-di Antonio Maglie-
L’assidua frequentazione ha consentito a Tito Boeri, presidente dell’Inps, di acquisire una profonda conoscenza dell’universo mediatico. Per molti anni ha pubblicato i suoi commenti su un importantissimo quotidiano nazionale e sa bene che la domenica è per le redazioni un giorno “magro”: poche notizie e grande difficoltà a confezionare vetrine televisive e prime pagine. Dunque, momento ideale per conquistare le luci della ribalta con un bello studio statistico, semmai approntato per riscaldare meglio il brodo populistico che percorre la società italiana e che viene alimentato anche da chi non dovrebbe, occupando ruoli di responsabilità all’interno delle istituzioni. E’ la filosofia del “dentro e contro” illustrata in un saggio da Marco Revelli.
Ecco allora che il professore bocconiano, spedito nel quartiere razionalista dell’Eur per mettere ordine nell’esistenza a parere di molti un po’ sciamannata dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, fa confezionare una statistica dalla quale emerge un dato che fa inevitabilmente meditare: oltre mezzo milioni di concittadini percepiscono la pensione da trentasei anni. Materia sufficiente per scatenare il manzoniano “dagli al pensionato untore”. E, sull’onda della pubblica indignazione, sollecitare l’intervento “risolutivo”: l’introduzione di un contributo di solidarietà sulle pensioni più alte, evitando ovviamente di definire la misura di quella “altezza”, né specificando se il conteggio quantitativo vada fatto al lordo o al netto delle tasse. Il “bravo cittadino” darà così agevolmente ragione al “brillante professore” che si batte contro le ataviche nequizie dell’indole italica, manco quel mezzo milione si fosse presentato negli uffici di via Ciro il Grande armato di kalashnikov e, come dicono i verbali dei carabinieri, col volto “travisato” con un passamontagna.
Il Professore, d’altro canto, è un infaticabile produttore di studi. Appena un paio di giorni prima ne aveva “sdoganato” un altro che spiegava come la stragrande maggioranza dei pensionati percepisse una pensione inferiore a 750 euro mensili. Ma l’effetto della statistica evidentemente non era stato quello voluto tanto è vero che poi il Professore commentando quella domenicale ha provveduto a sottolineare che la situazione non è poi così drammatica, che il metodo di calcolo adottato (dall’Inps, cioè da lui) in realtà è fuorviante perché ve ne sarebbe un altro che offre una visione più realistica della realtà. Straordinario: la smentita che nello smentire poi rafforza il concetto stabilendo che la verità è sempre e solo da una sola parte. Quella di Boeri.
La passione per la “vetrina” a volte è cattiva consigliera. Tanto cattiva da aver indotto il ministro del welfare, Giuliano Poletti, a ricordare al presidente dell’Inps che il contributo di solidarietà già esiste, che è in scadenza e che semmai bisogna decidere cosa farne. Non solo. All’illustre Professore sfugge un altro dato: ci sono altri istituti previdenziali ancora fuori dall’ombrello dell’Inps, che il contributo di solidarietà lo hanno già varato e lo applicano su tutte le pensioni, non solo su quelle più alte. Così come sfugge che un meccanismo può essere definito solidaristico quando riguarda tutti non quando riguarda alcuni (cioè i pensionati) cosa che indusse la Corte Costituzionale a manifestare più di qualche perplessità sulla scelta inizialmente compiuta dal governo e che venne in qualche maniera corretta.
Dal presidente dell’Inps bisognerebbe attendersi qualche parola di chiarezza su alcuni aspetti bizzarri del nostro modo di rappresentare la spesa previdenziale. Sarebbe bello ad esempio se, al pari di quello che altri studi hanno fatto anche recentemente, Boeri spiegasse perché mai nel calderone di quella spesa venga conteggiato anche il pagamento del Tfr. E sarebbe ancora più bello se di fronte alla tesi che quella spesa è fuori controllo (in realtà siamo sostanzialmente in linea con la media europea), facesse presente ai critici superficiali che in Italia, al contrario di quanto avviene in altri paesi (la Germania, ad esempio), la definizione del dato viene fatta al lordo delle tasse e non al netto. Sarebbe anche bello se dicesse che il Welfare (e a lui spetta la gestione di un bel pezzo) fosse realmente finanziata da tutti i contribuenti e non solo da chi lui definisce tali ma sono soltanto quelli che versano (e fanno versare ai datori di lavoro) i contributi indicati, poi, chiaramente in busta-paga. Ma se si preoccupasse anche di questo, forse quello studio non lo avrebbe tirato fuori proprio nella giornata di domenica quando, grazie a un pool di giornalisti, abbiamo appreso che ottocento connazionali si sono fatti aprire da un avvocato di Panama conti nei paradisi fiscali. Tra questi, molti saranno onestissimi, ma molti avranno compiuto quella scelta per evitare di pagare per intero il “canone condominiale” di quell’edificio malconcio chiamato Italia.
Poi se intende portare avanti una battaglia per moralizzare la giungla delle pensioni costruite con il privilegio, se intende ridimensionare quelle veramente alte, se intende combattere quel cumulo di più trattamenti che produce un vorticoso effetto moltiplicatore, potrà avere tutto il sostegno delle persone perbene, pensionati compresi. Ma indichi con chiarezza i limiti, le entità, non resti nel vago di un appello solidaristico che solidaristico non è perché poi riguarda soltanto una parte dei cittadini italiani, i pensionati, che, al contrario di quanto che avviene in molti altri paesi europei, pagano le tasse secondo le aliquote fissate per tutti i cittadini ancora al lavoro. Da economista, soprattutto, tenga a mente che negli ultimi otto anni quel poco di domanda interna che è rimasta ancora in piedi (e che regge il Paese) è stata alimentata dai redditi da pensione. Che in questi anni terribili il disagio sociale, soprattutto giovanile, non ha superato il livello di guardia grazie a un welfare familiare che sfugge evidentemente ai conteggi ma ha prosciugato conti in banca, risparmi e semmai obbligato alcuni a vendere la casa che avevano acquistato in una vita lavorativa di sacrifici. Ma è evidente che tutto questo alla Bocconi non si insegna né si calcola. Purtroppo anche il brillante Professore sembra vittima della medesima sindrome di estraniamento che colpì Elsa Fornero: continua a pensare che il mondo sia contenuto in una comoda e riscaldata aula universitaria. Ma non è così. Scenda dalla cattedra e provi un bagno freddo di realtà.