2 giugno vs 4 dicembre: vinti e vincitori

-di FEDERICO MARCANGELI-

2 Giugno, la “Festa della Repubblica”. 12’717’923 cittadini hanno votato per abolire la monarchia ed i titoli nobiliari, rendendo ogni cittadino uguale alla nascita. L’articolo 3 della nostra costituzione recita (non a caso): “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questa ultima frase segna una netta distinzione con l’Italia monarchica, in cui già la nascita poteva creare una distinzione tra la popolazione. In questo senso il referendum del 2 Giugno ha rappresentato una vittoria. Ne sono usciti vincitori i cittadini italiani e la Repubblica che, per quanto imperfetta, ha posto le basi per una maggiore eguaglianza sociale. In quel caso il popolo ha scelto ed ha vinto. Il quesito era tanto semplice quanto chiaro:”Referendum sulla forma istituzionale dello Stato: Repubblica o Monarchia”. Anche graficamente si aiutava a comprendere la richiesta, rappresentando due penisole con i diversi stemmi (Repubblicano o Monarchico). Quella del due Giugno è stata la consultazione popolare per antonomasia. Una domanda diretta e non articolata, che non potesse trarre in inganno il votante. La maturità politica dell’epoca era probabilmente maggiore di oggi. Se non altro ci si rese conto dell’importanza dell’evento ed anche i partiti più conservatori (come la DC) espressero il loro favore per la forma di governo più adatta all’epoca, lasciando ampia libertà di voto ai propri iscritti. Il parallelismo che viene spontaneo è quello con il referendum del 4 Dicembre, che ha richiamato in causa gli elettori per decidere le sorti dello stato. La prima differenza sostanziale riguarda il diverso atteggiamento delle forze in gioco.

Nonostante l’importanza della consultazione (stiamo pur sempre parlando di una riforma costituzionale), i partiti hanno dato sfoggio del peggio di se. La modifica della carta fondamentale del nostro paese si è trasformata in una corrida. Pre e Post consultazioni sono state poche le mosche bianche a discutere nel merito della riforma (anche se ci sarebbe stato molto da discutere), limitando tutta l’analisi politica ai soliti slogan “urlati”. Il risultato è stato abbastanza sterile dal punto di vista del contenuto: “Si” con Renzi, “No” contro Renzi. Visto questo scenario preliminare, è chiaro chi sia uscito sconfitto dalle urne, come era chiara la frangia perdente del 1946.

Quel che cambia è il vincitore: la Repubblica il 2 Giugno, nessuno il 4 Dicembre. Si perché, tirando le somme, non si può dare a nessuno la medaglia d’oro. Non uno schieramento ha proposto un’alternativa per risolvere le criticità ancora presenti in costituzione ed il dire semplicemente “No” non è da considerarsi una posizione vincente. Rimangono i problemi ad esempio del Titolo V e della macchinosità del nostro sistema parlamentare, risolvibili solo con un dibattito serio. Si è persa l’occasione per elaborare delle proposte concrete e strutturate, che potessero essere un’alternativa reale alla discutibile proposta renziana. Si può però dire che ne sono usciti rafforzati (non vincitori) i partiti populisti, che fanno della democrazia diretta un loro cavallo di battaglia. Uno scarico di responsabilità verso il “cittadino totale” che deve poter votare su tutto. Questo sembra piacere al loro elettorato, eccitato dall’aver mandato a casa Renzi. Un fervore pericoloso, che potrebbe spingere ad un uso smodato dello strumento referendario, allo scopo di racimolare qualche consenso in più. Bobbio nei primi anni ‘80 aveva già messo in guardia rispetto a questa possibilità, sottolineando quanto il referendum sia un “espediente straordinario per circostanze straordinarie”. Un suo abuso potrebbe portare ad effetti molto gravi perché “nulla rischia di uccidere la democrazia più che un eccesso di democrazia”. Pensare di poter risolvere tutte le decisioni politiche “chiedendo alla gente” non è una soluzione ne praticabile ne efficace. “L’individuo rousseiano chiamato a partecipare dalla mattina alla sera per esercitare i suoi doveri di cittadino sarebbe non l’uomo totale ma il cittadino totale. E il cittadino totale non è a ben guardare che l’altra faccia non meno minacciosa dello stato totale”. Questa non vuole essere una critica allo strumento referendario in sé, ma al rischio di abuso che si prospetta ed alla “leggerezza” con cui è stato affrontato negli ultimi anni.

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