– di FRANCESCA VIAN –
“Il più grande malfattore del mondo”, Napoleone, “fece odiare da tutti i popoli il nome francese” (Pietro Nenni, Avanti!, 8 maggio 1921, pagina 3).
Cento anni esatti dopo la morte di Napoleone, Nenni si trova a Parigi, da pochi giorni, come corrispondente dell’Avanti!. Si stupisce e si amareggia dei fasti per il centenario.
“Onorando l’imperatore, la III repubblica insulta le sue origini. (…) Grande certamente Napoleone, ma della sinistra grandezza dei tiranni, (…) ma grande di una grandezza nutrita di sordide ambizioni e di deliranti sogni di dominio, (…) di una grandezza cui non era freno e limite nessun principio morale.
Freddamente ambizioso, Napoleone tradì la Rivoluzione alla quale doveva tutto, sfidò l’opinione pubblica mondiale e francese imponendole un sovrumano sacrificio di sangue. Non ebbe, l’antico giacobino, rispetto di nessuna libertà, (…) e nel suo delirio di grandezza andò tanto oltre che, raggiunto nel 1808 l’apogeo della fortuna, sottomessa l’Europa, fatti dei suoi congiunti e del clan corsico dei re, dei principi, dei ministri, dei governatori, mise mano alla sua rovina abbandonandosi alla spedizione di Spagna; sfidando il mondo cattolico col trarre prigioniero Pio VII (…); insistendo nel blocco continentale contro l’Inghilterra, (…), causa per tutta Europa di miseria e di fame. Il “piccolo caporale”, (…) il “folgore di guerra” che si illuse poter piegare alla sua volontà l’Europa intera (…) ben altro sentimento che di gloria e di imperio, dovrebbe suscitare, dopo avere sacrificato alla sua insana ambizione e al suo cinismo ributtante, tante umane vittime, si spense solitario in una misera isola, dolorante superstite da sei anni di un’avventura folle.
La vita e la fine di Napoleone non si prestano, per umani cuori, a nessuna esaltazione. La sua gloria è fatta di un cumulo di rovine insanguinate. La sua grandezza di dispotismo e di tirannia. Se mai egli ci ammonisce sulla caduta di ogni potere che abbia la sua base nella forza e nella sopraffazione e non nella coscienza dei popoli (…) a condanna perenne di tutte le usurpazioni dei diritti popolari.”
Non molto dissimili gli argomenti, che centoventi anni prima, con Napoleone ancora trionfante, sferra il poeta Ugo Foscolo, quando il protagonista delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, si infuria perché – accolto nella gloriosa repubblica di Venezia come un liberatore – Napoleone la vende, invece, all’Austria, con il Trattato di Campoformio, condannando tutto il Veneto a 69 anni di tirannia e di silenzio. Proprio di silenzio: i viaggiatori che hanno visto Venezia prima del passaggio di Napoleone, non la riconoscono più, negli anni di occupazione austriaca.
“La Natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria; e non l’ha. (…) Esorterei l’Italia a pigliarsi in pace il suo stato presente, e a lasciare alla Francia la obbrobriosa sciagura di avere svenato tante vittime umane alla Libertà – la su le quali la tirannide de’ Cinque, o de’ Cinquecento, o di Un solo – torna tutt’uno – hanno piantato e pianteranno i lor troni; e vacillanti di minuto in minuto, come tutti i troni che hanno per fondamenta i cadaveri” (Ugo Foscolo).
Nenni inquadra la figura del dittatore all’interno della storia del progresso umano; la rivoluzione francese non ha saputo sostenere la fatica della rivoluzione: Napoleone ha tratto vantaggio personale dalle difficoltà della storia, ha preso in giro tutti con “liberté fraternité egalité”, restaurando poi l’impero. “Pensò egli qualche volta ad essere il Washington della Francia?” No. Ha preferito la gloria effimera dell’impero. Ha seminato “guerra”, “miseria”, “fame” in “Europa”. Ma la frase più bella, proprio da Nenni, è quella degli “umani cuori”: siffatti crimini sono contro la storia dell’umano progresso, che secondo Nenni è il fine della lotta politica.
Lo stesso giorno 8 maggio 1921, proprio a pagina 3, sopra l’articolo di Nenni, il vignettista Giuseppe Scalarini tratteggia in modo impareggiabile come la guerra cancelli e devasti l’umanità. E’ proprio la negazione delle caratteristiche “umane” ciò a cui conduce la guerra, e chiunque ne faccia una missione. Proprio contro l’umanità è il crimine degli anti-eroi che hanno continuato e continuano a perpetrare le guerre.
Non si tratta soltanto di parole scagliate contro qualcuno: dietro al “contro” traspare un modo interiorizzato di concepire le pagine della propria vita. Cos’è dunque l’eroismo? Lo lasciamo dire a Victor Klemperer, ebreo perseguitato dal nazismo, salvatosi per avere sposato un’ariana, e per essersi attaccato all’analisi del linguaggio nazista, come sfida per la sopravvivenza: “Eroismo non è soltanto il coraggio e il mettere a repentaglio la propria vita, perché di questo è capace anche qualsiasi attaccabrighe o qualsiasi criminale. (…) E’ eroe chi compie delle azioni che promuovono l’umanità.” (La lingua del Terzo Reich, prima ed. tedesca 1947, I ed. italiana, 1975).
Grazie Francesca per i tuoi articoli, sto imparando la storia da un’ altra angolazione!
Licia