di un vero e proprio ordinamento.

È proprio questo il caso dell’ordinamento sportivo internazionale, formatosi dalla comunione d’intenti dei facenti parte, riunitisi in una struttura gerarchica formale ed autonoma, governata da norme di organizzazione e funzionamento comunemente accettate, nel mutuo convincimento che queste ultime vadano a tutelare nel modo migliore gli interessi in gioco, sia in campo nazionale che, soprattutto, internazionale.

Vediamo adesso come si compone, nello specifico, l’ordinamento sportivo internazionale, partendo dal Comitato internazionale olimpico, a cui fanno capo, nel contesto di una complessa struttura piramidale, le singole federazioni sportive.

L’attività del Movimento Olimpico, così come enunciato fra i principi fondamentali della Carta Olimpica, raggiunge il suo apice in occasione del raduno di atleti da tutto il mondo, per quella straordinaria rassegna sportiva che sono i Giochi Olimpici, il cui simbolo è costituito da cinque cerchi intrecciati fra loro, in rappresentanza dei cinque continenti uniti in pace e solidarietà.

Un evento di tale portata storica, sociale ed economica, non può che ricoprire un ruolo di assoluta rilevanza per il diritto internazionale, nonostante quest’ultimo, come si è avuto modo di vedere, non si sia occupato in maniera diretta (tranne rari casi) della sua regolamentazione.

L’importanza dell’evento olimpico nasce proprio dallo spirito con il quale le Nazioni si sono avvicinate ad esso, nel contesto di un più ampio disegno di collaborazione reciproca, che trascendeva (e trascende) il puro animo sportivo.

Per comprendere appieno la portata storica dei Giochi Olimpici, basti pensare al concetto di tregua olimpica, che durante le guerre veniva osservata con rigore al fine di consentire agli atleti (e al pubblico) di raggiungere i luoghi delle competizioni, lasciando che le stesse si svolgessero in un clima di provvisoria distensione.

Tale consuetudine è stata in varia misura disattesa nella storia dei Giochi Olimpici moderni, che possiedono una lunga storia di boicottaggi di matrice politica, ma si segnala che nel 2000 il C.I.O. Ha istituito la Fondazione internazionale per la tregua olimpica, con lo scopo di promuovere la stessa in occasione di tutte le edizioni dei giochi.

Data la consistenza planetaria dell’evento olimpico, è agevole comprendere la responsabilità in capo al C.I.O., il cui ruolo principale si esprime proprio in relazione all’organizzazione dei Giochi, così come minuziosamente descritto all’interno del quinto capitolo della Carta Olimpica.

I lavori sono soliti iniziare con largo anticipo rispetto all’anno di edizione (di regola sette anni prima), e riguardano, in primo luogo, la scelta della città ospite, che, per tramite del Comitato nazionale olimpico competente, sottopone al C.I.O. la propria candidatura.

Nella fase successiva, il Comitato esecutivo seleziona le città dotate dei requisiti per rientrare nel novero delle candidate ufficiali, le quali dovranno presentare un articolato dossier di presentazione, che dovrà essere vagliato, anche attraverso sopralluoghi all’interno degli impianti, da un’apposita commissione di valutazione istituita dal C.I.O., che effettuerà poi la sua scelta in sessione plenaria.

In questa fase, un ruolo non secondario è rivestito dai governi, che, come prevedere la regola 33, affinché la candidatura venga presa in considerazione, devono impegnarsi al rispetto delle regole contenute nella Carta Olimpica, con una dichiarazione giuridicamente qualificabile come atto unilaterale di impegno da parte dello Stato aspirante.

loro paese di origine, al termine della gara viene suonato l’inno nazionale del vincitore, a cui spetta la medaglia d’oro, e, contestualmente, vengono issate le bandiere dei primi tre classificati.

Ancora, si consideri che la regola 57 vieta espressamente tanto al C.I.O. quanto al Comitato organizzatore di stilare una graduatoria complessiva per Stati, il cosiddetto medagliere. Tale ultima prescrizione è puntualmente disattesa ma, in questo caso, non ci sentiamo di dare la colpa agli organizzatori dei Giochi, quanto piuttosto agli organi di informazione, che per (legittime) esigenze divulgative, sono soliti stilare una piccola classifica che riassume il numero e il valore dei riconoscimenti sportivi (i.e. delle medaglie) ottenuti da ciascuno Stato.

La conclusione dei Giochi Olimpici viene officiata dal Presidente del C.I.O. e da quello del Comitato organizzatore, che passano ufficialmente il testimone ai rappresentanti dalla città della successiva edizione.

Il lavoro degli organizzatori non termina, tuttavia, con la chiusura ufficiale dei Giochi, sia perché poche settimane dopo la loro conclusione si tengono, nella stessa città, i Giochi Paralimpici, e sia perché il Comitato organizzatore ha il dovere di redigere un rapporto finale della manifestazione, da trasmettere al C.I.O., in cui viene analizzato l’andamento dell’esperienza olimpica, sia da un punto di vista sportivo, che organizzativo e finanziario.

* Stralci dal primo capitolo del libro di Carlo Rombolà: “Profili di diritto internazionale dello sport”, prefazione di Marco Iaria, con il contributo di Marco Ferrante, Antonino Quattrone, Marco Vigna; Rubbettino, 2017, pagg. 231, euro 16,00

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