È venuto a mancare stanotte, all’età di ottantadue anni, un grande compagno di avventure politiche e sindacali, un amico vero e un brillante collaboratore del nostro Blog.
Ci mancherà Silvano Miniati, con quella sua schiettezza toscana, quella rudezza un po’ contadina, quella passione incontaminata che ha caratterizzato la sua vita. La battuta pronta e un bagaglio ricco di ideali, costruito con pazienza nel Psi, nel sindacato (prima la Cgil e poi la Uil dove per molti anni è stato il segretario generale dei pensionati, prima ancora organizzando per la confederazione grandi battaglie come quella, a metà degli anni Ottanta, contro l’evasione fiscale), in quella che un tempo veniva chiamata sinistra extra-parlamentare o ultra-parlamentare. Ha attraversato la vita politica di questo Paese partecipando a eventi storici che hanno inciso sulle sorti dell’Italia (la scissione del Psi che portò alla nascita del Psiup nel 1963 ma anche le grandi battaglie del’Autunno Caldo; la creazione di nuovi partiti come il Pdup o Democrazia proletaria). Ha vissuto molte vite in una vita sola, senza mai ammainare bandiera, con l’entusiasmo dei ragazzi e la lucidità di analisi degli adulti. Ha ricoperto molti incarichi (consigliere del Cnel e ultimamente vice-presidente della Fondazione Buozzi) eppure le mail che accompagnavano i suoi pezzi per questo Blog erano precedute da poche parole: “Vedi un po’ se può essere utile”. Avrebbe voluto mandarne uno anche qualche giorno fa: sull’invasione dell’Ungheria, sui mal di pancia che quella vicenda suscitò nel Psi, sulle fratture che creò e che portarono a quella scissione a cui lui aveva partecipato in veste di promotore. Ma non stava bene. Ci mancherà quell’articolo perché avrebbe probabilmente illuminato realtà che a molti di noi sfuggono. Ma ci mancherà soprattutto lui con quella sua battuta che rivolgeva normalmente a chi ancora oggi, a distanza di anni, continua a dichiararsi lombardiano: “Ma quando ci si dimette dalla corrente lombardiana?” Lui non si è mai dimesso dalla politica, dalla passione intesa come partecipazione e non come occupazione di una poltrona o un territorio; come necessità di essere in movimento e dentro un movimento; senza arroganza o chiusure ma nella consapevolezza di essere comunque da una parte e che da quella parte non si può e non si deva mai fuggire, perché nella vita si possono raccontare bugie ma non si può mai raccontare di essere stati incoerenti, cioè di essersi raccontati delle bugie. L’ultimo libro per la Fondazione Buozzi (“Una ragione c’è. Ricordarsi di quando gli anziani erano considerati una risorsa”) è il suo piccolo testamento, la testimonianza di quella sua irriducibile vicinanza alle battaglie di una vita. Grazie e Ciao.