-di SANDRO ROAZZI-
Il termine “fisiologico” di questi tempi non fa parte del lessico contrattuale. Secondo la rilevazione Istat il tempo d’attesa medio per rinnovare un contratto scaduto è di 40 mesi. E per un metalmeccanico italiano non è certo una novità visto il braccio di ferro interminabile ingaggiato senza esiti fra Federmeccanica e sindacati. Insomma rinnovare i contratti assomiglia ancora troppo ad una guerra, assai poco o nulla invece ad una stagione nella quale la partecipazione alla vita delle aziende e’ il modo normale per regolare l’insieme delle relazioni industriali, cmo presi i contratti. Di conseguenza le retribuzioni contrattuali crescono più di una inflazione sotto zero e che in realtà è deflazione, ma comunque assai poco: quest’anno hanno viaggiato costantemente fino a giugno (che vanta… un +0,7%) sotto l’un per cento, fatto mai avvenuto neppure negli ultimi anni di recessione.
Spiegazione semplice: piu’ di 8 milioni di lavoratori aspettano il rinnovo, a partire da quelli del settore pubblico. Quanto sia dissestata la strada verso una crescita reale lo segnala anche lo Svimez che da un lato rivela che il Sud l’anno scorso è cresciuto dell’1%, piu’ dello 0,7% nazionale, ma dall’altro mette le mani avanti spiegando che molto è dovuto a fattori eccezionali che non è detto che si ripetano come il piccolo boom del turismo in un Paese non colpito come altri dal terrorismo e il buon momento dell’agricoltura. Del resto dei 96 mila posti di lavoro in più ben 56 mila sono stati contratti a termine, dovuti appunto in particolare alla ripresa fuori dell’ordinario di quei due settori.
Lo sguardo ora ritorna al tavolo del confronto sulle pensioni che si terra’ domani e sara’ preceduto da riunioni nelle tre case sindacali e da un incessante lavorio sui numeri della vicenda. Quelli spuntati negli ultimi giorni non hanno convinto neppure esponenti del Governo tanto da rimandare ogni valutazione all’incontro di domani. Dal sindacato poi si sostiene che per dare risposte ai problemi sul tappeto serve qualcosa più di due miliardi, da parte governativa non si fanno cifre ma sembrerebbe già un bel successo il poter mettere sul piatto quel miliardo e mezzo di euro di cui si è vociferato a più riprese. Alcuni capitoli della discussione si rivolgono a platee estese come nel caso dei lavoratori precoci, circa tre milioni e mezzo senza considerare anche coloro che prima dei 18 anni hanno svolto un qualche sporadico lavoro.
Si tratterebbe di regolare con incentivi un flusso annuo di circa 50 mila unità in uscita dal lavoro. Anche sui lavoratori usuranti pende l’interrogativo se ci si debba occupare solo dell’esistente o allargarlo a nuovi settori come nel caso degli edili. Qui si tratta di allentare vincoli troppo stretti che hanno determinato un andamento davvero singolare: in tutto i lavoratori che hanno superato i vari sbarramenti normativi sarebbero meno… di 2000 finora. E sempre in ballo la sorte dell’anticipi pensionistico. Attesa anche per gli interventi a favore dei pensionati, con possibili miglioramenti per la quattordicesima e la no tax area. La frase piu’ impegnativa e’stata quella del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Nannicini: speriamo a settembre di firmare qualcosa con i sindacati. Di eventuali firme pero’ al momento i sindacati non hanno mai parlato. Prima i risultati. Si vedrà.