La ripresa tra catastrofisti e referendum

ireland-financial-times-front-page-752x501

-di SANDRO ROAZZI-

Si avvicina il referendum ed il rumore della grande stampa internazionale si fa sempre più assordante. Si distingue, non è la prima volta, il Financial Times che esorcizza la eventuale affermazione del No con previsioni che sanno di catastrofismo e che vedrebbero l’Italia in ginocchio e destinata ad uscire dall’euro. Più guardingo ma sempre piuttosto pessimista il New York Times che punta il dito sulle nostre banche mentre WSJ aggiunge che il No oltre a ripercuotersi sulla fragilità del nostro sistema bancario renderebbe l’euro più debole, fatto che visti i chiari di luna potrebbe non essere una maledizione specie per il nostro export che fatica a sostenere come potrebbe il Pil per le turbolenze del commercio internazionale.

Ancora una volta i moniti sembrano rivolti ai mercati, mai così esposti alla volatilità ma che, Brexit insegna, i loro conti li fanno prima di eventi in grado di provocare cambiamenti nella finanza e nell’economia.

Meno efficaci, da sempre, queste suggestioni lo sono nei confronti degli elettori che di solito non memorizzano più di tanto questi polveroni, invece assai graditi dal Palazzo. Certo è che a farne le spese, con effetti che vanno ben oltre il 4 dicembre data del Referendum, l’immagine del nostro Paese di cui vengono ingigantite le fragilità ed i punti deboli, facendo così un cattivo servizio agli sforzi di risollevare il nostro assetto economico. Ma questa è la realtà con cui fare i conti, si picchia sull’oggi senza curarsi più di tanto del domani.

Ed invece il domani conta, eccome, come si desume dalle previsioni dell’Istat. Secondo il nostro Istituto di statistica quest’anno il Pil chiuderà con uno 0,8%, previsto anche dal Governo, mentre l’anno prossimo il passettino in avanti è conforme alla logica dei… decimali con un +0,9%. Un biennio dal passo lento e, per giunta, che vede protagonista la domanda interna tanto penalizzata dai duri anni della recessione e assai sottovalutata dalla ricette economiche che andavano per la maggiore. A questo proposito sarebbe ancor più auspicabile che i grandi contratti di lavoro ancora aperti si concludessero positivamente prolungando questa tendenza positiva sia pur modesta e che vede la propensione al consumo degli italiani reggere sia pure in mancanza di prospettive chiare per il futuro.

Anche perché l’occupazione, secondo le stime Istat, nel 2016 si attesterà ad un +0,9% mentre l’anno prossimo dovrebbe scivolare ad un +0,8% che segnala come dopo il ricorso agli incentivi non sarà facile per il sistema economico autoalimentarsi fino a generare nuova occupazione come è nell’interesse generale. In effetti una mano potrebbe venire dalla crescita degli investimenti, calcolata in un 2% quest’anno e in un 2,7% l’anno che verrà, ma che come si vede da questi numeri non fanno sperare in una vera e propria svolta visto che l’aumento non raggiungerebbe neanche un punto percentuale. Di conseguenza la disoccupazione viaggerà sia quest’anno che nel 2017 sulle due cifre e sopra l’11%, con prevedibili conseguenze non esaltanti soprattutto per i giovani. Ecco perché la considerazione che mette in guardia dai rischi di un Paese “fermo” dopo il Referendum nel caso prevalesse il No non fa i conti, almeno per intero, con questa incapacità della nostra economia a ritrovare un passo più rapido e stabile per allontanarsi, dopo la fine della recessione, anche dal pericolo di viaggiare di conserva ai limiti della stagnazione.

In questo caso il referendum, importante sul piano politico, pare non poter rivestire un ruolo decisivo. Servono strategie economiche che guardino davvero avanti e siano in grado di cementare coesione, serve rianimare una speranza sul domani fin troppo fiaccata dalle incertezze che hanno costellato gli ultimi anni, serve accelerare politiche economiche in grado di valorizzare tutte le potenzialità e la vitalità del nostro sistema economico e sociale non nel medio periodo ma già da domani. Qualcuno ha detto che il 5 dicembre, a Referendum concluso, il sole sorgerà ancora. E così sarà pure il 6 e via discorrendo. Intanto però nessuno si è premurato di pensare a misure che invogliassero i consumi natalizi a crescere, come è auspicabile, diventando un buon viatico anche per la nostra economia alla vigilia di un 2017 che, al di là di tutti i calcoli, si presenta come una scommessa difficile da affrontare.

antoniomaglie

Rispondi