-di MARCO ZEPPIERI-
“Un gesto d’amore, che mi è venuto dal cuore” così Elisa Di Francisca all’indomani della conquista della medaglia d’argento nel fioretto individuale alle Olimpiadi di Rio, lei che già alle Olimpiadi di Londra 2012 è stata medaglia d’oro nelle gare individuali ed a squadre.
Anche lei quindi si è lasciata andare in mondovisione alla spettacolarizzazione del nobile sentimento che unisce gli essere umani, l’amore.
L’amore con la A maiuscola, perché se detto, gridato, urlato ha più valore, è più vero, è più intenso in questa era dove tutto è pubblico e il privato è negato.
Elisa Di Francisca, trentaquattro anni a dicembre, appartiene alla grandiosa scuola jesina della scherma femminile, scuola che ha prodotto campionesse mondiali come la Vezzali e la Trillini (sua attuale allenatrice), è una ragazza, una donna, che non ama vivere soltanto, sia pur da regina, nel suo ambito sportivo; vuole vivere anche altro.
Nel 2013 ha partecipando, vincendo naturalmente, a Ballando con le stelle, il programma di Raiuno, e quindi perché meravigliarsi di questa sua esternazione.
E invece no, la Di Francisca come gesto d’amore ha sventolato la bandiera europea, quella bandiera nata dai sogni di Spinelli, di Rossi e di Colorni a Ventotene e dal realismo visionario di Adenauer, di Churchill, di De Gasperi e di Schuman.
Lo ha fatto perché si sente europea. Dice l’atleta azzurra: “Perché siamo europei e dobbiamo rimanere uniti contro chi ci minaccia, contro le paure. Finiremo che avremo paura uno dell’altro”. “Noi dobbiamo essere uniti contro chi ci vuole dividere, – aggiunge la Di Francisca – contro chi vuole costringerci a una vita da segregati per il timore delle bombe” e perciò “non possiamo smettere di vivere una vita normale perché l’Isis ci minaccia. Ma l’Isis non vincerà”.
Intanto ha vinto lei, e non solo su una pedana, ha vinto una donna italiana.
Per concludere ecco le congratulazioni dell’europarlamentare Matteo Salvini “Festeggiare con la bandiera dell’Unione Sovietica Europea la medaglia alle Olimpiadi. Simbolo di oppressione e povertà. Che tristezza”.
Che tristezza, appunto.