Il massacro del lavoro tra voucher e “falsi” apprendisti

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-di ANTONIO MAGLIE-

Il lavoro vilipeso e massacrato. Ieri Dario Di Vico ha pubblicato sul “Corriere della sera” un interessante articolo. Riguardava la moltiplicazione dei contratti di apprendistato. Su un altro quotidiano un autorevole editorialista con antica formazione di sinistra (comunista, per la precisione) evidentemente in polemica con la Cgil che ha voluto sul tema un referendum, ha voluto spiegare come nel dibattito politico non si guarda la luna ma il dito che la indica poiché in fondo la questione dei voucher riguarda appena il due per cento dei salariati.

La realtà è che in Italia il lavoro conta meno di un oggetto, di un paio di scarpe firmate, di una cena al ristorante, semmai uno di quelli condotti dai vari Masterchef. Fanno notizia i dati della Cgia di Mestre su chi si ammala nella pubblica amministrazione in rapporto a chi si ammala nel privato, si punta il dito contro gli over cinquanta che non agevolano l’ingresso dei giovani al lavoro andando in pensione (anche perché nel frattempo in una sola sera la Fornero ha allungato di cinque anni l’età pensionabile e gli effetti più letali si avvertono adesso), ma si sorvola su i quarantacinquenni (e oltre) che, come segnala Di Vico, si “scoprono” apprendisti a quattrocento euro al mese pur di rientrare in un mondo che li vuole semplicemente usare come kleenex (usa e getta).

I dati illustrati nell’articolo dicono che attualmente i contratti di apprendistato sono 143 mila e hanno fatto segnare nel giro di pochi anni una vera esplosione (nel 2012 erano 63 mila). Ma l’aspetto più curioso riguarda l’età degli assunti da “formare”: il 44 per cento ha un’età tra i 25 e i 34 anni; quelli al di sotto dei ventiquattro sono il 41,2 per cento, ma, soprattutto, rappresentano il 14,4 gli over 45. È evidente che siamo nel campo dell’uso improprio (pietoso eufemismo) dello strumento che era nato (ed era stato “spinto” dall’indimenticabile governo di Mario Monti ed Elsa Fornero) per avvicinare i giovanissimi al mercato del lavoro. Anche attraverso i finanziamenti di “garanzia giovani”, lo strumento è diventato solo un artificio per evitare il ricorso a tipologie contrattuali che obbligano salari più alti. La conseguenza è che abbiamo attempate signore alle casse dei supermercati assunte come apprendiste e sui ponteggi “muratori tirocinanti” (ai quali si aggiungono quelli pagati con i voucher).

È evidente che il problema del lavoro, della sua percezione, del suo rispetto (morale, prima di tutto, sociale ed economico) e della sua valorizzazione va un po’ oltre la superficiale valutazione di quel due per cento che l’autorevole editorialista ha voluto utilizzare per raccontarci l’attuale realtà del dibattito politico che, peraltro, dal tema si tiene alla larga. Anche perché che se ai voucher aggiungiamo gli apprendisti “fasulli” e le altre forme di sfruttamento dell’attività lavorativa (siamo un popolo particolarmente fantasioso e creativo) a prezzi di saldo, giungiamo alla conclusione che quella in cui viviamo si è ormai trasformata nella società dell’inciviltà del lavoro.

antoniomaglie

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