La nascita dei “Fasci” e le analogie col presente

 

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di FEDERICO MARCANGELI

Il 23 marzo è una data che per molti può dire poco, ma che in realtà ha segnato in modo importante la storia italiana. Infatti, proprio quel giorno, nel 1919 Benito Mussolini fondò i Fasci italiani di Combattimento. Il movimento fu il precursore di quello che nel 1921 è diventato il Partito Nazionale Fascista.

Il quadro storico in cui si inserisce questo evento è alquanto drammatico. Il biennio rosso ‘19-’20 fu un momento di grandi tensioni sociali, derivanti dalla crisi in cui l’italia post-bellica versava. Si pensi che solo nel 1919 furono proclamati circa 1800 scioperi con 1.500.000 di partecipanti. Il clima che si respirava era molto pesante e le numerose agitazioni che ne derivarono fecero accrescere la tensione in un paese abituato dalla monarchia e dai governi precedenti a considerare le battaglie dei lavoratori un semplice problema di ordine pubblico da risolvere a schioppettate. La nascita del Partito socialista e dei sindacati aveva dato a operai e contadini la consapevolezza del proprio ruolo sociale da cui derivava la conquista di quello politico attraverso la legge elettorale proporzionale a suffragio universale (maschile) che nel segnare la nascita dei grandi partiti di massa, consegnò proprio alle forze politiche di sinistra il maggior numero di deputati. Cosa che, evidentemente, allarmò i grandi proprietari terrieri (gli agrari) e i settori più retrivi dell’imprenditoria industriale che aveva fatto ottimi affari con la guerra, col governo e con la Corona. Il tutto reso più complicato dal ritorno dei combattenti che reclamavano un “risarcimento” per le sofferenze patite nelle trincee della prima guerra mondiale.

In questo scenario di grande fragilità socio-politica si inserirono i fasci che, come le forze populiste attuali, cavalcarono il malessere e la disperazione per accaparrare consensi. Il loro scopo fu subito quello di raccogliere i favori dei reduci, scontenti dalla polemica anti-bellica socialista (quantomai sensata visto il disastro economico correlato). Le azioni del movimento avrebbero dovuto fin da subito far presagire un futuro nefasto, ma così non fu. Già nel ‘19 parteciparono all’assalto dell’Avanti!, trovando così i favori dei nazionalisti e degli ex-combattenti.

Proprio sfruttando l’anti-socialismo riuscirono in 2 anni a raggiungere la quota di circa 312.000 iscritti, subito prima della trasformazione in partito nazionale fascista. Il manifesto dei Sansepolcristi (dal nome della piazza di Milano in cui tutto ebbe inizio) arrivò nell’agosto dello stesso anno e conteneva molti punti “copiati” da altre forze politiche (anche dai tanto avversati socialisti: del resto lo stesso Mussolini tente in occasione dell’occupazione delle fabbriche una posizione ambigua, dando l’impressione di abbracciare le posizioni della CGdL).

Emerge fin da subito una scarsa identità ideologica, che punta più allo slogan che a reali tentativi di riforma. Frasi “spot” del tipo: La rapida e completa sistemazione dei ferrovieri e di tutte le industrie dei trasporti. In questo aspetto i fasci di combattimento ricordano molto una parte della politica attuale, che poggia tutto il suo consenso su proposte “shock” pregne di demagogia. Pochi furono infatti i punti che andarono in porto durante il regime.

Un altro aspetto alquanto curioso del movimento mussoliniano fu quello di porsi come terzo polo della scena politica italiana. Una sorta di alternativa rivoluzionaria alla destra ed alla sinistra dell’epoca, concetto ripreso anche oggi da molte forze populiste sparse per il mondo (anche italiane: il Movimento 5 stelle dice di non essere né di destra né di sinistra considerando i termini superati).

Il breve quadro appena tracciato fa risaltare la ciclicità di alcune pratiche politiche. Con i necessari distinguo legati al periodo storico, occorre quindi ricordarsi dei danni che possono provocare i movimenti che fanno uso e, soprattutto, abuso di demagogia.

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