-di MAGDA LEKIASHVILI-
In assenza di risposte soddisfacenti sull’omicidio del politico dell’opposizione Boris Nemtsov, avvenuto due anni fa, si stanno sviluppando teorie di complotto. Nella tarda serata del 27 febbraio 2015, Nemtsov stava camminando verso casa, non lontano dal Cremlino. All’improvviso partirono quattro colpi d’arma da fuoco da un’automobile. Subito dopo l’omicidio il capo della principale agenzia di sicurezza del paese, la FSB (di cui anche Putin è stato una volta il direttore) si presenta davanti al presidente della Federazione Russa con i nomi degli assassini. Secondo la versione ufficiale, già tre giorni dopo l’attentato erano state arrestate cinque persone, etnicamente Ceceni con collegamenti apparenti a Ramzan Kadyrov. Gli investigatori del governo russo sospettavano di Zaur Dadaev, l’ex vice comandante della Sever (Nord), un ceceno delle forze speciali che si trova sotto l’autorità informale di Kadyrov. Nell’ottobre del 2010 è stato decorato con una medaglia al merito da parte del presidente Putin. Dadaev è stato l’unico tra i fermati ad aver confessato l’omicidio. Gli altri sospettati, all’inizio hanno riconosciuto la loro colpevolezza, ma poi hanno negato qualsiasi coinvolgimento, dicendo che erano stati minacciati e sottoposti a violenze. Molti degli alleati di Nemtsov sono sicuri che Dadaev abbia confessato sotto tortura. Secondo loro, un ipotesi del genere è rafforzata dall’osservazione delle numerose ferite sul corpo del sospettato. Il loro timore era che Dadaev fosse solo un esecutore dell’ordine, messo dietro le sbarre mentre il mandante continuava a godere della sua piena libertà.
Nemtsov aveva 55 anni ed era un leader del movimento di opposizione “Solidarnost” con l’ex campione di scacchi Garry Kasparov. Nei giorni precedenti alla sua morte, stava lavorando a un’inchiesta sulla presenza di soldati dell’esercito russo tra le file dei separatisti filorussi nell’est dell’Ucraina. Poco settimane prima aveva anche dichiarato pubblicamente di temere per la propria vita.
La morte di Nemtsov non è il primo caso pieno di punti interrogativi. Non è stato trovato ancora il mandante per l’omicidio di Anna Politkovskaja, avvenuto undici anni fa. Anche la giornalista investigativa russa stava tornando a casa, quando il 7 ottobre del 2006 fu ammazzata da un killer nell’ascensore del suo palazzo. Stava investigando sugli orrori della guerra in Cecenia. Avevano già provato ad eliminarla nel 2004 avvelenandola mentre era in volo verso Beslan, per raccogliere informazioni su un attacco terroristico alla scuola N 1. La scomparsa di Politkovskaja è sicuramente collegata al suo lavoro e al tentativo di portare alla luce le politiche russe nei confronti della Cecenia. Il Financial Times scrisse: “In senso ampio, il signor Putin ha la responsabilità di aver creato, attraverso l’attacco del Cremlino ai media indipendenti, un’atmosfera in cui possono aver luogo omicidi di questo tipo”.
Le strade che portano verso il Cremlino sono piene di accuse. Una settimana fa è morto l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite Vitaly Churkin a causa di un attacco cardiaco. Anche se Churkin è stato un “estremista” di Putin all’Onu, c’è chi non crede a strane coincidenze. Ultimamente sono scomparsi in tanti dalla squadra del Presidente, tra i quali uno può essere proprio il diplomatico Vitaly. Una giornalista ucraina, Svitlana Kyzmenko, ritiene che quando il presidente Putin non ha più bisogno di un suo ufficiale, proprio da quel momento iniziano per quest’ultimo problemi di salute (lo ha scritto in un articolo intitolato “Putin si prepara per l’Aja” pubblicato su TCH). Churkin sapeva tanto sull’annessione della Crimea, l’occupazione di Donbass, sui combattenti russi in Siria e di tutto quello che poteva interessare ai tribunali penali internazionali.
Il 27 dicembre 2015, di “arresto cardiaco”, è morto pure il generale Alexander Shushukin, che ha guidato l’annessione della Crimea.
Il 4 gennaio del 2016 è scomparso improvvisamente il capo del GRU, il Colonnello Generale Igor Sergun, ufficialmente – a causa di insufficienza cardiaca. Anche lui fu uno dei partecipanti alla operazione per l’occupazione della Crimea, per la quale successivamente è stato incluso nella lista delle sanzioni degli Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Ucraina.
Il 27 settembre 2016 è morto l’ex capo del dipartimento FSB per il Territorio di Krasnodar della Federazione Russa Alexey Shishkov, sempre per la stessa diagnosi.
Troppe coincidenze? Decidete voi…