Abbiamo pensato di riproporre questo intervento di Riccardo Lombardi che consente di affrontare trasversalmente alcuni temi che sembrano far parte di un’Italia declinata al passato ma che in realtà riguardano, a volte, anche l’Italia declinata al presente (si fa ad esempio un gran parlare della sostituzione dei direttori del Tg2 e del Tg3 per allineare i notiziari, secondo le opposizioni, al “pensiero dominante” del governo sul tema della revisione costituzionale). Tanto per cominciare il contesto. La procura generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro. Sono anni in cui si parla molto di comune senso del pudore, film come “Ultimo tango a Parigi” vengono sottoposti a una tortuosa gincana tra le strettoie della censura. In questa attività censoria vi sono giudici che si distinguono. Tra questi Donato Massimo Bartolomei, procuratore generale di Catanzaro che nel solo 1974 mette sotto sequestro nove film. Ma Lombardi nella sua interrogazione (l’intervento che pubblichiamo è la replica alla risposta del governo) solleva il problema non di un film ma di un libro perché Bartolomei, trascinato dal suo sensibilissimo senso del pudore, ha provveduto a cancellare dagli scaffali delle librerie italiane un’opera di Vincenzo Guerrazzi, calabrese di origine, operaio all’Ansaldo, pittore e scrittore, membro del direttivo socialista genovese. Centodieci pagine edite da Marsilio con il titolo: “Nord e Sud uniti nella lotta”. E’ una sorta di cronaca del viaggio di migliaia di lavoratori che scendono a Reggio Calabria nel 1972 per partecipare alla manifestazione indetta da Cgil, Cisl e Uil per arginare con una risposta unitaria le spinte eversive dei fascisti guidati da Ciccio Franco (non a caso ci saranno anche “esperimenti” dinamitardi). Una cronaca, però, particolare, costruita attraverso le frasi vergate sui muri di luoghi pubblici. Bagni della fabbrica compresi perché Guerrazzi si era fatto promotore anche di un quotidiano “murale”: “L’urlo della notte”. Il libro aveva ottenuto il premio “Opera prima”, consegnato all’autore, scomparso quattro anni fa, all’università di Cosenza da Giacomo Mancini (“Tutti pensavano che fossi un gruppettaro e anche lui mi disse con un certo stupore: non ci credo che anche tu sia del mio partito”), e il premio Sila, auspice Carlo Bo. Credenziali che a Bartolomei non bastarono. Di qui la coda parlamentare della vicenda, anche abbastanza divertita e divertente.
-di RICCARDO LOMBARDI*-
Non mi meraviglierebbe che al sullodato procuratore generale , ove mantenuto nelle sue attuali funzioni, venisse l’idea di disporre il sequestro degli Atti parlamentari sui quali saranno riportati i termini contenuti nel decreto depositato presso la presidenza (si ride)
Presidente Pregherei l’onorevole Lombardi di non dare elementi a questa possibilità.
Lombardi Sono di una straordinaria pudicizia. Non contesto il diritto, la facoltà e la competenza del giudice a giudicare del presunto reato e della presunta violazione. Quello che mi domando è questo: se è attendibile l’ipotesi, ammessa mi pare implicitamente dall’onorevole sottosegretario come certa, che la considerazione dei limiti fra osceno e opera artistica e la degradazione dell’opera artistica nell’illiceità dell’osceno e del pornografico non sia emersa nella coscienza delle persone che hanno costituito la giuria e che, nel momento in cui hanno segnalato il libro, hanno risolto evidentemente questo problema , se mai è nato. Della giuria faceva parte, anzi credo sia stato il relatore, il professor Carlo Bo, certamente non sospettabile di scarsa sensibilità rispetto alla tutela del sentimento comune della morale e della pudicizia; si dovrà quindi riconoscere che questa disposizione di sequestro del procuratore generale di Catanzaro, per quanto facilmente si presti, attraverso la citazione di una o più frasi a scandalizzare le anime pie, non è in condizione di mostrare una sua liceità.
Un libro di quel genere è per sua natura tale da far escludere ogni incitamento al malcostume. Certo il libro riporta nella loro brutalità e a volte anche nella loro rozzezza delle espressioni autentiche e registrate. Il libro, infatti, è una documentazione delle scritte registrate sulle pareti di vari locali durante il viaggio di una massa di operai che si recavano a partecipare ad una manifestazione politica. Aggiungo che l’uso di queste frasi che isolatamente appare sconcertante, lo è assai meno quando, leggendo il libro, si comprende che ognuna di queste frasi è legata o a un giudizio politico o a un attacco a dirigenti politici o sindacali. Nel contesto, quindi, la brutalità e la supposta inverecondia di certe frasi vengono assai ridimensionate.
Se si volesse così leggermente far precipitare nel giudizio di oscenità o di pornografia opere di questo genere, ebbene, io chiederei il sequestro di Rabelais. In fondo, non soltanto in questa, ma in moltisime delle opere oggicorrenti nella letteratura italiana e straniera vengono usati termini anche brutalmente realistici, che non scandalizzano più nessuno, anche perché il sentimento comune del pudore su cui si basa la legislazione che lo tutela, evolve con i tempi ed è diverso da quello che avevano i nostri padri o avevamo noi stessi quando eravamo giovani.
Sarebbe troppo facile e, francamente anche noioso e aberrante discutere in questa sede, che certamente non è la sede propria, della ormai secolare controversia circa i limiti reciproci tra opera artistica, sentimento del pudore, oscenità, pornografia, eccetera. Ne abbiamo discusso altre volte, esaminando i vari provvedimenti di censura. Vi è però il fatto che, a confronto con la tolleranza – giusta tolleranza – che si esercita nelle altre procure nei riguardi delle opere consimili e per casi analoghi, il caso di Catanzaro appare effettivamente straordinariamente isolato.
Si può supporre che quella di Catanzaro sia una giurisdizione in cui il procuratore generale dia corso alla sua sessofobia (non lo conosco e non so quale temperamento psichico egli abbia) così da rappresentare un’area isolata, una specie di ghetto. Infatti l’attività persecutoria del procuratore generale di Catanzaro non si è esercitata soltanto in questo caso; si esercita, possiamo dire, con una frequenza, una generalità e una generosità di interventi straordinarie. Libri e giornali vengono sequestrati ogni settimana.
Sono perfettamente cosciente dell’indipendenza della magistratura. Non credo ella possa pensare, onorevole sottosegretario, che io supponessi lecito un intervento diretto nei riguardi della magistratura, tuttavia ho posto l’accento su un altro profilo, cioè sulla considerazione del discredito che prestigio e all’autorità della magistratura reca il comportamento di un procuratore generale di questa sorta. Non credo che la magistratura di Catanzaro possa trarre giovamento da un esame dei comportamenti del suo procuratore generale in ordine a consimili provvedimenti: e tralascio altre attività e altri settori che, fra l’altro mi pare costituiscano già oggetto di inchieste e di accertamenti del Consiglio superiore della magistratura.
Non sarebbe tuttavia fuori di luogo, e neppure rappresenterebbe un abuso di potere, un intervento del Governo che tendesse a segnalare al Consiglio superiore della magistratura il pericolo di discredito e di perdita di prestigio che deriva alla magistratura e alla giustizia a Catanzaro dal comportamento del suddetto procuratore generale.
E per questo onorevole sottosegretario, che stento a dirle se sono soddisfatto o no. In questi casi, chiaramente, non si è mai soddisfatti, e credo neppure ela lo sia per le risposte che mi ha dato.
* Intervento alla Camera del 19 novembre 1975