Giustizia sociale e libertà: la “ricetta” di Carlo Rosselli

Rosselli

In una fase in cui la sinistra fatica a individuare una stella polare (o, forse sarebbe meglio dire, più stelle polari) con la quale orientarsi per definire un modo nuovo per riformare una società così squilibrata (il vecchio, quello di un più “educato” liberismo, non ha evidentemente funzionato) e in cui le paure, le angosce, la difficoltà a cogliere nel futuro certezze o tratti rassicuranti spingono le persone (anche le vecchie classi di riferimento, anzi soprattutto quelle) verso il semplicismo fuorviante delle ricette del populismo di destra (che a volta assume anche qualche apparente connotato di sinistra), appare utile riscoprire alcuni antichi pensatori. Perché anche in vecchie opere si può riuscire a ritrovare il filo di una narrazione interrotta. Ecco perché abbiamo pensato di riproporre un breve passo di un libro di Carlo Rosselli, Socialismo Liberale, un testo che risale agli anni Venti. Abbiamo l’impressione che qualche spunto utile di qui possa venire. In ogni caso, a voi che avrete la pazienza di leggere, l’ardua sentenza…

                                                     

-di CARLO ROSSELLI-

…Nella sua più semplice espressione il liberalismo può definirsi come quella teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, supremo mezzo, suprema regola della umana convivenza. Fine, in quanto si propone di conseguire un regime di vita associata che assicuri a tutti gli uomini la possibilità di un pieno svolgimento della loro personalità. Mezzo, in quanto reputa che questa libertà non possa essere elargita od imposta, ma debba conquistarsi con duro personale travaglio nel perpetuo fluire delle generazioni. Esso concepisce la libertà non come un dato di natura, ma come divenire, sviluppo. Non si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo mantenendo attiva e vigilante la coscienza della propria autonomia e costantemente esercitando le proprie libertà. La fede nella libertà è al tempo stesso una dichiarazione di fede nell’uomo, nella sua indefinita perfettibilità, nella sua capacità di autodeterminazione, nel suo in- nato senso di giustizia. Il liberale veramente tale è tut- t’altro che uno scettico. È un credente, anche se combatte ogni affermazione dogmatica; è un ottimista, anche se ha della vita una concezione virile e drammatica. 

Questo in sede astratta. In sede storica il discorso si complica perché il liberalismo ha una storia ideale e pratica che, nel suo svolgersi, ha dato vita a una straordinaria messe di esperienze e di provvisorie teorizzazioni. Nato dal pensiero critico moderno, ebbe la sua prima affermazione con la Riforma religiosa. Nelle atroci guerre di religione, in cui gli uomini si dilaniarono in nome delle opposte fedi e degli opposti dogmi, nacque, come il fiore sulle rovine, la libertà di coscienza religiosa. Cattolici e protestanti, incapaci di sterminarsi a vicenda, acconsentirono alla tregua e riconobbero a tutti gli uomini il diritto di professare il culto che più loro conveniva. Il principio di libertà si allargò alla vita della cultura nei secoli XVII e XVIII per effetto del progresso scientifico e di quel movimento di ascensione economica e intellettuale della borghesia che culmina nell’Enciclopedia; e trionfò finalmente in sede politica con la rivoluzione dell’89 e la sua Dichiarazione dei diritti dell’uomo; per tendere infine ai tempi nostri ad informare di sé tutta la vita sociale, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue parti, nella sfera economica in particolare, per far sì che la libertà, teorica proclamazione universale, rispondente in fatto all’interesse di pochi, diventi vera- mente patrimonio di tutti. 

Il socialismo non è che lo sviluppo logico, sino alle sue estreme conseguenze, del principio di libertà. Il socialismo, inteso nel suo significato più sostanziale e giu- dicato dai risultati – movimento cioè di concreta emancipazione del proletariato – è liberalismo in azione, è libertà che si fa per la povera gente. Dice il socialismo: l’astratto riconoscimento della libertà di coscienza e delle libertà politiche a tutti gli uomini, se rappresenta un momento essenziale nello sviluppo della teoria politica, ha un valore ben relativo quando la maggioranza degli uomini, per condizioni intrinseche e ambientali, per mi- seria morale e materiale non sia posta in grado di ap- prezzarne il significato e di valersene concretamente. La libertà non accompagnata e sorretta da un minimo di autonomia economica, dalla emancipazione dal morso dei bisogni essenziali, non esiste per l’individuo, è un mero fantasma. L’individuo in tal caso è schiavo della sua mi- seria, umiliato dalla sua soggezione; e la vita non può avere per lui che un aspetto e una lusinga: il materiale. Libero di diritto, è servo di fatto. E il senso di servitù aumenta in pena ed ironia non appena il servo di fatto acquista coscienza della sua libertà di diritto e degli ostacoli che la società gli oppone per conseguirla. Ora di questi individui, dice il socialista, era piena la società moderna allorquando il socialismo nasceva; di questi individui ancor oggi è composta in regime capitalistico buona parte della classe lavoratrice, priva d’ogni diritto sui suoi strumenti di lavoro, d’ogni compartecipazione alla direzione della produzione, d’ogni senso di dignità e di responsabilità sul lavoro – dignità e responsabilità, primi scalini della scala che conduce dalla schiavitù alla libertà. 

È in nome della libertà, è per assicurare una effettiva libertà a tutti gli uomini, e non solo a una minoranza privilegiata, che i socialisti chiedono la fine dei privilegi borghesi e la effettiva estensione all’universale delle libertà borghesi; è in nome della libertà che chiedono una piú equa distribuzione delle ricchezze e l’assicurazione in ogni caso ad ogni uomo di una vita degna di questo nome; è in nome della libertà che parlano di socializzazione, di abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, della sostituzione del criterio di socialità, dell’utile collettivo, al criterio egoistico, dell’utile personale, nella direzione della vita sociale. Tra una libertà media estesa all’universale, e una libertà sconfinata assicurata ai pochi a spese dei molti, meglio, cento volte meglio, una libertà media. Etica, economia, diritto concordano in questa conclusione. 

Il movimento socialista è dunque il concreto erede del liberalismo, il portatore di questa dinamica idea di libertà che si attua nel moto drammatico della storia. Liberalismo e socialismo, ben lungi dall’opporsi, secondo voleva una vieta polemica, sono legati da un intimo rapporto di connessione. Il liberalismo è la forza ideale ispiratrice, il socialismo la forza pratica realizzatrice. 

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