Etnie, colore, e disponibilità al lavoro: quando i pregiudizi trovano conferma

-di DONATELLA LUCENTE-

Anche se del tutto politicamente scorretta, una ricerca con alte pretese di scientificità conclude che, almeno negli Stati Uniti, il maschio espresso dalla comunità afroamericana e dalle minoranze etniche tende a lavorare meno dei pari bianchi americani. Almeno tanto si deduce dallo studio appena pubblicato da tre studiosi americani, Daniel Hamermesh, Michael Burda e Katie Genadek, associati a IZA, Istituto di Studi del Lavoro di Bonn.

Partendo dalla banca dati di American Time Use Survey, derivata da United States Census Bureau, sono stati presi in considerazione cinque gruppi etnici per scoprire chi lavora di più e chi di meno.

Come evidenzia la figura 1, tra i cinque gruppi analizzati, l’attaccamento al “dovere lavorativo” è maggiore tra i maschi americani bianchi (tempo sottratto al lavoro produttivo, 0,0645%). Seguono i maschi di origine asiatica (0,0679%), i neri (0,0793%), gli ispanici “non neri” (0,0848%). Gli “altri” sono a 0,0701%.

Figura 1 – Tempo sottratto al lavoro produttivo

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Lo studio evidenzia che la situazione è più o meno identica tra le donne appartenenti agli stessi gruppi.

Non sono state identificate significative differenze tra iscritti o non ai sindacati, tra dipendenti pubblici e privati, tra gruppi d’età, tipo e settori d’impiego, né rispetto alla distribuzione geografica del personale e delle maestranze esaminate.

Gli autori, che non hanno nessuna intenzione di essere catalogati tra chi soffre di daltonismo sociale o razzista, precisano di aver seguito il metodo scientifico, di aver evitato risposte dubbie, di aver scartato i questionari che rigonfiavano singoli campioni d’inchiesta, etc etc.

Rilevano anche di aver tenuto conto di situazioni tipiche di stress che alterano la disponibilità al lavoro, come status matrimoniale, numero di figli in casa, scolarizzazione e altro ancora. Il campione originale contava oltre 135mila rispondenti; i ricercatori hanno accreditato alla fine solo 35.548 persone. Lo studio chiarisce anche che è stato escluso dal computo il lavoro svolto di sabato o di domenica, e quello degli autonomi.

Occorre ammettere che, per testimoniare la buona fede dei ricercatori, manca solo la dichiarazione notarile sul fatto che … i tre avrebbero fatto volentieri a meno di ottenere il risultato che pubblicano.

Nella ricerca, gli studiosi, calcolano che le minoranze etniche “non-lavorano” quotidianamente per l’1,1% in più rispetto all’americano bianco, il che, spalmato su un anno lavorativo di 250 giorni, fa 22 ore di “non lavoro a posto di lavoro”, ovvero quasi tre giornate lavorative perse l’anno.

Padronissimi tutti, come sempre peraltro, di prendere con le molle i risultati dello studio, anche se la metodologia utilizzata sembra ineccepibile.

Ma alla fine, che male c’è se si rileva che una cultura abbia l’atteggiamento diverso rispetto ai carichi di lavoro? La ricerca, purtroppo, non dice cosa venga fatto in quelle 22 ore di “non lavoro” imputato alle minoranze non bianche. Se ad esempio esse fossero spese in attività di socializzazione, in solidarietà umana, in “colleganza” e cementificazione del “gruppo” di lavoro, ciò avrebbe ripercussioni positive sulla produttività del loro impiego e sulla produttività complessiva. Si può accettare il risultato dell’inchiesta, sollecitando approfondimenti utili.

Al tempo stesso vi sono due principi sacrosanti di cui tenere conto: 1)pari il salario, pari il carico di lavoro che lo fa meritare, 2)il lavoro che un lavoratore scansa viene caricato su un altro lavoratore, il che suona piuttosto ingiusto.

Credits:

James Hansen, Nota Diplomatica

IZA, Institute of Labor Economics, Bonn

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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