Il candidato premier del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, lancia un appello a parlamentari, sindaci, consiglieri comunali e regionali del partito: mandate al diavolo chi solleva dubbi su Roma e la Raggi perché “vogliono colpire il nostro entusiasmo e la nostra voglia di fare, ma non possiamo permetterglielo. Lo fanno perché siamo gli unici che possono ambire al 40%”. A parte il fatto che al momento tutti i sondaggi dicono che quella soglia elettorale in Italia non può essere raggiunta da nessuno, il candidato premier invece di chiamare a raccolta i militanti, si ponga qualche domanda sulle condizioni della Capitale dopo 8 (sottolineiamo, 8) mesi dal verdetto elettorale che ha portato Virginia Raggi in Campidoglio. La città già allora in pieno degrado, adesso nel degrado affonda completamente, assecondata in questo affondamento dall’immobilismo della sindaca e dalla inadeguatezza di una giunta che non riesce a turare nemmeno un paio di buche stradali. Di Maio è libero di lanciare tutti gli appelli che vuole, ma provveda a lanciarne uno anche alla sua compagna di partito nonché sindaca di Roma: nei contratti di lavoro (materia ben nota a Beppe Grillo, a Casaleggio e agli eletti romani del M5s) il patto di prova non può andare oltre i sei mesi; lei ne ha avuti a disposizione già otto; è giunto il tempo di dimostrare alla cittadinanza romana di essere quel “fenomeno” illustrato nel corso della campagna elettorale sui media stranieri con un’abile campagna di marketing. Perché un dato nella capitale è evidente e sotto gli occhi di tutti: al momento il Movimento 5 stelle all’ombra del Colosseo ha solo dato prova di tanta voglia di “NON fare” o, peggio ancora, di “incapacità di fare”.