-di PIETRO NENNI-*
Compagne e compagni socialisti di tutta Italia! Compagni lavoratori e cittadini d’Italia!
Il raduno oggi nella capitale delle bandiere socialiste per ricordare e festeggiare il settantesimo anno della fondazione del PSI avviene in condizioni quant’altre mai esaltanti. Esaltante il disimpegno delle nostre bandiere. Esaltante il senso di continuità, di forza e di serenità che esso esprime. Esaltante il compito che il Partito assume in questo momento nella vita pubblica nazionale.
LA FIDUCIA DEL PARTITO
IN SE MEDESIMO
È PIÙ SALDA CHE MAI
Anzi, se io mi volto a considerare le manifestazioni decennali del Partito alle quali ho partecipato dalle posizioni di responsabilità cui l’affetto dei compagni mi ha mantenuto in quarant’anni in qua, mi pare di poter dire che la fiducia del Partito nel divenire incessante del Socialismo è più salda che mai. Nel 1922 il trentesimo anniversario della fondazione ci sorprese all’indomani dell’ultimo grande sciopero per il ripristino della legalità, mentre si abbatteva sulle pubbliche libertà e sui lavoratori il flagello del fascismo e mentre le scissioni parevano mettere in discussione la sopravvivenza stessa del Partito. Il quarantesimo colse il Partito nel 1942 con l’anno che fu per i militanti della mia generazione e per quella successiva, il più tragico e il più disperato, con tre quarti dell’Europa occupata dai nazi-fascisti, con la guerra portata da Hitler nel cuore dell’unione Sovietica e l’intervento americano che pareva organizzarsi in ritardo sulla marcia degli avvenimenti. Eppure già nel più oscuro della notte si poteva intravedere la luce della rinascita che l’anno di poi, dopo la sconfitta africana del fascismo e lo sbarco Anglo-Americano in Sicilia, prendeva concreta consistenza qui a Roma con la fine della dittatura mussoliniana per giungere nel 1944-’45 al crollo completo del nazi-fascismo. Infine il sessantesimo del Partito è per certo nella memoria di ognuno di voi compagni, con il ricordo del raduno delle nostre bandiere a Genova, in una manifestazione che fu il segno sicuro di una risaldata funzione del Partito dopo le ultime lacerazioni interne del 1947-’48.
Ed ecco oggi, compagni, a festeggiare il settantesimo a Roma mentre maggiori sono intorno al Partito la fiducia e l’attesa e più salda è in noi la certezza di essere in grado di non deludere né l’una né l’altra. Quindi con un sentimento profondo di gratitudine che rievochiamo il congresso del 1892 e ad esso ci riallacciamo non solo come al nostro punto di origine e di partenza, ma come alla prima concreta affermazione della nostra dottrina e del metodo marxista e di una prassi alla quale i decenni scorsi non hanno tolto nulla della loro validità storica. La borghesia della fine dell’Ottocento credette di poter liquidare il Congresso di Genova, di esso sottolineando soltanto la scissione con gli anarchici da cui il nostro Partito sorgeva e gli indubbi elementi di improvvisazione e di confusione. Ma la storia ha confermato il giudizio nei che del Congresso dell’allora Filippo Turati che ne era stato uno dei principali artefici: < È un largo movimento maturato nell’ombra, che ha trovato finalmente la sua formula, la sua bandiera e la sventola nella letizia di una prima conquista>. Il partito non nasceva né dal caso né dal nulla. Esso rappresentava ad un tempo la linea di continuità e la linea di rottura coi movimenti operar dei precedenti cinquant’anni e in particolare con quelli della Prima Internazionale, del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna che faceva capo ad Andrea Costa e del Partito Operaio sorto dieci anni prima a Milano. Continuità rispetto alla difesa degli interessi dei lavoratori ed alla lotta dei mestieri. Rottura rispetto alle sopravvivenze corporative e mutualistiche, alla negazione anarchica dello stato, all’utopismo pre-marxista.
Il Partito poneva il problema della conquista operaia e socialista del potere politico sulla base di un programma di radicali trasformazioni economiche e sociali aventi come obbiettivo finale la proprietà collettiva dei mezzi di produzione e di scambio. Non quindi un Partito come tutti gli altri e che si aggiungeva agli altri, ma un partito qualitativamente di tipo nuovo e che fino ai primi passi, si avverava in grado di divenire l’elemento motore della trasformazione del paese, introducendo col marxismo un elemento dinamico nel pensiero e nell’azione; elevando la lotta dei mestieri a coscienza della lotta di classe e delle sue finalità; mettendo ogni cosa in movimento: la lotta politica e sindacale, la scuola e il costume; suscitando con l’opera di Labriola un interesse nuovo ed originale per gli studi economici, filosofici e storici; aggredendo in ognuna delle sue posizioni e liquidando uno dopo l’altro i governi e i centri locali della dittatura della spada e delle manette e degli stati d’assedio; promuovendo ad un tempo il progresso industriale del paese e la emancipazione dei contadini e degli operai. Compagni, lungi da me l’intenzione di tentare un riassunto della storia del partito che risulterebbe necessariamente incompleto.
UNA STORIA
SCRITTA
NELLA SELVA DELLE BANDIERE
Questa storia scritta del resto nella selva delle bandiere che ci circonda; nei simboli di cui si fregiarono; nei nomi che portano, da quello di Turati a quello di Matteotti, da quello di Bruno Buozzi a quello di Morandi. Ognuna di queste bandiere rosse, dalle più vecchie alle più recenti, è un brano di storia del Partito e quindi della storia del paese. Tutte insieme queste bandiere sono la testimonianza della continuità del Partito, una continuità che nulla ha potuto spezzare, non la violenza nemica e fascista, e neppure le interne discordie e scissioni, Sorto per promuovere, organizzare, guidare la conquista operai del pubblici poteri, il Partito si trovò più presto del previsto davanti ai problemi del potere. Vi si trovò la prima volta nel 1900 allorquando si trattò di scacciare dai comuni i clerico-moderati e risolse il problema partecipando ai blocchi della libertà senza pregiudizio di ciò che faceva diverso e distinto dai radicali e repubblicani di allora.
UN DECENNIO
DI GRANDI CONQUISTE
E DI GENERALE AVANZAMENTO
Si trovò nello stesso momento non solo di fronte all’invito di Giolitti a Turati per la partecipazione governativa – invito lasciato cadere nella consapevolezza dei limiti trasformistici dell’offerta e della immaturità dei tempi – ma di fronte al maggiore problema dell’atteggiamento nei confronto della sinistra borghese e del ministro Giolitti. E il problema venne risolto con quello che oggi noi potremmo chiamare appoggio esterno. L’azione del Partito nei primi dieci anni del secolo valse ai lavoratori la conquista del diritto di organizzazione sindacale e di sciopero e più tardi quello di suffragio universale: consentì ai socialisti di dare inizio in parlamento ad una moderna legislazione del lavoro; vide le organizzazioni di massa guidate dal Partito, le Camere del Lavoro, la Federazione dei Lavoratori della terra costituita nel 1902 e la Federazione del Lavoro sorta nel 1900, conseguire un primo adeguamento dei salari e degli orari di lavoro alle esigenze di una vita più civile, quale si andava delineando nell’Italia settentrionale, ma non ancora in quella meridionale ed insulare dove durava il blocco del potere agrario-reazionario. Questo processo altamente positivo non fu esente da degenerazioni dottrinarie e politiche che trovarono espressione nell’estremismo sindacalista il quale negava la funzione del partito e della conquista dei pubblici poteri e nella destra riformista, caduta nell’illusione di un illuminato e pacifico progresso delle istituzioni liberali e parlamentari, indipendentemente dall’azione delle masse, esente da rotture e da crisi, al riparo dell’irradiazione e della violenza.
L’AZIONE
DELLE GUERRE COLONIALI
E DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
Non era così e a dimostrarlo, con un drammatico richiamo alla realtà, sopravvennero la guerra di Tripoli, le guerre balcaniche e la prima guerra europea e mondiale. Secondo la previsione del partito, che alle tre guerre si oppose meccanicamente, la nuova fase colonialista ed imperialista del capitalismo travolse l’equilibrio interno, europeo e mondiale, che non si è da allora più interamente ricostruito, trasferì la violenza del campo militare a quello civile e politico, rese più aspro il contrasto tra le classi e i partiti, liquidando e assorbendo le forze intermedie. Il Partito si trovò nel 1919 e ’20 di fronte ai problemi del potere nelle condizioni create dalla guerra e in un momento in cui la scena mondiale era dominata dalla rivoluzione di Ottobre, dalle immense speranze che suscitava, dalle paure che coalizzava a destra. Il cosiddetto e diciannovismo massimalista e comunista del congresso di Bologna del 1919, fu l’espressione confusa e improvvisata di quella situazione. Esso si collocava al di là della realtà rivoluzionaria Italiana ed europea, come il riformismo si collocava al di qua. Oggi è pacifico per il movimento operaio, anche per quello comunista, quanto allora era controverso, e fu il primo passo verso il socialismo e la creazione di una democrazia avanzata. Tuttavia si sarebbe per certo arrivati ad una più concreta e realista impostazione dei problemi del dopoguerra, se la borghesia nel suo insieme e lo Stato non avessero creduto di poter cogliere nell’isolamento del movimento operaio l’occasione per una controrivoluzione preventiva della quale il fascismo fosse soltanto l’agente provocatore e il braccio secolare.
IL PARTITO DI FRONTE
ALLA VIOLENZA FASCISTA
ED ALLE SCISSIONI
Fu qualcosa di più e di peggio. Nel 1922 la sconfitta fu non solo dei socialisti, fu di tutte le forze liberali, democratiche, popolari, fu della società italiana nel suo insieme. I vari movimenti, e i campioni stessi del parlamentarismo ottocentesco, dovevano ritrovarsi all’opposizione, nel lento ed inesorabile maturare del vasto fronte antifascista che nel ventennio della dittatura preparava la rivincita della libertà e della democrazia. Gli anni che seguirono l’avvento del fascismo furono duri ed implacabili. Lo furono per la violenza con cui ogni nostra organizzazione venne attaccata e distrutta. Lo furono per la stessa rissa accesa dai lavoratori della scissione comunista e, in misura minore, da quella riformista. Al fascismo il Partito oppose una resistenza tenace che trovò espressione nella eroica affermazione dei suoi militanti migliori davanti a tribunali o davanti alla morte, nell’azione dei gruppi clandestini, in quella dei suoi fuoriusciti a Parigi a Londra a Lugano in America, nel rifiuto di ogni compromissione delle migliaia e migliaia di compagni che fecero delle quattro mura domestiche un fortilizio, in esso riserrandosi in una sfida al fascismo ed al tempo.
LA RESISTENZA
E LA LIBERAZIONE
SOTTO IL SEGNO
DELL’UNITÀ ANTIFASCISTA
Alla rissa fratricida tra i lavoratori il Partito mise termine nel 1931 con l’unificazione socialista e nel 1934 con l’unità d’azione coi comunisti che fecero ritrovare al movimento operaio la propria forza offensiva e capacità di espansione e resero possibile, in Spagna prima – nella Spagna oggi ancora impegnata nella dura lotta al franchismo ed alla quale va il nostro commosso saluto ed augurio – e poi negli anni dal ’41 in poi, l’accordo con le forze laiche e cattoliche impegnate nella opposizione al fascismo ed alla guerra fascista. Compagni, fu sotto il segno dell’unità antifascista che vennero organizzata la resistenza che durante la guerra impegnò l’avanguardia del popolo nelle lotte memorabili del nostro secondo risorgimento e che venne affrontata, tra il 1943 e il 1940, la difficile prova del passaggio dalla guerra alla pace, dal fascismo al regime democratico parlamentare, dalla monarchia alla Repubblica. Nel CLN e nei governi da esso espressi e ai quali partecipò, il contrasto tra noi e i moderati fu frequente e ricalcò, l’antico eterno tema dei<brevi tempi> e dei <tempi lunghi>, come all’epoca del Risorgimento. E tuttavia nei suoi limiti e malgrado le sue contraddizioni, l’alleanza antifascista ed il legame che si stabiliva tra la classe operaia e le forze democratiche laiche e cattoliche, fu pur sempre il fattore determinante dei passi avanti che vennero fatti, della vittoria repubblicana, del contenuto nuovo e socialmente e politicamente moderno della Costituzione repubblicana.
DA 1948 AL ’60
LA FASE DELL’INVOLUZIONE
SOTTO IL SEGNO DEL CENTRISMO
E quando quella alleanza entrò in crisi, nel 1947-’48, sotto la pressione e l’imposizione dei fattori interni e mondiali inerenti al rovesciamento dei rapporti internazionali ed alla frattura tra Occidente ed Oriente, allora soltanto la destra e l’estrema destra, sconfitte nel 1940, ritrovarono all’ombra del centrismo, speranza, fiato e filo da tessere, fino a quel recentissimo Luglio 1960 in cui, soltanto la rivolta della coscienza antifascista, impedì che divenissero arbitre del potere. Tutto compagni, era da quel momento da ricominciare e da rifare. E lo fu. Quale è stato, compagni, il contributo del Partito alla nuova fase politica in gestazione da alcuni anni e in azione dal Febbraio di quest’anno. Lungi da noi ogni orgoglioso esclusivismo di Partito. La mutata situazione politica è il risultato delle lotte popolari dell’ultimo decennio. È il risultato della opposizione al centrismo. È il risultato dell’opera critica svolta all’interno dei diversi partiti della vecchia coalizione centrista dalle minoranze che non hanno mai accettato la capitolazione a destra. Ma l’azione popolare di massa, per vigorosa che sia, ha bisogno pur sempre di uno sbocco politico parlamentare, in assenza del quale rischia di lasciare dietro di sé più delusioni che entusiasmi. E dall’altro canto l’azione delle minoranze di sinistra laiche e cattoliche non poteva approdare al cambiamento di maggioranza che si proponeva, se non avesse preso concreta consistenza una alternativa al blocco di potere centrista che non si presentasse al dubbio e non alimentasse la paura finta o vera di un indebolimento delle libertà democratiche.
IL CONTRIBUTO DECISVO
DEL PSI
AL NUOVO CORSO POLITICO
Negli anni dal ’55 in poi il nostro Partito, attraverso un arduo processo critico ed autocritico ha creato le condizioni perché l’azione popolare delle masse potesse trovare il proprio sbocco di potere conservatore, una alternativa di sinistra condizionata dall’appoggio e dal voto dei socialisti. I momenti salienti di questo processo critico ed autocritico sono nella memoria di tutti voi compagni e basterà quindi che io li richiami sommariamente. Al suo congresso di Torino nel 1955 il Partito sottolineò l’urgenza di risolvere il problema del rapporto con le messe cattoliche e quindi con la Democrazia Cristiana ravvisando nella collaborazione dei socialisti coi democristiani, per l’applicazione della Costituzione, un esigenza storica. Al Congresso di Venezia nel 1957 il Partito fece il punto sui problemi della democrazia in rapporto al processo che s’era aperto a Mosca nei confronti di Stalin e dello stalinismo, rifiutando la troppo facile spiegazione degli errori e dei delitti del semidio caduto in disgrazia, e risalendo al sistema comunista di potere come causa delle degenerazioni burocratiche, poliziesche e tiranniche. Il Congresso considerò chiuso il periodo del fronte popolare, dei patti di unità d’azione e di consultazione, nella considerazione che si trattava di strumenti di organizzazione della lotta dei lavoratori ormai decaduti a fattore di isolamento e nella consapevolezza della impossibilità della alleanza politica dei due partiti i quali si trovavano di fronte a problemi delle garanzie di democrazia e di libertà nella lotta di potere e nell’esercizio di libertà su posizioni fondamentalmente diverse e contrarie. Infine, dopo il Congresso di Napoli del gennaio 1959, il Congresso di Milano nel Marzo 1961, in una situazione ormai in movimento, ritenne possibile l’appoggio esterno a una nuova maggioranza impegnata nell’attuazione di un programma caratterizzato da obbiettivi concreti e da precise scadenze, tale da significare una svolta a sinistra nella politica del paese. E quando nella DC si andavano delineando finalmente una situazione che rendeva probabile la fine delle coalizioni di centro e la rottura a destra, il documento programmatico della Commissione economica del Partito, fatto proprio dal CC, offrì con una serie di proposte concrete inerenti alla nazionalizzazione dell’energia elettrica, alla creazione degli Enti di sviluppo, alla riforma della mezzadria e dei patti abnormi in agricoltura, ai problemi della scuola e della ricerca scientifica, alla istituzione delle regioni, ai problemi tributari ed urbanistici, alla libertà dei lavoratori. Questo fu il terreno per l’accordo del programma sul quale nel Febbraio è sorto il governo di centrosinistra. È quindi tutta una linea logica e conseguenziale quella che si riscontra nelle decisioni e nell’azione del Partito, dal 1955 in poi, senza nulla delle tortuosità o ambiguità di cui siamo accusati a destra, o dei cedimenti si cui ci fanno carico i comunisti. E la medesima linea logica e conseguente ha caratterizzato la posizione del Partito rispetto alla situazione internazionale ed alla politica estera del nostro paese, riaffermazione della indipendenza rispetto alle finalità di potenza dei blocchi militari, riconoscendo in anticipo su altri movimenti operai, il carattere oggettivamente irreversibile e progressivo della integrazione economica quale è andata organizzandosi nel MEC e della prospettiva della unificazione europea su posizioni di democrazia; portando l’accento sui problemi concreti di organizzazione della pace, disarmo, messa al bando delle esperienze nucleari, rinuncia di ogni soluzione unilaterale o di forza, aiuto alla lotta dei popoli di colore giunti sul punto di giungere alla indipendenza. La lotta per questi obbiettivi è oggi uno dei maggiori impegni per tutti coloro che, come noi, all’interno dei blocchi o fuori, da posizioni impegnate o non impegnate ma neutrali, considerano la difesa e la organizzazione della pace come il maggiore dei nostri compiti. Su un altro punto ancora il Partito è venuto in chiaro negli ultimi anni, come sulla natura che lo stato è venuto assumendo sotto l’azione delle forze democratiche e del movimento sindacale operaio, in conseguenza allo sviluppo del settore pubblico dell’economia. La conclusione del nostro Congresso di Milano fu che lo Stato non è più e soltanto il comitato d’affari della borghesia capitalista ma ha conseguito poteri e creato strumenti e mezzi che rendono possibile la sua utilizzazione per le finalità democratiche del socialismo.
LA NAZIONALIZZAZIONE DELL’ENERGIA
È UNA GRANDE VITTORIA
DEL NOSTRO PARTITO
Compagni siamo orgogliosi di aver vinto in queste settimane la grossa battaglia contro una delle posizioni di forza del capitalismo, la battaglia della nazionalizzazione dell’energia elettrica. Abbiamo concorso in queste ultime settimane al sorgere della nuova scuola media unica rendendo operante l’obbligo costituzionale della scuola d’obbligo e ci avviamo ad una riforma generale dell’insegnamento che comporterà per lo Stato maggiori responsabilità e poteri. È dello stato il monopolio della RAI e della TV. I più potenti strumenti di formazione dell’opinione pubblica, finora pressoché in balia della stampa borghese e padronale. Senza cadere nel culto del socialismo di stato, abbiamo riconosciuto il carattere oggettivamente positivo del progresso tecnico che assicura allo Stato il possesso e il controllo di un sempre più largo settore dell’attività produttiva dei servizi. Ci avviamo verso una legislatura che noi vogliamo sia quella della politica di piano, beninteso non di un qualunque piano, ma di un piano contrapposto alle sue finalità, nella sua strumentazione a quello dei monopoli, entro cui quadro fino ad oggi si è sviluppata l’economia nazionale determinando le contraddizioni e gli squilibri che posano duramente sul popolo.
Tutto ciò pone in maniera nuova e più imperiosa il problema di chi sarà nella stanza dei bottoni, in altre parole di chi controllerà le leve del potere dello stato. Sorge così l’esigenza della presenza socialista e dei lavoratori nelle fondamentali posizioni di potere centrali e periferiche, statuali e regionali, presenza che non può essere un dono, ma una conquista, anzi una conquista da rinnovare ogni giorno. Il problema sarebbe certamente di più facile soluzione se si fosse realizzata l’unità di tutti i socialisti e più facile ancora se i lavoratori avessero potuto conservare e preservare il bene prezioso della loro unità in un partito come il nostro, aperto a tutte le correnti socialiste, che ha risolto nella maniera più positiva la questione del rapporto tra democrazia e socialismo, che trae dalla propria esperienza la capacità di non sacrificare il reale all’ideale e neanche l’ideale al reale. Ma nella situazione attuale di scissione, che non può durare eternamente e non è neppure prossima a finire, e sul nostro Partito che ricade la responsabilità di realizzare questa presenza dei lavoratori al potere nelle condizioni attuali possibili.
LEALE E RIBADITO IMPEGNO
DI SOSTENERE
IL CENTRO SINISTRA
Da ciò la politica di cui il Partito ha preso l’iniziativa. Essa ha volto alle forze democratiche e popolari i primi importanti successi dal 1948 in poi, e un radicale rinnovamento rispetto alla situazione due anni fa. Da ciò il leale ed unanime impegno che ribadiamo di assicurare il successo del centrosinistra e di assecondare lo sforzo del governo fino all’integrale applicazione del programma sul quale è sorto e dal quale ha tenuto e tiene fede. Questo rimane il dato pregiudiziale di ogni cosa. Gli sviluppi ulteriori del centrosinistra, la prospettiva di un accordo di legislatura dopo le elezioni della prossima primavera. I problemi che sorgeranno con la creazione della regioni. I tempi, gli impegni e le maggiori responsabilità del secondo tempo, costituiscono un dopo che rimane condizionato ad un prima, cioè alla prova di volontà politica della nuova maggioranza contro le manovre dilatorie e subalterne degli avversari aperti ed occulti del centrosinistra. Su questo problema il nostro Partito discute. E perciò a questo punto, in questa seda, il mio discorso si deve arrestare per lasciare la parola a tutto il partito, attraverso le deliberazioni dei suoi organi collegiali. Niente, in ogni caso, compagni, sembra in grado di poter rovesciare ed arrestare il nuovo corso politico, per potenti che siano ancora le forze, gli interessi per le pressioni che lo avversano. Queste forze noi non le abbiamo mai sottovalutate e non considereremo vinta la nostra fase attuale della nostra battaglia politica, finché le posizione di potere del vecchio blocco agrario conservatore non siano ovunque spezzate, soprattutto nel Mezzogiorno.
* Questo discorso Pietro Nenni lo pronunciò nel 1962 in occasione del settantesimo anniversario della nascita del Partito Socialista Italiano